Claudel

L’incontro con Rimbaud e con la fede cattolica nello stesso anno 1886 illumina la strada del giovane Paul Claudel, un uomo che, sul finire del XIX secolo, si dice disperato dal clima intellettuale in cui trionfa il positivismo materialista. Paul Claudel comincia a frequentare i martedì di Mallarmé, a trasporre Eschilo (l’Agamennone) e Shakespeare, ad apprezzare – pur prendendone le distanze – il dramma simbolista di Villiers de l’Isle-Adam e poi di Maeterlinck. Negli anni Novanta pubblica le sue prime pièces teatrali, Testa d’oro (Tête d’or), dramma di un conquistatore che muore per essersi ingannato sulla terra promessa (il testo troverà il suo primo e migliore allestimento nel 1959, al Théâtre de France, per la regia di Jean-Louis Barrault; nel 1980 la rappresentazione, voluta dal regista Daniel Mesguich, è ostacolata dagli eredi di Paul Claudel) e La città (La ville), ambientata nella Parigi della Comune, la cui minaccia di distruzione diviene simbolo della minaccia di distruzione dell’uomo che non vuole conoscere Dio (La città sarà portata in scena per la prima volta nel 1955, con la regia di Jean Vilar). Ai primi due drammi seguono, fra il 1892 e il ’96, Lo scambio (L’échange; rappresentata nel 1914 da Jacques Copeau al Vieux-Colombier), La jeune fille Violaine – versione iniziale di L’annuncio a Maria (L’annonce faite à Marie), il primo testo teatrale di C. messo in scena (1912, Théâtre de l’Oeuvre, regia di Lugné-Poe) – e Il riposo del settimo giorno (Le repos du septième jour). Nel 1890 ha anche inizio la carriera diplomatica di Paul Claudel: dapprima console negli Stati Uniti, in Cina e in Brasile, sarà anche ambasciatore a Tokyo (1921-26).

In Cina incontra Rose Vetch, la donna sempre amata e vagheggiata, che troverà una trasposizione letteraria nel personaggio di Ysé in Partage de midi (1906). Quest’opera, che ha al centro il doppio nucleo tematico dell’adulterio e della lotta fra la vocazione religiosa e il richiamo della carne, inaugura l’entrata in scena del solo, vero personaggio drammatico secondo Paul Claudel: Dio (nel 1927, al Théâtre Alfred Jarry, A. Artaud, R. Aron e R. Vitrac proporranno, scandalizzando i surrealisti, il terzo atto del Partage de midi , senza l’autorizzazione di Paul Claudel). Intanto il lavoro sulla trilogia di Eschilo prosegue e si precisa: nasce il progetto di musicare il testo poetico tradotto, in collaborazione con Darius Milhaud, già autore delle musiche di scena per Agamemnon (1914) e Les Choéphores (1915) e segretario di Paul Claudel durante il soggiorno a Rio de Janeiro (1917-18); frutto di una gestazione decennale, arricchita da altre esperienze comuni (l’opera-oratorio Christophe Colomb , Berlino 1930), L’Orestiade sarà rappresentata, nelle sue tre parti, soltanto dopo la morte del poeta (Berlino 1963).

A partire dal 1908 Paul Claudel elabora il disegno di un dramma ambientato nel XIX secolo, non più simbolico – ossia immagine della sofferenza interiore – ma `tipico’, che diventi cioè «illustrazione rigorosamente concepita della vasta Azione esteriore». Nasce così la trilogia costituita da L’ostaggio (L’otage; rappresentata nel 1914, regia di Lugné-Poe, con Eve Francis nel ruolo di Sygne de Coûfontaine), narrazione immaginaria dei rapporti fra papa Pio VII e Napoleone; Il pane duro (Le pain dur), ambientata trent’anni dopo, sotto il regno di Luigi Filippo (da segnalare l’allestimento di Gildas Bourdet al Centre dramatique national di Lilla, 1984); infine, Il padre umiliato (Le père humilié): la protagonista – una giovane cieca, figlia del parricida Luigi-Napoleone Turelure, alla ricerca della fede, la trova infine nella rinuncia di sé. Il tema annuncia quello che sarà il cuore dell’opera monumentale di Paul Claudel, Lo scarpino di raso (Le soulier de satin, 1919-24). Qui la scena si allarga all’universale, in tutte le sue dimensioni; i protagonisti, Rodrigue e Prouhèze, troveranno un senso alla loro ricerca nel sacrificio dell’amore in nome della fede. Pièce che si vuole totalmente estranea alla convenzione realista, Lo scarpino di raso presenta – anche a livello scenico – grandi innovazioni: l’improvvisazione svolge un ruolo preminente e le scene si susseguono a vista. Il primo allestimento (in versione ridotta) è del 1943, alla Comédie-Française, per la regia di Barrault (che la riprenderà nel 1949, 1958, 1963 e nel 1980 al Théâtre d’Orsay). La prima rappresentazione integrale dell’opera non è teatrale, ma cinematografica e si deve a Manoel de Oliveira (1982); risale invece al 1987 l’integrale teatrale – prima ad Avignone, poi al Théâtre national de Chaillot – firmata da Antoine Vitez (scene e costumi di Yannis Kokkos), il quale tenta, nel suo allestimento, di mettere in pratica la massima di Paul Claudel: «il dramma è un sogno diretto».

Infine Ida Rubinstein, nel 1934, commissiona al drammaturgo francese e al compositore Arthur Honegger un’opera vicina ai Misteri medioevali, tratta dagli atti del processo a Giovanna d’Arco; ne nasce, dopo molte esitazioni da parte di Paul Claudel, l’oratorio drammatico Giovanna d’Arco al rogo (Jeanne d’Arc au bûcher), rappresentato – dopo una prima esecuzione in forma di concerto, Basilea 1938 – nel 1942 a Zurigo. Due sono i tributi postumi offerti a Paul Claudel, degni di nota per la loro estraneità ai circuiti del teatro recitato: il 27 marzo 1989, durante il periodo pasquale, la televisione francese programma a mezzogiorno lo spettacolo integrale di Vitez; nel 1985 il compositore Pierre Boulez tributa un omaggio all’opera claudeliana con Le dialogue de l’ombre double.