Friel

Deve il suo successo teatrale a un sapiente sfruttamento delle tecniche del racconto breve, che risente peraltro della lezione di Cechov. Nei primi anni ’60 esordisce a teatro insieme ad autori come Murphy, Kilroy e Leonard e diviene con loro il simbolo della nuova generazione drammaturgica irlandese. L’emigrazione rappresenta per lui la piattaforma drammatica su cui esplorare i diversi stati di isolamento e d’angoscia ( The Loves of Cass McGuire , 1967; The Gentle Island , 1971; Aristocrats , 1979; Faith Healer , 1979). Il topos dell’esilio e l’emigrazione divengono nei suoi testi una condizione metafisica che colpisce la nuova generazione; all’interno della sfera individuale privata F. trova terreno fertile per indagare il divario tragico tra coscienza ed esperienza. Tra gli altri suoi lavori si ricordano: Philadelphia, Here I Come! , (1965), scritto in seguito alla sua esperienza di esilio formativo a Minneapolis; The Mundy Scheme , (1969); Living Quarters , (1977), un dramma basato sul mito di Fedra; Translations , (1981), sulla storia e le alterne fortune della lingua irlandese, che funge sia da soggetto sia da mezzo per stimolare nel pubblico la questione dell’identità nazionale. Tra i più recenti: Wonderful Tennesse , (1993), dove F. presenta la chiesa come un monumento decaduto e offre il teatro come spazio sacro sostitutivo; Dancing at Lughnasa , (1990), ridotto per il cinema da Frank McGuinness; e Molloy Sweeney , (1994).