Vergani

Orio Vergani mosse i suoi primi passi collaborando con le riviste “Cronache d’attualità” (diretta da Anton Giulio Bragaglia) e la “Fiera letteraria”. Successivamente divenne una delle più importanti firme del “Corriere della Sera” per cui lavorò sino alla morte. La passione per il teatro, pur risalendo alla giovinezza, non si mantenne costante nel corso della vita. Due, in particolare, sono le pièce degne di nota: Il vigliacco – rappresentata nel 1923 a Roma presso il Teatro Sperimentale di Guido Podrecca, zio di Vergani – e, soprattutto, Il cammino sulle acque, torbida vicenda familiare dai toni crepuscolari, in cui a farla da padrona è la sensazione che tutto nella vita sia insensato, dagli indispensabili obblighi sociali alla rovinosa incombenza dei ricordi.

Vitrac

Poeta, giornalista, regista, ma non teorico. Roger Vitrac viene considerato una figura di secondo piano del surrealismo, ancorché un precursore del `Théâtre Nouveau’. Il suo lavoro è difficile da classificare perché le sue rare rappresentazioni in teatri d’avanguardia hanno offerto spettacoli insoliti, talvolta scandalosi, ma in ogni caso in anticipo sui tempi. Nel 1922, durante una manifestazione dadaista, Vitrac incontra L. Aragon e A. Breton e con essi il surrealismo (A. Breton, tuttavia, per le sue tendenze anarcoidi, lo mette all’indice una prima volta nel 1925). Del 1923 sono Les Mystères de l’amour (un `drame surréaliste’ ambientato nell’universo intemporale del sogno, fatti salvi i riferimenti a Mussolini e a Lloyd George); nel 1926 con A. Artaud e R. Aron, fonda il Théâtre Alfred Jarry (che, curiosamente, nasce in contemporanea al Cartel di L. Jouvet, C. Dullin, G. Baty e G. Pitoëff): «Il nostro tema sarà: l’attualità intesa in tutti i suoi sensi; come mezzo: l’umorismo in tutte le sue forme; come scopo: il riso assoluto, il riso che va dall’immobilità inebetita allo scoppio del pianto». Agli inizi di giugno del 1927 sono messi in scena i primi spettacoli del Théâtre Alfred-Jarry, Humoristiques e Cruautés de la nuit .

I programmi successivi ricordano ancora, per commistione di generi e per audacia, i manifesti dadaisti: sono esposti i quadri concepiti dai tre fondatori, è rappresentato il terzo atto di Partage du midi di Claudel (senza che l’autore ne abbia dato l’autorizzazione); è proiettato, nel 1928, un film di Pudovkin che era stato censurato (La madre). Sempre nel 1928 sono messi in scena Il sogno di Strindberg e, soprattutto, Victor ou les Enfants au pouvoir, uno dei primi grandi tentativi di regia moderna e insieme l’ultimo spettacolo del Théâtre Alfred-Jarry. Teso a trascrivere «la vita come essa è», a sondare la difficilissima estetica del quotidiano, questo «dramma borghese in tre atti» (che si svolge a Parigi nel 1909, in un appartamento, dalle otto di sera a mezzanotte) raggiunge una tesissima drammaticità per l’isocronia della storia, della fabula e della rappresentazione, resa ancor più stridente dal linguaggio assolutamente anarchico utilizzato (in polemica non soltanto col linguaggio convenzionale, ma anche con quello quotidiano) e dal paradosso rappresentato dalla fisicità dei personaggi (Victor, bambino-gigante che cresce sempre più sulla scena; I. Mortemart, sorta di sfinge `modern’style’, incarnazione del destino o della morte che attende in abito da sera).

