De Capitani

Ha legato il suo nome al Teatro dell’Elfo, entrandone a far parte nel 1973 e interpretando una dozzina di spettacoli diretti da Gabriele Salvatores. Nel 1982 firma la sua prima regia: Nemico di classe di Nigel Williams, spettacolo iperrealista con cui scuote la scena italiana, rivelando al tempo stesso attori giovanissimi (Paolo Rossi, Claudio Bisio, Antonio Catania) scelti dopo un anno di provini. Nel 1983 è nominato regista stabile. Con Ferdinando Bruni, Ida Marinelli e Cristina Crippa, De Capitani rivoluziona stile e repertorio, inaugura una linea attenta alla drammaturgia contemporanea, ponendo l’Elfo su una linea molto avanzata di ricerca. Mette in scena Visi noti, sentimenti confusi di Botho Strauss, autore mai rappresentato prima in Italia, e L’isola di Fugard che gli valgono il premio Ubu. Nel 1985 scrive per Paolo Rossi, Antonio Catania e Cristina Crippa un episodio di Amanti messo in scena da G. Salvatores (premio Idi). Nell’87 allestisce Il servo di R. Maugham, riscritto pensando alla sceneggiatura cinematografica di H. Pinter e al romanzo di E. Flaiano Tempo di uccidere . Segue il primo classico: Sogno di una notte di mezza estate (a cui ritornerà nel ’97) tradotto dalla poetessa romana Patrizia Cavalli. Dall’anno successivo De C. sperimenta un nuovo metodo di lavoro basato sul confronto con altri registi. Dirige a quattro mani con Ferdinando Bruni Le lacrime amare di Petra von Kant di Fassbinder, dirige Nanni Garella nei Creditori di Strindberg e ne viene diretto nella Signorina Giulia . Ormai ha creato una riconoscibilissima linea stilistica, improntata a un espressionismo `dark’, al ruolo paritario di recitazione, suono e immagine, a un giovanilismo critico che lo porta al gioco del teatro sul teatro espresso con una recitazione molto stilizzata. Arrivano La danza immobile di C. Crippa (1989), Il pozzo dei pazzi che segna l’incontro con il palermitano Franco Scaldati (1990), Risveglio di primavera di F. Wedekind. Il 1991 è l’anno della Bottega del caffè di Fassbinder da Goldoni, trasformato in una sorta di livido western lagunare in bianco e nero. Sono, insieme con i ritorni a Fassbinder, le prove più originali e persuasive. Quando, nel ’93, De C. approda al grande teatro commerciale, dirigendo a Spoleto Mariangela Melato in Un tram chiamato desiderio di T. Williams, mostra quanto il suo modello stilistico sia incompatibile con le esigenze della spettacolarità `ufficiale’. Nel ’94 torna con Amleto al clima più congeniale della spersonalizzazione tragica, proiettando l’attore (F. Bruni) nel suono amplificato della sua voce. Nel ’95 allestisce il suo primo Koltès ( Roberto Zucco ) e affronta per la Biennale di Venezia il primo testo teatrale di Pasolini, I Turcs tal Friul .