Giuffré

Nel panorama del teatro italiano Aldo Giuffé si segnala come uno dei rari attori ‘venuti dalla gavetta’: ciò che gli ha consentito di formarsi una vastissima gamma di mezzi espressivi, sia nel genere comico sia in quello drammatico, e di sviluppare una versatilità capace di svariare dalla farsa alla tragedia shakespeariana e al dramma moderno. Debutta nel 1947 con Eduardo De Filippo e rimane con lui sino al ’52, quando, in seguito a una scelta meditata e tutt’altro che facile per un attore di estrazione dialettale, lo lascia per affrontare, sia pure in piccole parti, nientemeno che Cechov, Turgenev e Goldoni; e, per giunta, in compagnie come quelle di Andreina Pagnani, Luchino Visconti, Renzo Ricci e Anna Magnani. Di pari passo, cresce via via l’importanza dei ruoli. Nella stagione 1957-58, allo Stabile di Palermo, è Verri in Questa sera si recita a soggetto di Pirandello e l’anno dopo viene scritturato dal Piccolo Teatro di Milano. La grande popolarità arriva nel 1972, allorché, insieme con il fratello Carlo, fonda una propria compagnia, che nel 1983 vince il premio Positano per aver ottenuto il più alto incasso al botteghino fra tutte le compagnie di prosa italiane. Fra i testi portati al successo da Aldo e Carlo Giuffé, Francesca da Rimini di Petito, A che servono questi quattrini? e I casi sono due di Curcio e, soprattutto, La fortuna con l’Effe maiuscola di Eduardo De Filippo e ancora Curcio, in cui Aldo disegna del personaggio di Erricuccio, un minorato mentale, un ritratto assolutamente indimenticabile.