Se è possibile assimilare Vitrac alla corrente che va da E. Lear a A. Jarry, da E. Satie a B. Vian e a R. Queneau, egli annuncia sicuramente, con trent’anni di anticipo, ciò che E. Ionesco porta alle estreme conseguenze. Victor viene pubblicato nel 1929 e riceve una consacrazione postuma, nel 1962, da parte di J. Anouilh, che considera Vitrac «padre del teatro moderno». Tra le altre pièces di Vitrac, Le Coup de Trafalgar (1934, Théâtre de l’Atelier per il Rideau de Paris); Le Camelot (1936, Théâtre de l’Atelier); Les Demoiselles du large (1938, Théâtre de l’Oeuvre); Le Loup-Garou (1940, Théâtre des Noctambules, scene di R. Rouleau); Le Sabre de mon père (1951, Théâtre de Paris); Médor (1966, Théâtre du Studio des Champs-Elysées, in contemporanea con L’Air du Large di René de Obaldia); Entrée libre (1967, Théâtre Daniel-Sorano). L’ultima pièce di V., Le condamné, esce postuma nel 1964.

Varisco

Laureato presso la facoltà di architettura del Politecnico di Milano nel 1937, Tito Varisco frequenta la Scuola di scenografia di P. Reina all’Accademia di Brera a Milano. Si dedica negli anni successivi e sino al 1968 all’attività didattica presso la facoltà di architettura. Insegna alla scuola di scenografia dell’Accademia di Brera dal 1954 sino al 1980 diventandone anche direttore. Durante la sua lunga carriera professionale alterna l’attività di architetto (progettando importanti costruzioni tra cui il rifacimento del Teatro Vittorio Emanuele di Messina) con quella di scenografo. Partecipa all’attività della televisione sperimentale realizzando le prime scenografie televisive per uno spettacolo di prosa e di lirica. Sua è la creazione del Monoscopio di apertura e chiusura dei programmi televisivi trasmesso giornalmente sino al 1984. È chiamato alla Scala alla direzione dell’allestimento scenico negli anni dal 1970 al 1978 dove fonda, inoltre, la Scuola per giovani scenografi. V. caratterizza la sua attività professionale dedicandosi al coordinamento e alla realizzazione del lavoro altrui, pur non tralasciando l’ideazione scenica di opere liriche tra cui la Turandot di Puccini per la regia di F. Enriquez (Sferisterio di Macerata, 1970); la Favorita di Donizetti (Scala, 1974) e la Gioconda di Ponchielli (Bordeaux, 1976), entrambi con la regia di M. Wallman; Madama Butterfly di Puccini per la regia di A. Trionfo (Opera di Roma 1987) e la realizzazione dell’ Aida con la regia di M. Bolognini (Sfinge – Piramidi, Il Cairo 1987).

Valle-Inclán

Ramón María del Valle-Inclán è considerato uno degli autori maggiori del teatro spagnolo moderno. Originario della Galizia, in questa regione ambienta molti dei suoi testi, tra cui le Commedie barbare (Comedias bárbaras), una trilogia scritta tra il 1907 e il 1922, sorta di saga tragica e violenta della famiglia del protagonista, Juan Manuel de Montenegro, scritta in versi, come in versi sono le successive farse che culminano nella Farsa e licenza della regina autentica (Farsa y licencia de la reina castiza, 1920). Allo stesso anno risalgono Divine parole (Divinas palabras), tradotta nel 1941 da E. Vittorini, e Luci di bohème (Luces de bohemia), testi questi che entrano nel ciclo degli esperpentos, tragedie grottesche che ritraggono l’umanità in generale, ma soprattutto la realtà spagnola, attraverso «un’ estetica sistematicamente deformata», secondo le parole dell’autore. A questo genere, più vicino forse all’espressionismo tedesco che agli altri movimenti d’avanguardia europei, appartengono Le corna di Don Friolera (Los cuernos de don Friolera, 1921), I vestiti del defunto (Las galas del difunto, 1926) e La figlia del capitano (La hija del capitán, 1927). Luci di bohème è stato riproposto in Italia nel 1976 alla Biennale di Venezia e nel 1984 dalla Cooperativa Teatri di Sardegna con R. Vallone come protagonista.

