D’Amico

Silvio D’Amico rappresenta uno dei cardini attorno al quale è nato il nuovo teatro italiano del Novecento. Critico attivissimo, inizia come ‘vice’ di D. Oliva nell’ottobre del 1914 alla redazione di “Idea Nazionale”; scrive, poi, su “La Tribuna”, il “Giornale d’Italia” e, dal 1945 al 1955, su “Il Tempo”. Tiene anche rubriche teatrali su diversi periodici: “La festa” (1923-28), “La fiera letteraria” (1925-26), “L’illustrazione italiana” (1947-48 e 1952-55), “L’approdo” (1952-54). Dal 1945 è titolare delle cronache drammatiche alla Rai, per la rubrica “Chi è di scena”, poi raccolte nel volume Palcoscenico del dopoguerra (1953). Figura completa di critico, Silvio D’Amico oltre che cronista è storico di raro acume, firmando un’imponente Storia del teatro drammatico (1939-40), e grande organizzatore culturale: a lui si deve, infatti, la fondazione della Accademia d’arte drammatica di Roma, prima scuola di recitazione e regia in Italia, che porta ora il suo nome (1935-38), e l’ideazione e direzione dell’ Enciclopedia dello Spettacolo , pubblicata in nove volumi tra il 1954 e il 1962 (con un decimo volume di aggiornamento, impresa ancora unica in ambito europeo. Particolarmente attento a quanto avveniva all’estero, in particolare Germania e Francia, Silvio D’Amico sin dagli inizi della carriera prende posizione per un rinnovamento radicale della scena italiana, che doveva porsi al livello delle altre arti e del resto d’Europa, introducendo, per la prima volta, l’idea di un ‘teatro di regia’. Dopo Il teatro dei fantocci (1920) in cui esamina i maggiori contemporanei, Shaw e Benavente, chiarisce la sua idea di teatro in Tramonto del grande attore (1929), dove si schiera apertamente contro la figura del mattatore, contro il nomadismo e il dilettantismo del teatro. Una riforma che concerne, quindi, soprattutto la scena, gli attori e i capocomici: già nel 1914 indica in Ermete Novelli la figura paradigmatica dei pregi e dei difetti degli attori italiani, mentre inneggia alla compagnia di Benini quale modello artistico e organizzativo, o a Ruggeri come attore di stile moderno. Con Silvio D’Amico si profilano, dunque, l’idea di regista e di teatro d’arte (come già in Pirandello e nel suo lavoro di capocomico dal 1925 al 1928), in scritti come La crisi del teatro (1931), Invito a teatro (1935, sui rapporti tra Stato e teatro), Il teatro non deve morire (1945) e Mettere in scena (1954). Capostipite di una famiglia di studiosi e critici, D’A., di profonda fede cattolica, è stato caloroso polemista: celebri le dispute con M. Praga sul teatro borghese e con A.G. Bragaglia, giudicato eccessivamente avanguardista.