De Chirico

Giorgio De Chirico iniziò l’attività di scenografo con i Ballets Suédois di Rolf de Maré nel 1924, per La giara , il balletto di Casella ispirato a Pirandello. In questa, come in altre sue scenografie, De C. compie delle rivisitazioni del proprio stile in pittura e degli eventi e delle suggestioni che ne hanno segnato i vari momenti. Alla scena solare di questo primo lavoro, ispirata alle sue Ville romane , seguono i bozzetti di Le bal di V. Rieti per i Balletts Russes di Monte-Carlo del 1929, dove compaiono, sotto forma di spezzati, le visioni arcaiche di rovine grecizzanti ed elementi naturali racchiusi nello spazio architettonico di una stanza. Tutte citazioni del suo lessico pittorico, come il cavallo in corsa nell’apertura sullo sfondo, inquadrata nel paesaggio marino, e la musa assopita da un lato. Nel 1931 si dedicò al balletto Bacchus et Ariane di Roussel per l’Opéra di Parigi, dipingendo scene e costumi mitologici di notevole suggestione. Seguiva l’esperienza nella prosa con La figlia di Jorio di D’Annunzio, per la regia di Pirandello, nel 1934. Tornò al balletto, di nuovo con Diaghilev, per il Protée al Covent Garden di Londra, nel 1938, e con il coreografo Milloss nel 1942 e 1944, rispettivamente per Anfitrione alla Scala e Don Juan all’Opera di Roma. Nel frattempo, iniziava la sua attività nel teatro d’opera per il Maggio fiorentino, inaugurata con le scene per I Puritani di Bellini. Molte le citazioni e i riferimenti. Finestre e portali a teatrino si aprono nello spazio chiuso su vedute di fantasia che riprendono la grafia dei suoi Bagni misteriosi. Spazi e memorie araldiche citano con ironia l’armamentario tardometafisico dei suoi quadri. La giocosa e ricca vena fantastica di Giorgio De Chirico si sbizzarrisce nella serie dei famosi bozzetti per i costumi e nei disegni per l’attrezzeria scenica. Ben diversa è l’atmosfera nell’ Orfeo di Monteverdi, del 1949. Sono gli anni del neoromanticismo dechirichiano. Il bozzetto per il siparietto, con i personaggi del melodramma in posa da atelier in una scena all’aperto, col tempietto dechirichiano sullo sfondo, e il bozzetto per la scena degli inferi, sono due saggi di pittura di ambientazione classica a cui fanno coro i costumi. Nell’ Ifigenia di Pizzetti del 1951 la scena dell’accampamento, realizzata essenzialmente come un fondale dipinto in sintonia col neoseicentismo dechirichiano, acquista un valore scenico nel progressivo avvicinamento dei piani scenico-pittorici, risolto dall’artista con la doppia sequenza della medesima composizione rappresentata in due diversi fondali, dallo stesso punto di vista ma a diversa distanza. L’ultimo lavoro per il Maggio fiorentino, Don Chisciotte di Frazzi, si articola in una movimentata rappresentazione scenico-illustrativa. Lo spazio del palcoscenico, inquadrato dal drappeggio di un sipario innalzato, gioca con ambiguità tra l’illustrazione da fondale dipinto e la creazione di ambienti scenici spaziali.