Valeri

Dopo essersi messa in vista nei salotti mondani e intellettuali milanesi, da cui coglierà personaggi provocatori ispirati all’ambiente borghese contemporaneo (ricordiamo soprattutto la ‘Signorina Snob’, che animò anche in una serie di trasmissioni radiofoniche), Franca Valeri esordì come protagonista, nel 1948, in Caterina di Dio di G. Testori al Teatro della Basilica di Milano. Nel 1948-49 fu con la compagnia Tofano-Solari e la stagione successiva recitò al Piccolo Teatro di Milano (dove nel 1961 riscuoterà un successo personale come protagonista de La Maria Brasca di Testori), nella parte della Sciantosa in Questa sera si recita a soggetto e di Adele in La parigina di Becque (entrambi per la regia di Strehler).

Non ammessa all’Accademia ‘S. D’Amico’, ne rimase comunque legata, partecipando alle scenette dei suoi compagni di corso che diventeranno, in un secondo momento, il repertorio del Teatro dei Gobbi, compagnia fondata nel 1951 insieme ad Alberto Bonucci e Vittorio Caprioli (diventato poi suo marito). Con questa compagnia propose una nuovissima rivista da camera, mettendo in scena i suoi Carnet de notes n. 1 (1951) e Carnet de notes n. 2 (1952), una serie di sketch satirici sulla società contemporanea senza l’ausilio di scene e costumi. A questi seguirono nuovi spettacoli che assimilavano la forma della commedia a quella della rivista (L’Arcisopolo, 1955; Lina e il cavaliere 1958).

Dal 1960 iniziò a scrivere dei testi di cui fu anche interprete, tra cui: Le donne (1960), Le catacombe (1962), Non c’é da ridere se una donna cade (1978). Nel 1986 dirige R. Falk e M. Vitti in La strana coppia di N. Simon e traduce e adatta Ho due parole da dirvi di J.P. Delage; nello stesso anno interpreta un suo testo, Tosca e le altre due , in coppia con A. Asti e con la regia di G. Ferrara. Più di recente, Senzatitolo (1991), scritta e interpretata dalla V. e Leggeri peccati (1993) di A. Silvestri, di cui cura la regia. Negli anni ’60 lavorò per la televisione con lo spettacolo Le divine (1960) e come ospite fissa di Studio Uno. Tutti i suoi personaggi umoristici, come la Signorina Snob o la coreografa ungherese – fino a quelli presenti nel recente Sorelle, ma solo due – come diceva nostra madre (1997-98), divertente duetto interpretato insieme a Gabriella Franchini – celano dietro la maschera comica una sofferenza che denota, da parte dell’autrice, una grande lucidità di sguardo, che riesce sempre a centrare profondamente i caratteri, a volte anche attraverso l’aggiunta di cadenze dialettali e di accenti stranieri. Legata visceralmente alla Scala, dove ha maturato la sua passione per l’opera lirica, si è cimentata anche nella regia di melodrammi.

Viarisio

Proveniente dall’esperienza del teatro filodrammatico, Enrico Viarisio debuttò nel 1917 con la compagnia Carini-Gentilli-Baghetti. Recitò poi con Talli, la Melato, Betrone, Almirante, Gandusio, la Galli. A esaltare le sue doti mimiche fu il repertorio comico-pochadistico. Ebbe successo anche al cinema, al tempo dei `telefoni bianchi’. Fu interprete di riviste, al fianco di Wanda Osiris (Domani è sempre domenica, 1946-47; Si stava meglio domani, 1947-48; Il diavolo custode, 1950-51) e di Isa Barzizza (Valentina, 1955).

