De Sica

Noto per essere stato, con duecento film all’attivo, uno dei patriarchi del neorealismo e, nello stesso tempo, uno degli attori più cordiali, inventivi, simpatici (da ricordare la sua collaborazione con Loren e Mastroianni), De S. nasce all’arte in teatro. Destinato a dignitosa carriera bancaria, fu lo stesso padre a spingerlo verso lo spettacolo. «Recitami qualcosa» gli disse Tatiana Pavlova, cui il giovane De S., appena diplomato, si era recato per un’audizione. «Sì, ma che cosa?». «Una cosa qualsiasi». A De S. venne in mente la `Cavallina storna’ e la recitò, ma dopo la prima strofa la Pavlova lo interruppe: visto e preso, scritturato. Era il 1923 e qui inizia la carriera dell’attore, accanto all’artista russa che rivoluzionò allora la scena. Un anno e mezzo dopo, De S. passa con Luigi Almirante, anche per la necessità di recitare in italiano, magari pensando in dialetto: De S. non accettò mai la dizione scolastica del teatro, mantenendo una `contaminazione’ linguistica che secondo alcuni sta alla base anche del suo impegno veritiero nel cinema. Così De S. recita al fianco di mattatori d’epoca, Italia Almirante, Donadio, Renzi, Chellini, Tofano, Melnati, imparando l’arte del brillante, del fine dicitore; e conosce così quella che nel 1937 diventerà la sua prima moglie, Giuditta Rissone, con cui nel 1930 fa compagnia. Una compagnia tutta di giovani diretta da Guido Salvini, che si era fatto le ossa con la compagnia del Teatro d’arte (1925-28) di Pirandello poi con Max Reinhardt. Rischiano per la gloria, con un repertorio prematuro e sofisticato, allestendo, incompresi dal pubblico, L’amore fa fare questo e altro di Achille Campanile e Alla prova di Lonsdale. A salvarli dal disastro arriva il regista Mario Mattoli, ex avvocato che si era dato allo spettacolo leggero e che, intuendo le doti di De S. e dei compagni, li inserisce nella compagnia di riviste ZaBum n. 8 (con Rissone, Pilotto, Melnati, Besozzi, Roveri, Pina Renzi, Rina Franchetti) di cui è ideatore, scrittore, animatore. Inizia per De S. la lotta tra i suoi due `ego’, che si ripeterà anche al cinema: da un lato l’attore drammatico, dall’altro quello brillante. Vince ai punti del successo il secondo; nel 1933 lavora con Tofano e Rissone e dal 1935 al ’42, ormai volto popolare del cinema ( Gli uomini, che mascalzoni! ), De S. dirige la compagnia Rissone-Melnati, con un repertorio comico sentimentale il cui maggior successo sarà Due dozzine di rose scarlatte di De Benedetti, che dirigerà poi anche al cinema. Nel 1940, con Tofano e Rissone, recita il Pirandello di Ma non è una cosa seria e Liolà , che riprenderà poi da regista, nel 1961, in una produzione di Ardenzi con Achille Millo; nel 1943 partecipa a Il dilemma del dottore di Shaw (regia di Salvini) e a Goldoni e le sue sedici commedie nuove di Ferrari. Nel 1944 il suo nome è in cartellone con testi di Viola e una rivista di Metz, accanto a Maltagliati, Cimara, Ninchi, Miranda, la Giusti. Nel 1945 nasce la compagnia De Sica-Gioi-Stoppa, con Catene diretta da Giannini, e con la regia di Blasetti recita Il tempo e la famiglia Conway di Priestley. Dopo la guerra il teatro per De S. è ormai un ricordo: il cinema, che gli regala subito l’Oscar, lo occupa a tempo pieno, anche se nel 1947 prende parte per la Biennale, con la regia di Simoni, all’ Impresario delle Smirne di Goldoni con Ferrati, Morelli, Stoppa, Pagnani e Stival, mentre nel 1949 omaggia Gherardo Gherardi in Lettere d’amore con Pagnani, Cervi, Stoppa. Ma l’episodio più risonante è il Matrimonio di Figaro di Beaumarchais allestito da Visconti nel 1946, cui seguono I giorni della vita di Saroyan e Le cocu magnifique di Crommelynck.