Gibellina,

Tra i ruderi della vecchia Gibellina, distrutta dal terribile terremoto del Belice (gennaio 1968), si muove, ormai da quindici anni, la macchina del teatro delle Orestiadi di Gibellina. Nate da un’idea di Emilio Isgrò, che aveva tradotto in dialetto siciliano la trilogia di Eschilo (poi allestita, dal 1983 al 1985, per la regia di Filippo Crivelli e le macchine sceniche di Arnaldo Pomodoro), le Orestiadi rappresentano un momento fondante del progetto – fortemente voluto, tra gli altri, da Ludovico Corrao – di ricostruzione urbanistica e di rinascita artistica e culturale della città; un progetto che data almeno dal 1978, anno della mostra La città frontale di Pietro Consagra, artefice della grande `stella’ di pietra che segna l’ingresso alla nuova Gibellina, ricostruita a valle (mentre accanto ai ruderi, come presenza della memoria, si stende il bianco sudario del Cretto di Alberto Burri). Dal 1986 al 1990, sotto la direzione artistica di Franco Quadri, le Orestiadi si proiettano sulla scena internazionale come uno dei luoghi deputati a coniugare memoria e ricerca teatrale, attraverso progetti – presentati quasi sempre in anteprima assoluta – connotati da una forte carica di innovazione: Le Troiane di Euripide (1988), nella messa in scena del giovane e geniale regista belga Thierry Salmon; La creazione del Mondo o La conquista dell’America del cineasta e scrittore apolide, benché di origine cilena, Raul Ruiz (1990), che si svolge nell’arco di due giornate tra i ruderi e un altro suggestivo spazio scenico, il Baglio delle Case di Stefano; la trilogia Les Atrides, una grande produzione del Théâtre du Soleil, ideata e diretta da Ariane Mnouchkine (1991).

Ma già nel 1990, con la guida della sezione arti visive affidata ad Achille Bonito Oliva e con l’istituzione di una sezione cinematografica e di una dedicata alla musica etnica, Gibellina sperimenta in maniera sempre più forte la pratica della contaminazione tra i diversi linguaggi espressivi; nel frattempo, attraverso l’inaugurazione degli Ateliers del Mediterraneo (cui si affiancherà il Museo Officina diretto da Enzo Fiammetta), si pone come luogo privilegiato di transiti e di scambi culturali e artistici, con una particolare apertura verso il mondo islamico-mediterraneo. Dalla stretta collaborazione tra Bonito Oliva e Roberto Andò (scrittore e regista, chiamato a dirigere nel 1991 la sezione teatro) nascono, tra il 1992 e il ’94, due importanti eventi interdisciplinari: il progetto teatrale Metamorfosi di una melodia (1992), ideato e curato dal cineasta israeliano Amos Gitai (insieme allo stesso Andò e a Enrico Stassi), che trae ispirazione dalle cronache dell’assedio di Masada descritto nella Guerra giudaica di Flavio Giuseppe (nel cast il regista americano Samuel Fuller, Hanna Schygulla, Enrico Lo Verso; musica di Markus Stockhausen); e il progetto multimediale di Bob Wilson (musica di Philip Glass) T.S.E. – Come in under the shadow of this red rock, da La terra desolata di T.S. Eliot, che si articola in un lungo seminario-laboratorio nel 1993 e nell’allestimento definitivo – che rilegge in chiave contemporanea la tradizione dei ‘mistery plays’ medioevali – nel suggestivo Baglio delle Case di Stefano nel settembre 1994. Nonostante l’istituzione, nel 1992, della fondazione ‘Orestiadi’, i curatori del festival hanno dovuto superare, negli ultimi anni, i ritardi e gli ostacoli della burocrazia e della politica regionale, continuando peraltro a dispiegare capacità progettuali e produttive anche nella cornice del più giovane ‘Festival di Palermo – Sul Novecento’. Il cartellone teatrale dell’edizione 1998 ha segnato comunque il pieno rilancio del festival che ha ospitato, tra l’altro, il nuovo allestimento di Ruggero Cappuccio Il sorriso di San Giovanni e il laboratorio del grande regista lituano Eimuntas Nekrosius Verso Macbeth.