censura

Il rapporto fra l’artista e lo Stato non è mai stato tranquillo, anche per la naturale predisposizione del primo all’inquietudine e alla curiosità intellettuale verso tutto ciò che lo circonda, connotati da un’insofferrenza verso tutto ciò che è limite e divieto. A seconda dei vari regimi, nel mondo, il problema ha portato a forme repressive più o meno violente. I grandi artisti hanno tutti avuto problemi di censura, dovunque; per quanto riguarda l’autore più grande del nostro Novecento (Pirandello), il suo Sei personaggi in cerca d’autore quando nel ’23 si è affacciato ai palcoscenici del mondo ha trovato l’ostacolo dell’Inghilterra (a Londra è stato rappresentato in un circolo privato per interessamento di G. B. Shaw) e il divieto dei Soviet in Russia. In Italia, l’abolizione ufficiale della censura sul teatro di Prosa è del 1962. Sulla censura teatrale del ventennio ci soccorre un volume di Leopoldo Zurlo ( Memorie inutili, edito dall’Ateneo di Roma nel 1952) e si possono citare, fra gli altri, i casi di Tovarisch di Deval il cui permesso fu ottenuto da Paola Borboni direttamente da Mussolini nel ’34; le polemiche alla rappresentazione di Milano da parte della compagnia di Laura Adani, primo attore Vittorio Gassman, per Adamo di Achard (imperniato sul dramma di un omosessuale): polemiche, disordini e divieto di rappresentazione che hanno provocato un intervento dell’Ambasciata di Francia (1945); e, non ultimo ma forse più grave, l’intervento di una `altissima personalità cattolica’ per la rappresentazione di All’uscita di Pirandello al teatro Angelicum di Milano, nel quadro della `Settimana siciliana’ da parte della compagnia di Michele Abruzzo il 20 maggio 1954: la rappresentazione cancellata poche ore prima dello spettacolo con un comunicato che segnalava una variazione di programma «per l’ndisposizione di un attore» fu sostituita da alcune poesie dialettali, in una serata che, introdotta da una breve conferenza di A.G. Bragaglia, era proseguita da un discorso di M. Apollonio sull’apporto dell’arte siciliana alla cultura italiana. Ancora potremmo aggiungere, ma solo a titolo esemplicativo, il divieto a La governante di Brancati (1962), l’interruzione da parte della polizia, della presentazione in un circolo privato di via Belsiana a Roma, de Il vicario di Hochhuth diretto da M. Volontè (1965); Cronache dell’italietta di G. De Chiara e M. Costanzo viene proibito poco prima del debutto dal Presidente della commissione ministeriale di censura, perché `a suo parere’ lo spettacolo non rientrerebbe nel genere prosa ma in quello di rivista (poiché secondo la legge del ’62 rimangono ancora sottoposti a censura preventiva i lavori teatrali «eseguiti in rivista o commedia musicale a musica ed azioni coreografiche prevalenti»; e ancora gli interventi contro Giovanni Testori ( L’Arialda , regista Visconti, proibita a Milano, dopo la prima, nonostante le recite già andate in scena a Roma), il Living Theater (espulso dall’Italia dopo le rappresentazioni al festival di Venezia!) e quelli di cui si è perso il conto contro Dario Fo.