clown

Il c. è una delle figure fondamentali della pista del circo. Sebbene la definizione sia stata poi allargata a comprendere tutti quegli artisti che, in vari contesti, basano le loro rappresentazioni sulla comicità e sull’istrionismo da giullare (Dario Fo, Roberto Benigni, Jerry Lewis, solo per fare qualche esempio), nel circo la clownerie si è manifestata in tipologie sufficientemente connotabili, con interessanti sviluppi avvenuti proprio nel ‘900. Il secolo si apre con le due più importanti figure di c. già abbastanza definite: il c. bianco, il cui trucco sembra sia stato ispirato dal Pierrot portato al successo dai Debureau, e l’augusto o `rosso’ (in Italia detto anche `toni’), discendente invece dalle prime figure comiche della pista, che avevano il compito di spezzare la tensione degli spettacoli equestri con contorsioni, salti a terra e spettacolari cadute. È però negli anni ’10, con il duo Footit & Chocolat, che si definisce il rapporto conflittuale fra bianco e augusto, che fa la storia del c. di questo secolo. La coppia permette un contrasto fra i due artisti, che può essere di tipo fisico (alto-basso, grasso-magro), psicologico (astuto-ingenuo), morale (onesto-canaglia) o sociale (maestro-servitore, ricco-povero). La maschera dell’augusto è di solito in sintonia con il suo carattere, mentre la varietà di tipi contrasta con la ripetitività della maschera del bianco, in costume elegante. All’inizio del secolo i tandem di c. si formano, sciolgono e ricompongono a seconda delle esigenze di scritture. Fra le coppie più note: Tonitoff e Antonet, Antonet e Grock, Alex e Porto, Antonet e Beby, Manetti e Rhum, Pipo e Rhum e i livornesi Dario e Bario. A volte l’augusto tenta la via del solista trasformandosi di fatto in `eccentrico’, termine che più che un vero e proprio genere designa il distacco dalle tipologie più classiche; fra questi raggiungono la fama Grock e Charlie Rivel. Sono poi i Fratellini (i c. più amati da artisti e intellettuali della Belle Époque), dopo la Prima guerra mondiale, a lanciare la formazione a tre, con un c. bianco e due augusti, che avrà numerosissimi emuli e finirà per soppiantare quasi del tutto il `duo’. Curioso come, nonostante il successo di alcuni c. e la giovialità dei loro caratteri anche nella vita privata, la percezione della figura impressa nell’immaginario collettivo è ancora quella del `c. triste’, per i motivi ben descritti da Jean Starobinski nel suo Ritratto dell’artista da saltimbanco . Comunque, con il trio Fratellini si afferma una comicità più rilassata, non dovuta solo al contrasto (spesso stridente) tra bianco e augusto, ma alla validità delle situazioni rappresentate, come nella tradizione della commedia dell’arte. Nasce in pratica il concetto di `entrata comica’, che rimane fino a oggi il più diffuso nelle piste dei circhi di tutta Europa. A lato di questi numeri, che possono durare sino a trenta-quaranta minuti, si delinea la figura dell’augusto `di serata’ o `di ripresa’, specializzato nell’esecuzione di piccole esibizioni, spesso effettuate ai margini della pista per permettere agli inservienti di preparare l’attrezzeria per i numeri seguenti. Fa eccezione l’America dove, negli immensi spazi dei circhi a tre piste, i c. devono presentare una comicità più spicciola e immediata, composta essenzialmente da piccole gag visuali (come nel caso di Lou Jacobs). L’America è però anche patria delle maggiori figure comiche razziali, come il `tramp’ o il `black face’, i cui esponenti raggiungono momenti di qualità artistica rilevanti (W.C. Fields, O. Griebling, E. Kelly). Nel dopoguerra le `entrate comiche’ italiane più conosciute vedono protagonisti i Rastelli, i Caroli e in seguito i Colombaioni (che però trovano ben presto un loro particolare itinerario teatrale), mentre si distinguono ben pochi c. di ripresa di valore assoluto (come Fumagalli). Buoni livelli vengono raggiunti da alcune formazioni iberiche (gli Aragon, i Rudi Llata). Salvo queste rare eccezioni, gli anni ’50 e ’60 vedono un’involuzione della clownerie, con gli artisti che si limitano a replicare in maniera sterile il repertorio classico, finendo per sclerotizzare la disciplina. È Federico Fellini, grande appassionato di circo, a illustrare la crisi del personaggio nel suo I clowns (1970), surreale ma nitida fotografia dell’ambiente circense di quegli anni, ove il c. sembra destinato a sparire del tutto. La salvaguardia e il recupero di tale figura sono principalmente dovuti a tre fattori: l’affermazione di giovani talenti provenienti dalla scuola del Circo di Mosca (come Oleg Popov), che rivitalizzano la disciplina studiandone a fondo i repertori e le tecniche (con la possibilità, offerta dal circo statale, di disporre di autori teatrali per i soggetti delle nuove `entrate’); la rivisitazione nostalgica del vecchio repertorio da parte di nuovi operatori circensi, spesso provenienti dall’esterno, come Bernhard Paul del Roncalli o Pierre Etaix (con Annie Fratellini); e soprattutto la nascita di una figura assolutamente nuova nel panorama circense, quella del `mimo comico’, proveniente il più delle volte dal teatro di strada (David Shiner), ma anche dal teatro di pantomima (Enghibarov o Dimitri). Questi solisti propongono una comicità di assoluta rottura rispetto al repertorio classico della clownerie, introducendo moderne tecniche di linguaggio del corpo e il coinvolgimento degli spettatori, escludendo quasi del tutto i dialoghi. All’interno degli spettacoli di `nuovo circo’ tali artisti possono anche assumere la funzione di filo conduttore dello spettacolo o di io narrante, come René Bazinet in Saltimbanco del Cirque du Soleil, Christian Taguet nel Baroque e Bernard Kudlak nel Plume ; possono inoltre tentare il recupero della figura dell’eccentrico stile Grock ed esibirsi prevalentemente in spazi teatrali. Data la loro particolare formazione, si spingono a volte su sentieri di sperimentazione, non sempre con risultati positivi. Questo movimento di rigenerazione porta però anche alcuni esponenti di famiglie di tradizione a cimentarsi con successo in significative innovazioni (David Larible e Bello Nock), mentre altri figli d’arte continuano a mantenere le tradizioni familiari (Pipo Sosman, Tino Fratellini). Sul principio degli anni ’90 si rinfresca anche la tradizione del comico di varietà che, con una sapiente commistione fra c. e mimo di circo, riesce a proporre una comicità dal sapore alquanto originale (come il tedesco Harald `Hacki’ Ginda). Recentemente sono nati anche gruppi di mimi che riprendono in parte la formazione tradizionale del bianco e degli augusti, sia pure con un’impostazione del tutto originale; anche questi sembrano però destinati più alle tavole del palcoscenico che alla segatura della pista. Cosa del resto abituale per numerosi altri artisti comici, che hanno scelto di utilizzare tecniche circensi o della clownerie classica per montare moderni spettacoli teatrali ( Le Cirque imaginaire di Jean-Baptiste Thierry e Victoria Chaplin, Buffo di Howard Buten, fino a Leo Bassi o Jango Edwards).