intimismo

Esistono in teatro, come in altre espressioni artistiche, delle formule inventate per sintetizzare una tendenza, un gruppo di autori, un’atmosfera. Spesso svaniscono come bolle di sapone, o perché non sempre rispecchiano l’esigenza per cui sono nate, o perché si esauriscono in breve tempo. Intimismo è un termine che non ha assunto un vero e proprio significato critico, tanto da poter essere esteso a drammaturgie diverse. C’è Intimismo in Becque come nel nostro Giacosa, in Maeterlinck come in Cechov, ma poi si scopre che il termine è improprio e che l’intimità di questo teatro ha valenze molto più ampie. Allora, forse, occorre indagare una drammaturgia minore, meno attenta ai richiami del simbolismo, fatta più di atmosfere, non molto impegnative, e che potrebbe rimandare ad autori come Fausto Maria Martini, Sabatino Lopez, Renato Simoni, Enrico Annibale Butti, Roberto Bracco (quello del Piccolo santo), Sem Benelli (quello di Tignola), Cesare Giulio Viola, Dario Niccodemi, Stefano Landi. C’è, nel teatro di questi autori, una tendenza alla ricerca del clima crepuscolare, del silenzio, degli affetti sempre evocati in superficie, del raccoglimento, della ricerca di una verità non problematicizzata, tutta intima, attenta all’analisi e all’introspezione. Ciò che caratterizza particolarmente il teatro intimista è un linguaggio dimesso, ai limiti dell’inespresso, che rispecchia, a suo modo, un piccolo mondo borghese, attraversato da crisi non profonde, da improvvise e strane stanchezze o, ancora, una realtà di provincia insoddisfatta e che si accontenta di piccole evasioni.