Dada

Dada nasce nel 1916 a Zurigo dove, nel pieno del conflitto mondiale, trovano rifugio scrittori, poeti, pittori e intellettuali. I suoi inizi risalgono all’apertura del Cabaret Voltaire fondato dal tedesco Hugo Ball che, già assistente di Max Reinhardt, organizza qui una serie di serate ispirate alle formule spettacolari di Berlino. L’attività del cabaret richiama la partecipazione di personaggi come T. Tzara, E. Hennings, H. Arp, M. Janco, R. Huelsenbeck, H. Richter, che in breve tempo danno vita all’esplosione d. Il movimento si pone da subito contro i valori e le strutture della cultura tradizionale. Avverso a ogni sorta di dogmatismo e di rigidità programmatica, prende le distanze dalle teorie artistiche circostanti e precedenti, e si caratterizza per l’assenza di un’estetica di base, facendo piuttosto della caoticità, della spontaneità e dell’improvvisazione i presupposti di una nuova visione del mondo. Nel rifiuto di quella concezione borghese che pone l’arte al di sopra e al di fuori dei valori contingenti dell’esistenza, d. intende abbracciare totalmente l’espressione vitalistica dell’individuo svelandone la sua natura intima, di norma celata dai condizionamenti imposti dalla società. «Dada non è follia né saggezza né ironia guardami, gentile borghese. L’arte era un giuoco, i bambini riunivano le parole che hanno una soneria alla fine, poi gridavano e piangevano la strofa, e le mettevano gli stivaletti delle bambole, e la strofa divenne regina per morire un poco, e la regina divenne balena e i bambini correvano a perdifiato…»: con affermazioni di questo tipo, Tzara proclamava un ritorno dell’arte alle origini dell’umanità e indicava nella spontaneità e nell’immediatezza i termini di un fare poetico che fosse espressione della vita stessa (da qui l’interesse per l’arte africana e oceanica). Le idee di Tzara e degli altri esponenti d. trovano diffusione attraverso la nascita di diverse pubblicazioni: la rivista “Cabaret Voltaire” (1916; raccoglie le prime espressioni della nuova avanguardia); la rivista “Dada” (1917-20; riassume l’imperativo anarchico dell’impresa d. nella caoticità della sua veste editoriale); il Manifesto dada, proposto da Tzara (presentato nel 1918; afferma la volontà dissacratoria del movimento imponendo il suo rifiuto perentorio di ogni scuola e corrente artistico-letteraria). Ma è soprattutto attraverso le sue esibizioni esplosive che d. si impone all’attenzione pubblica. Nonostante le sue premesse anarchiche e antiprogrammatiche dà vita, infatti, a una particolare forma di spettacolo che viene definendosi nel corso delle celebri `serate’ che si susseguono a Zurigo tra il 1916 e il 1919. Queste manifestazioni prevedevano l’improvvisazione di spettacoli movimentati dove letture di poemi d., presentazioni di quadri, composizioni musicali, balli, sketch si succedevano in una kermesse di creazioni fantasiose e irriverenti che terminavano nella baraonda più totale provocata dal pubblico e dagli stessi autori. Lo spirito di queste serate è conservato nei ricordi di Tzara che nella sua Cronique Zurichoise così descrive la prima manifestazione d.: «si grida nella sala, si batte, prima fila approva seconda fila si dichiara incompetente il resto grida, chi è più forte si porta la grancassa, Huelsenbeck contro 200, Ho osenlatz accentuato dalla enorme grancassa e i sonagli al piede sinistro – si protesta si grida si rompono i vetri ci si uccide si demolisce ci si batte la polizia interruzione…..».

Con la sua carica sovversiva e distruttiva la rappresentazione dada abolisce i principi dell’estetica teatrale convenzionale. Elimina la presenza di un testo e di una trama coerente, proponendo un insieme di giochi di parole e divertimenti linguistici all’insegna dell’illogicità e della dissacrazione. Svincolando così la parola dal suo significante restituisce al linguaggio la sua forza ritmica ed evocativa e opera, come voleva Tzara, nel recupero della poesia vista appunto come gioco e spontanea creazione. Insieme al testo la drammaturgia d. annulla la funzione del personaggio: il dadaista non interpreta un ruolo ma porta sulla scena se stesso, con il proprio nome, presentando al pubblico invece del prodotto artistico il processo creativo stesso e realizzando così nella rappresentazione il proposito di una totale fusione tra arte e vita. Come abolisce ogni distanza tra arte e vita così annulla la separazione fra la scena e la sala coinvolgendo il pubblico alla partecipazione attiva dei suoi spettacoli: le rappresentazioni d. sono solite scatenare la reazione violenta dello spettatore che si sente offeso dall’assurdità e incomprensibilità dei contenuti proposti e hanno tanta più presa laddove agiscono davanti ad un pubblico intellettuale, esperto di arte moderna che, in quanto tale, oppone una maggiore resistenza alle provocazioni lanciate. Il coinvolgimento del pubblico avviene anche attraverso la diffusione di false notizie e messaggi sbalorditivi sui giornali che allargano l’azione dello spettacolo portandola all’interno del vissuto quotidiano. Il gruppo zurighese, a cui si aggiunge in un secondo momento F. Picabia, si trasferisce poi a Parigi (1919) dove viene accolto dai membri della rivista “Littérature”. Qui dà vita ad un altro fervido periodo di manifestazioni ed esposizioni a cui partecipano poeti e scrittori come A. Breton, L. Aragon, P. Eluard, P. Soupault, G. Ribemont-Dessaignes. Con il sopraggiungere di disaccordi e polemiche all’interno del gruppo parigino d. dichiara la sua fine nel 1922, ma l’eco della sua azione si protrae nello spirito di cui sono improntate le avanguardie successive, a partire dal surrealismo. Il fenomeno d. si estende in varie città europee dove, data la sua antiprogrammaticità di fondo, prende diverse forme di espressione assumendo a Berlino un carattere più violentemente politico (R. Huelsenbeck, R. Haussman, J. Baader, J. Heartfield, G. Grosz sono fra i suoi maggiori esponenti), mentre a Hannover (con K. Schwitters) e a Colonia (con Arp, M. Ernst, J.T. Baargeld) manifesta un’atteggiamento ironico e umoristico. A New York d. si sviluppa soprattutto nell’ambito delle arti plastiche e pittoriche per opera di M. Duchamp (ricordiamo i `ready made’), F. Picabia e Man Ray. Storicamente va annoverato tra i dadaisti `ante litteram’ Apollinaire che, pur non avendo esplicitamente aderito al movimento, ne ha precorso la drammaturgia nelle sue esperienze artistiche: già nel 1912 partecipa infatti alla messinscena di Impressions d’Afrique , sorta di divertimento linguistico e nel 1914 è protagonista di A quelle heure un train partira-t-il pour Paris? (1914), pantomima con un personaggio senza volto; dimostrerà poi un palese contatto con l’avanguardia nella sua creazione Les mamelles de Tirésias (1917).