filodrammatica

Anche `teatro amatoriale’, in quanto chi vi lavora è comunemente definito un dilettante dell’arte drammatica, che recita cioè per passione, senza proporsi fini di lucro. Il teatro dilettantesco o filodrammatica, dopo le sue diversificate forme storiche di teatro sacro, teatro di corte, teatro di circostanza, teatro pedagogico eccetera, diventa teatro dei filodrammatici, nella sua accezione moderna, verso la fine del Settecento, quando gruppi di dilettanti si organizzano in modo più o meno stabile, nelle due forme giunte fino a noi, cioè come filodrammatica `laica’ e filodrammatica `parrocchiale’, con una benemerita appendice nell’ambito del recupero sociale, con psicologi ed animatori che si avvalgono del teatro amatoriale come strumento di socializzazione e come terapia in comprensori carcerari e comunità di tossicodipendenti o di portatori di handicap. Oggi, casalinghe, ragionieri, artigiani, impiegati, professionisti, in una società di esasperata massificazione, trovano il tempo, dopo una giornata di lavoro, di dedicarsi a un appassionato lavoro di prove, di ricerca, di sperimentazione, in ciò poco differenziandosi dai professionisti. In realtà non esistono differenze sul piano etico. Il filodrammatico dedica il suo tempo libero al teatro come scelta culturale, come autorealizzazione vocazionale e morale; il professionista consacra tutta la sua vita al teatro con le stesse motivazioni, ma ricavandone la necessaria remunerazione. Ma anche questa è una fragile classificazione. la cosiddetta multimedialità spinge oggi molti attori professionisti ad attività che poco hanno a che vedere con la totale consacrazione al teatro (spot pubblicitari, doppiaggi, infime prestazioni merceologiche), e il teatro rimane una marginale e spesso oscura gratificazione morale. Tanto teatro di poesia, parrocchiale, oratoriale o laico, nasce invece da una totalizzante passione irruenta e disinteressata, peraltro senza sovvenzioni e finaziamenti. Filodrammatico, insomma.