Chéreau

Nato in una famiglia di artisti (il padre è un noto pittore, la madre disegnatrice), allievo al liceo Louis-le-Grand di Parigi, Patrice Chéreau si unisce subito alla compagnia formata dagli studenti di cui diventa, con Jean-Pierre Vincent (anche lui futuro regista), direttore. Per questo gruppo firma, a vent’anni, la sua prima regia, L’intervention di Victor Hugo, che lo rivela alla critica più attenta per «una vitalità teatrale che sembra inesauribile» (Bernard Dort). Inizia così il suo apprendistato registico, che culmina nel 1966 quando diventa direttore del Théâtre de Sartrouville, una città dormitorio a quindici chilometri da Parigi; qui nel 1967 mette in scena I soldati di Lenz, che lo fa conoscere anche a un pubblico internazionale e, fra l’altro, un Don Giovanni di Molière in cui il protagonista incarna la crisi dell’intellettuale moderno. Il grave deficit accumulato lo costringe ad abbandonare il teatro. Nel 1969 esce per la prima volta dai confini francesi, per dirigere un’opera di Rossini al festival di Spoleto (un’ Italiana in Algeri destinata a fare scalpore).

Subito dopo, nel 1970, firma Riccardo II di Shakespeare a Marsiglia, affiancato – come già a Spoleto – da quelli che diventeranno i suoi collaboratori fissi: lo scenografo Richard Peduzzi e il costumista Jacques Schmidt. In questo spettacolo – tutto giocato sul ruolo fatale di un re bambino omosessuale, incapace di rispettare le regole di una società che farà di tutto per liberarsi di lui – Patrice Chéreau, sull’onda di un’eccentrica colonna sonora che mescola Maria Callas a Janis Joplin, ritaglia un ruolo anche per sé. Sempre in quell’anno Paolo Grassi lo chiama al Piccolo Teatro, dove Patrice Chéreau dirige tre spettacoli: da uno sconcertante e sconvolgente Splendore e morte di Joaquín Murieta di Neruda (1970), in cui rappresenta, con un’evidenza carnale, la sua idea di `teatro politico’ come apoteosi, travestimento e derisione, al gelo brechtiano di Toller di T. Dorst, parabola di una rivoluzione fallita (1971), fino alla stupefacente Lulu (1972), il più bel Wedekind che si sia visto in Italia, dove – per raccontare la vita fatale e drammatica di una donna che porta rovina a sé e agli altri – riesce a raccogliere attorno a sé, con l’autorità di un maestro, attori come Renzo Ricci, Valentina Cortese, Tino Carraro, Alida Valli.

Intanto, fra uno spettacolo e l’altro al Piccolo, firma, sempre a Spoleto, La finta serva (1971), il suo secondo Marivaux (dopo una giovanile L’ereditiera del villaggio , festival di Nancy 1965): autore destinato a una continuità nella vita artistica di questo regista, che dirà su di lui cose definitive, fino alla strepitosa messinscena della Dispute (Parigi 1973). Intanto ha già messo in scena Massacro a Parigi di C. Marlowe (al Théâtre National Populaire di Villeurbanne, 1972), spettacolo claustrofobico giocato su di un palcoscenico invaso dall’acqua, elemento primigenio e apocalittico insieme. Sempre a Villeurbanne firma il suo unico Ibsen, Peer Gynt , con Gérard Desarthe. Dopo un periodo speso da Patrice Chéreau, fra l’altro, a rivoluzionare l’iconografia delle interpretazioni wagneriane con l’allestimento a Bayreuth de L’anello dei Nibelunghi (1976, direttore Pierre Boulez), visto come una parabola sull’ascesa e la caduta di una stirpe industriale, gli anni che seguono vedono l’ex enfant terrible dirigere, a partire dal 1982, il Teatro di Nanterre, con l’idea di farne, al tempo stesso, un’istituzione stabile e in movimento, aperta, dove si rappresenta un repertorio che si potrebbe definire eclettico, mescolando il prediletto Marivaux alla scoperta di un giovane talento – destinato a sparire troppo presto – come Bernard-Marie Koltès, di cui diventa il regista a partire dal 1983, con Negro contro cani protagonista Michel Piccoli. Un sodalizio che si sublima nelle tre edizioni di Nella solitudine dei campi di cotone , di cui due interpretate dallo stesso Patrice Chéreau.

Sempre a Nanterre mette in scena I paraventi di Genet (1983) poco prima della scomparsa dell’autore, che spesso assiste alle prove e pare condividere il lavoro del regista. Sempre a Nanterre – che apre a registi come Luc Bondy e Pierre Romans – monta il suo celebre Amleto freudiano (1988) con musiche di Prince, con Gérard Desarthe che trionfa ad Avignone e in mezzo mondo. Dopo le dimissioni dalla direzione del teatro questo artista geniale e inquieto si dedica essenzialmente al cinema dove, a partire dal 1975 con Un’orchidea rosso sangue (a cui partecipano alcuni attori della Lulu come Alida Valli, Valentina Cortese e Renzo Ricci), ha diretto con alterne fortune, fra l’altro, Judith Therpauve con Simone Signoret (1978), La regina Margot con Isabelle Adjani, Vincent Perez e Virna Lisi (1994), e il recentissimo Quelli che amano prendono il treno (1998).