Cocteau

Fin da giovanissimo Jean Cocteau frequentò i circoli letterari e artistici più in vista di Parigi, cosa che lo portò a intraprendere quell’avventura intellettuale che fece di lui una delle personalità più singolari di Francia per oltre mezzo secolo. Nell’attività febbrile che gli fece sperimentare quasi tutti i generi artistici, giocando spesso un ruolo di primissimo piano, non è probabilmente al teatro che Cocteau ha riservato il meglio di se stesso. E tuttavia il teatro, al pari del mondo della danza e del balletto, non ha mai cessato di affascinarlo: nella sua produzione ha via via saputo riflettere, a volte anche simultaneamente, tutte le mode letterarie del suo tempo ricco di ‘ismi’ e di avanguardie. Personalità più che mai poliedrica, ha affrontato il balletto collaborando con Diaghilev ed elaborando scenari, manifesti, soggetti per spettacoli che hanno fatto la storia del genere. Dopo Le Dieu bleu con Fokine (musica di R. Hahn, 1912), le polemiche esplosero con Parade (1917), balletto cubista e parodistico di cui aveva scritto il soggetto e di cui Satie e Picasso avevano fornito rispettivamente musica e scene. Con le sue originali scenografie riuscì anche a dar vita a una realtà poetica complessa, in cui elementi scenici quotidiani diventavano fiabeschi (Les mariés de la Tour Eiffel, 1921). In seguito contribuì al successo dei Ballets des Champs-Élysées, soprattutto con Le jeune homme et la mort (coreografia del giovane R. Petit, 1946), realizzando anche scene e costumi di molti balletti per l’Opéra, tra cui Phèdre (coreografia di S. Lifar, 1950).

Dopo il balletto venne il teatro, e Cocteau fu il primo in Francia a tentare di ritrovare e far rivivere lo spirito dell’antica tragedia greca e di stabilire analogie tra essa e la cultura moderna; di qui la rielaborazione di antichi miti in chiave contemporanea. All’adattamento fedele dell’ Antigone di Sofocle (1922) seguirono Roméo et Juliette (1924) e Orphée (1926), esercizi che gli permisero poi di trarre dall’ Edipo re elementi per La macchina infernale (La machine infernale), andato in scena nel 1934 alla Comédie des Champs-Élysées: pièce tra le sue più famose, in cui appunto si condensa tutta la storia di Edipo, con ammiccamenti al pubblico e sapienti anacronismi, che ne fanno un grande gioco letterario più che un vero viaggio alle origini della tragedia. In seguito C. si compiacque di accostarsi a tutti i generi, sfiorando sovente il ‘pastiche’. Ha tentato la féerie medievale con I cavalieri della tavola rotonda (Les chevaliers de la Table Ronde, 1937), il melodramma con I mostri sacri (Les monstres sacrès , 1940), la tragedia neoclassica in versi con Renaud et Armide (1943), il dramma neoromantico con L’aquila a due teste (L’aigle à deux têtes, 1946), che vide il trionfo di due mostri sacri della scena, Edwige Feuillère e Jean Marais, futuro compagno di Cocteau.

Una parte di rilievo, nella lunga lista di testi scritti per la scena, occupano ancora gli atti unici e i monologhi tra i quali, celeberrimo anche per i suoi vari adattamenti, La voix humaine (1930). Il capolavoro tuttavia – più che con le opere citate e con Bacchus (1952), creato in clima esistenzialista e in antagonismo a Sartre – doveva sfiorarlo con lo spietato quadro de I parenti terribili (Les parents terribles), dramma andato in scena con molto clamore nel 1938 e grande esempio di ‘pièce moderne’ collegata al Boulevard littéraire, che poi Anouilh illustrerà brillantemente. Cocteau fornì inoltre alcuni libretti d’opera: tra essi Le pauvre matelot di Milhaud (1927) e Oedipus Rex di Stravinskij (1927), dramma in cui una situazione da vaudeville sfocia in tragedia. Anche nel cinema, infine, di cui ebbe variamente a interessarsi, Cocteau confermò l’eclettismo del suo stile, diviso tra dadaismo e neoclassicismo, tra sperimentalismo e visionarietà; a ben testimoniare, Orfeo (1950).