Graham

Figlia di un medico specializzato in malattie mentali, Martha Graham trascorse l’infanzia nella cupa Allegheny per poi trasferirsi con la famiglia nella solare California, terra ancora ricca di folclore messicano e di cerimonie multirazziali autoctone che ebbe modo di vedere e che influenzarono profondamente la sua danza, specie nel periodo creativo cosiddetto ‘pionieristico’. La sua formazione coreutica avvenne alla Denishawn School di Los Angeles, diretta da Ruth St. Denis, la sua prima musa ispiratrice che vide danzare nel 1911, e Ted Shawn che per lei creò, l’assolo Xochtil (1919), una danza ispirata alla cultura azteca, ufficiale debutto della sua carriera di danzatrice durata cinquantatre anni (il ritiro dalle scene avvenne il 20 aprile 1969). Entrata nelle file dei Denishawn Dancers, vi rimase sino al 1923, apprendendo vari stili di danza influenzati dai generi orientali e le teorie di François Delsarte. Dopo essersi esibita per un breve periodo con il Greenwich Village Follies, preferì approfondire una sua personale ricerca sulle possibilità cinetiche del movimento in relazione alle motivazioni psicologiche (leitmotiv di tutta la sua coreografia), creando, a partire dal 1926, una serie di assolo di cui fu interprete, culminanti in Lamentation (1930), su musica di Zoltán Kodály. Vi emergevano sia i residui della sua prima formazione che le suggestioni dei danzatori tedeschi Harald Kreutzberg e Mary Wigman, ammirati durante le loro prime esibizioni americane.

Tenace oppositrice della ‘danse d’école’, accettò di interpretare, nel 1930, il ruolo dell’Eletta nella stravinskiana Sagra della primavera di un coreografo di formazione accademica, Léonide Massine. Ma fu uno dei pochi episodi contraddittori in una carriera tutta volta a rimarcare la necessità di una danza nuova: grazie alle sue coreografie edificò un vocabolario proprio – la cosiddetta `tecnica Graham’ – ricco di movimenti altamente drammatici e spiraliformi, da eseguire a piedi nudi, in parte complementari, nella loro tensione verso il suolo, alla verticalità del balletto, in parte ad esso affini. Contrariamente a quanto si pensa, però, l’artista non ebbe come scopo l’affermazione di un nuovo codice coreutico ma soprattutto della sua personale poetica ed estetica di cui quella tecnica – messa a punto soprattutto dai futuri insegnanti della Martha Graham School of Contemporary Dance, fondata nel 1927 – fu strumento cangiante e operativo. In Heretic (1929), la sua prima coreografia di gruppo, intessuta sulla melodia ripetitiva di un canto bretone, si esibì con il Dance Group (la compagnia tutta femminile con la quale avrebbe lavorato sino al 1938), espressione del suo ribellismo nei confronti della società puritana discriminatrice della donna e ideale strumento del suo primo periodo creativo, cosiddetto dei `long woolens’, i lunghi abiti tubolari di maglia indossati dalle sue ballerine. Un altro assolo, Frontier (1935), che formalizzò la sua intensa collaborazione con il musicista Louis Horst e avviò la duratura partnership artistica con lo scultore giapponese Isamu Noguchi, diede inizio al suo periodo `americano’ o `nazionalistico’, culminante in Appalachian Spring (1944), su musica di Aaron Copland.

Negli anni ’40 la Martha Graham Dance Company era ormai una realtà molto lontana dal Dance Group. Oltre ad aver accolto interpreti maschili, tra cui Erik Hawkins che G. sposò nel 1948 – l’anno di nascita del solare capolavoro Diversion of Angels – ma dal quale si separò, dolorosamente, due anni dopo o Merce Cunningham, travolgente interprete di Every Soul is a Circus (1939), fu anche una delle prime compagnie americane ad accogliere danzatori di colore. Donna dal temperamento indomito e risoluto, G. continuò a esprimere il suo femminismo in Letter to the World (1940), ispirato alla vita della poetessa Emily Dickinson, e in Deaths and Entrances (1943), opere successive a quelle d’impegno politico, antimilitarista e pacifista come Chronicle (1936). Con Dark Meadow, Cave of the Heart, Errand into the Maze e Night Journey , creati tra il 1946 e il ’47, ha ufficialmente inizio il suo terzo periodo creativo, quello psicoanalitico. Ma già nel duetto Herodiade (1944), su musica di Paul Hindemith, l’artista si era inoltrata in un tormentato viaggio nei meandri della psiche e dell’inconscio. Sulle orme dell’esperienza paterna, ma ormai soprattutto influenzata da Freud e Jung e convinta, secondo gli insegnamenti platonici, che la mitologia esprimesse la dimensione psicologica dell’antichità, estese la sua ricerca agli archetipi tragici e biblici in Clytemnestra (1958), Alcestis (1960), Phaedra (1961), Circe (1963), Judith (1980), sino a Phaedra’s Dream (1983), su musica di George Crumb. Negli anni ’50 fu definitivamente riconosciuta come protagonista di spicco della cultura americana (nel 1959 firmò con il massimo esponente del neoclassicismo, George Balanchine, il balletto Episodes ) e la sua compagnia cominciò a farsi conoscere anche in Europa (debuttò in Italia nel 1954). La sua operatività non conobbe che rare pause e il suo repertorio si arricchì tra gli anni ’60 e ’80 di nuove opere, ispirate al mito e alla poesia, come Mendicants of Evening (1973), Myth of Voyage (1973), Lucifer (1975), i cui ruoli principali furono interpretati da Margot Fonteyn e Rudolf Nureyev, e soprattutto Acts of Light (1981), The Rite of Spring (1984) e l’ironico testamento, su musica di Scott Joplin, Maple Leaf Rag (1990). Nell’autobiografia Blood Memory (New York 1991)

La Graham rivela di aver riversato nella danza le passioni e i tormenti della sua lunga esistenza, e di aver vissuto nella consapevolezza di essere stata prescelta a svolgere la sua missione di danzatrice e coreografa: una parabola creativa che infatti l’apparenta alle grandi e longeve figure dei maggiori artisti del secolo come Stravinskij e Picasso, e avvolge e riflette quasi un secolo di `positivismo’ americano. Dalla democratica scoperta delle varie e ricche realtà etniche del Paese all’orgoglioso pionierismo, dall’acquisizione e rielaborazione delle scienze psicoanalitiche di derivazione europea all’affermazione di una cultura specificamente americana, basata sul sogno di un nuovo umanesimo, la sua arte è a un tempo espressionista e simbolista e in essa la tensione formale ha un peso altrettanto importante della spinta drammatica e interiore. Anche per questo il suo lascito (circa duecento coreografie) ha una statura ormai classica e riproducibile da compagnie di danza che non siano quella che porta ancora oggi il suo nome.