Vazquez

Primo artista della storia ad eseguire il quadruplo salto mortale. Di famiglia circense, Miguel Vazquez inizia la sua carriera al trapezio a tredici anni, dopo essersi esibito al trampolino elastico e alle sbarre parallele. Il suo primo triplo salto mortale risale al 1978. È ingaggiato da Ringling Bros and Barnum & Bailey, e nel 1981 inizia i tentativi del quadruplo che eseguirà per la prima volta in pubblico il 10 luglio 1982, afferrato dal fratello Juan. Nel 1990 gli viene conferito il Clown d’Oro al festival di Montecarlo.

Villaggio

Giovanissimo Paolo Villaggio entra a far parte della Rivista goliardica Baistrocchi (dedicata a uno studente genovese morto in guerra) poi comincia a frequentare i locali debuttando al Teatrino di piazza Marsala a Genova dove mette appunto il suo primo personaggio di successo: il tostissimo Franz (1965). Per mantenersi fa l’impiegato all’Italsider (dove ‘sul campo’ elabora quella che diventerà la maschera del ragionier Fantozzi) e parallelamente continua la sua carriera cabarettistica. Fino alla fine degli anni ’60 sarà uno degli ospitifissi del Derby Club di Milano, Il grande successo gli viene dalla radio (Il sabato del Villaggio), dalla tv (Quelli della domenica, 1968; Senza rete, 1971) e dal cinema con la famigerata serie di Fantozzi. Questi successi sono preceduti da esperienze variegate e curiose come il lavoro di intrattenitore sulle navi da crociera con F. De André e S. Berlusconi, allora pianista. In cerca di lavori più gratificanti e remunerativi si era anche trasferito a Roma dove aveva recitato in Sette per otto, uno spettacolo di cabaret. Poi, come si è detto, radio, cinema e tv fino al clamoroso e felice ritorno alle scene con L’avaro di Moliére, con la regia di L. Puggelli da un’idea di Strehler. Ovviamente il suo Arpagone più che al repertorio classico della tradizione attinge alla sua maschera cinematografica.

Vanoni

Diplomatasi nel 1956 alla scuola del Piccolo Teatro di Milano, Ornella Vanoni debutta lo stesso anno interpretando Nené in Questa sera si recita a soggetto diretta da Strehler (protagonisti T. Carraro, M. Moretti, V. Fortunato). Nella stessa stagione partecipa alla messa in scena dei Giacobini di F. Zardi in cui canta nei due intermezzi le ballate “Les rois s’en vont” e La Seine est rouge” dell’epoca della rivoluzione francese (le musiche sono arrangiate da G. Negri). È il preludio al recital Canzoni della malavita che debutta al Teatro del Popolo della Società Umanitaria nel 1959, sempre con la regia di Strehler (in estate approderà al festival di Spoleto). Seguono L’Idiota di Achard con P. Ferrari (1961) e il musical La fidanzata del bersagliere (1962). Nel 1961 entra nel giro dei cantautori genovesi, incontra G. Paoli, con cui avrà una lunga relazione, e incide il suo primo album omonimo.

Diventa popolarissima nel 1962 con la canzone “Senza fine” scritta per lei da G. Paoli (per tre mesi prima nella hit-parade) e viene chiamata da Garinei e Giovannini per Rugantino (in cui interpreta il ruolo di Rosetta accanto a N. Manfredi, B. Valori e A. Fabrizi) che viene replicato dal 1962 al 1965 e le permette di essere la prima attrice italiana a calcare le scene di Broadway. Da questo momento in poi la sua carriera sarà quasi esclusivamente musicale, ma manterrà un profondo legame con il primo amore, tanto che sarà la prima interprete a fare le tournée nelle sale teatrali. Nel 1975 è nella commedia musicale Amori miei di I. Fiastri, mentre nel 1985, dopo una lunga parentesi, affianca G. Albertazzi nella Commedia d’amore ; l’attore toscano la dirigerà nel monologo Lettera a una figlia di A. Wesker, nel 1993.