Fabbri

L’intensa attività teatrale – ben quarantaquattro sono i testi che recano la sua firma – trova il momento più fortunato negli anni ’40 e ’50, quando Diego Fabbri, insieme a Betti, si impone come il più rappresentato autore di spettacoli moralmente e civilmente impegnati. Sono questi gli anni in cui Diego Fabbri, formatosi giovanissimo nelle filodrammatiche cattoliche della nativa Forlì, approda a Roma e riesce ad assicurarsi una posizione di tutto rispetto con gli allestimenti di Orbite (Teatro Quirino, 1941), Paludi (rifacimento de Il nodo; Teatro delle Arti, 1942), La libreria del sole (Teatro Quirino, 1943; regia di Sergio Tofano), allestiti da compagnie di nome come la Bragaglia e la Tofano-Torrieri. La stagione più fortunata è comunque quella dei cosiddetti processi morali, quando F. riesce a dar pieno sviluppo, con una abilità drammaturgica accresciuta dalla parallela esperienza radiofonica (a cui farà seguito l’impegno di sceneggiatore per la tv), a un teatro di idee e di contenuti, ispirato da un cattolicesimo inquieto e conflittuale, ma anche saldamente ancorato alla `lezione’ dei padri della drammaturgia novecentesca, Pirandello su tutti. Le pièce a più forte impatto – anche se tuttora oggetto di discussione – sono Inquisizione (Teatro Odeon, Milano, 1950), Rancore (Teatro La Soffitta, Bologna, 1950, con l’interpretazione di Salvo Randone), Processo di famiglia (Teatro Carignano, Torino, 1953) e soprattutto Processo a Gesù , rappresentato per la prima volta al Piccolo di Milano nel 1955 per la regia di Orazio Costa e poi esportato – con straripante successo – in tutti i principali teatri mondiali. Parallelamente, secondo una traiettoria che spesso disorientò pubblico e critica, Diego Fabbri rivela tutta la sua abilità anche nei territori del profano, creando testi inclini a sondare usi e costumi dell’Italia del tempo, quali Il seduttore (Teatro La Fenice, Venezia, 1951, regia di Luchino Visconti) e La bugiarda (Teatro di via Manzoni, Milano, 1956). Gli anni ’60 e ’70 rappresentano un periodo di appannamento della vena creativa e di un conseguente ridimensionamento del suo successo. Numerosi sono comunque gli allestimenti di sicura efficacia come l’adattamento dei Fratelli Karamazov di Dostoevskij (Teatro della Cometa, Roma, 1960), Il ritratto d’ignoto (Teatro della Cometa, Roma 1962), Lo scoiattolo (Teatro Nuovo, Milano, 1963), Il confidente (Teatro la Fenice, Venezia, 1964), L’avvenimento (Teatro Duse, Genova, 1967), l’adattamento dei Viceré di De Roberto (Teatro Ambasciatori, Catania, 1969) e quello del Mastro don Gesualdo di Verga (Teatro delle Muse, Catania, 1974), i lavori per la televisione: La notte della speranza , (1969), Ipotesi sulla scomparsa di un fisico atomico (1972), SMG 507 (1977). Al Dio Ignoto (1981) è l’ultima opera di un autore mosso dal desiderio di dare al pubblico «una verità autentica, che conti davvero per gli uomini sofferenti di oggi e di domani».