Gallotta

Fantasioso affabulatore, performer irriverente, soprattutto autore di una scrittura coreografica d’ispirazione surrealistica che intrattiene stretti rapporti con la scrittura letteraria e si sviluppa attraverso figure retoriche e ambiguità di significato, Jean-Claude Gallotta è tra gli esponenti di spicco della cosiddetta `nouvelle danse’ anni ’80. A differenza dei colleghi e coetanei francesi (ad esempio Maguy Marin) si è avvicinato alla danza molto tardi (a vent’anni), convinto infine che il corpo sarebbe stato il suo vero strumento espressivo. Interrompe così gli studi di belle arti, condotti nella città natale, per allestire spettacoli amatoriali e saggi con danzatori. Apprende la tecnica del tip tap e studia danza classica e moderna (1976-78), mentre continua a creare eventi multidisciplinari di strada, in appartamenti e studi abbandonati. Di ritorno da un soggiorno a New York, dove scopre l’universo coreografico di Cunningham, il teatro di Wilson e le novità dei coreografi postmoderni, fonda a Grenoble il Groupe Emile Dubois‘ (1979). La compagnia ha il nome di un personaggio fittizio che consente al futuro creatore delle esilaranti Les aventures d’Ivan Vaffan (1984) di alimentare una leggenda attorno all’inesistente Dubois, inizialmente spacciato per un danzatore-coreografo di secondo piano e di scarsa fortuna nell’entourage dei Ballets Russes.

Il progetto del `Groupe’, che nel 1981 si stabilisce alla Maison de la culture di Grenoble e nel 1984 diviene Centre chorégraphique national, è di riunire danzatori, attori, musicisti come Henri Torgue (compositore di gran parte delle coreografie anni ’80 di G.), scenografi e costumisti (come Jean-Yves Langlais, dal 1980 accanto a Jean-Claude Gallotta con lo pseudonimo di Léo Standard) e artisti visivi. Dopo Pas de quatre e Mouvements , l’opera rivelazione che tra l’altro dà il via alla `nouvelle danse’, è Ulysse (1981), un successo internazionale, ripreso e mutato non solo nel titolo ( Les variations d’Ulysse ), ma anche nella componente musicale (di Jean-Pierre Drouet) per il balletto dell’Opéra di Parigi nel 1995. Al primo Ulysse fanno seguito, nel 1982, Grandeur nature e Daphnis et Chloé – suggestiva versione intimista e in bianco e nero del celebre balletto di Ravel -, Hommage a Yves P. (pièce in quattro parti del 1983), Mammame I (1985) e Mammame II (1986). Sono coreografie dal linguaggio gestuale sgraziato, in cui le movenze quotidiane diventano parossistiche al limite della gag; Jean-Claude Gallotta stesso – sempre alla ricerca del movimento goffo e del difetto fisico – ne è il principale modello per i suoi ballerini. I temi suggeriti nascono dall’eterogenea tribù degli interpreti, dalle loro passioni e tensioni reciproche. Ma alle dinamiche creative di gruppo, basate anche sulle improvvisazioni, si aggiungono, specie in Les Louves et Pandora (1986), Docteur Labus (1988), Les mystères de Subal (1990), i racconti fantastici, mitologici e le leggende popolari che nutrono la danza a partire dalla parola come introduzione o citazione di una memoria.

I due lungometraggi Rei Dom ou La légende des Kreuls (1989) e Mémoires d’un dictaphone (1991) proseguono nella stessa direzione di ricerca che si arricchisce di nuovi paradossali e surrealistici racconti-mito: La légende de Roméo et Juliette (1991) e La légende de Don Juan (1992). Successive creazioni come La tête contre les fleurs (1995) e Rue de Palanka (1996) si contraddistinguono per la scelta di partiture musicali di Alfred Schnittke e con La rue e La chamoule ou L’arte d’aimer (1997) segnano un ritorno a una più libera, multidisciplinare e multietnica coreografia di strada. Grazie alla Petite Renard rusée di Leóš Janácek, di cui firma regia e coreografia, G. si avvicina al teatro d’opera nello stesso anno – il 1995 – delle creazioni La solitude du danseur per il Balletto di Lione e Lumières per il Théâtre national de Bretagne a Rennes. Direttore artistico della Maison de la culture di Grenoble (1986-90), dirige dal 1997 anche una seconda compagnia, Spac Dance, a Shizuoka (Giappone), che si è unita al `Groupe Emile’ Dubois in occasione della creazione Le songe d’une rue d’été (1997).