Vildrac

Nel 1906, con alcuni amici scrittori e artisti (tra cui G. Duhamel, di cui sposa la sorella), Charles Vildrac fonda il gruppo Abbaye. I componenti del gruppo scelgono di vivere in comune in un casolare a Créteil e di allestire una tipografia in proprio, per garantirsi la massima libertà d’espressione. Il primo testo di V. per il teatro è L’indigent (1912), rappresentato dai Pitoëff solo nel 1923, quando il nome dell’autore è già noto in seguito al successo di Le Paquebot Tenacity (messo in scena da J. Copeau al Vieux-Colombier nel 1920). Vildrac è un artista che non cede al facile successo commerciale; lo dimostra il contenuto numero delle sue pièces, che egli sottopone a una paziente correzione, prestando maggiore attenzione alla verità della scena piuttosto che al suo effetto sul pubblico. I suoi personaggi non vivono situazioni eccezionali: l’amore per una donna che contrappone due amici in Le Paquebot Tenacity ; il desiderio di evasione di una giovane donna in Le pèlerin (1926), le piccole incomprensioni che si possono nascondere al di sotto di un’amicizia apparentemente perfetta in La brouille (1931). Vildrac si cimenta, inoltre, con la commedia Trois mois de prison (1934, rappresentata nel 1942), Poucette (1936), Les pères ennemis (1946) e con il teatro per ragazzi (Milot, 1954).

Vil’tzak

Fratello dell’artista di circo Bim Bom, da ragazzo si è esibito nei circhi come danzatore e saltimbanco. Diplomatosi all’Istituto teatrale di Pietroburgo ha danzato al Teatro Marijnskij dal 1915. Nel 1921 ha lasciato la Russia e ha danzato con i Ballets Russes di Diaghilev, la compagnia di I. Rubinstein, il Teatro di Riga, il Balletto russo di Parigi, i Ballets Russes de Monte-Carlo. Interprete dei balletti di B. Nijinska ( Les Biches , Bolero ) di M. Fokine ( Don Juan ) di K. Jooss ( Persefone ) è stato protagonista in Il lago dei cigni , Bella addormentata , Bajadera , Giselle , Don Chisciotte , Il padiglione di Armida , Islamej , Notti egizian e. Ha incominciato la sua attività di insegnante al Teatro di Riga (1932-1933) poi alla School of American Ballet, a Washington e a San Francisco con la moglie L. Schollar. Fra i suoi meriti lo sviluppo della danza classica negli Usa, fra le sue allieve la cubana A. Alonso.

Vallone

Raf Vallone esordisce in teatro nel 1957 con Uno sguardo dal ponte di Arthur Miller per la regia di Peter Brook, ma, all’epoca, è già nella rosa degli attori più affermati del cinema italiano (Riso amaro di De Sanctis, Il cammino della speranza di Germi, Thérèse Raquin di Carné). L’esperienza del dramma milleriano, che segna la sua maturazione artistica, lo spinge a dedicarsi quasi totalmente al teatro, non solo nella recitazione, ma anche nella regia e nella scrittura drammaturgica. Alla fine degli anni Sessanta è impegnato nuovamente nel dramma di Miller di cui cura anche la regia e poi la messa in scena de Il prezzo. Nel 1970 debutta come autore con Proibito? Da chi?, che però non viene accolto molto positivamente dalla critica. Nel corso degli anni Settanta si divide fra gli impegni teatrali (Sei personaggi in cerca d’autore di Pirandello con la compagnia di J. Bertheau nel 1973, Il costruttore Solness di Ibsen diretto da F. Piccoli nel 1975) e quelli televisivi; si dedica anche alla regia lirica nella quale ottiene un buon successo con Norma di Bellini nel 1974. Nel 1980 torna a dirigere e interpretare una nuova edizione di Uno sguardo dal ponte. Negli anni successivi è impegnato con due registi tedeschi: K. M. Grüber (Nostalgia di Franz Jung, 1984 e La medesima strada di Eraclito, Empedocle, Parmenide, Sofocle, 1988, al Piccolo Teatro di Milano) e P. Stein (Tito Andronico di Shakespeare allo Stabile di Genova, 1989). Nel 1991 dirige Frankie & Johnny di Terence Rattigan, l’anno seguente interpreta Il presidente di Rocco Familiari (testo a lui dedicato) per la regia di K. Zanusi. Nel 1993 è impegnato nella elaborazione e interpretazione di Tomaso Moro dall’apocrifo scespiriano che viene presentato all’Estate teatrale veronese con la regia di Ezio Maria Caserta.

Verhaeren

Noto soprattutto per il suo apporto alla poesia simbolista, il suo primo lavoro teatrale è un dramma in quattro atti in prosa e in versi dal titolo Le albe (1898). Opera dai toni apocalittici e di forte impatto emotivo, ispirata a ideali di socialismo umanitario, in cui il protagonista Hérénien, dopo avere salvato la sua città assediata dalla distruzione, e averle ridato la pace, viene colpito a morte. Questo dramma fu rappresentato a Mosca al Teatro della repubblica socialista federale sovietica russa I, per la regia di Mejerchol’d nel 1920. Altri suoi lavori per il teatro sono: Le Cloître (1899), Philippe II (1901), Hélène de Sparte (1908).

Verga

Giovanni Verga nacque da una famiglia di piccola ma antica nobiltà terriera di Vizzini. Ricevette una formazione romantico-risorgimentale. Partecipò al corpo della Guardia Nazionale (1861-62). Annessa la Sicilia all’Italia, si trasferì a Firenze e a Milano, ma nel 1893 tornò definitivamente a Catania. Nel 1920 venne nominato senatore. Durante il periodo milanese pubblicò i romanzi e le raccolte di novelle che costituiscono i suoi capolavori (I Malavoglia, 1881; Mastro Don Gesualdo, 1888; Vita dei campi, 1880; Novelle rusticane, 1883) e che segnano la sua adesione alla poetica del verismo.

La produzione drammatica verghiana si distende per un ampio arco di anni e comprende indiscussi capolavori  (Cavalleria rusticana , 1884; In portineria , 1885; La Lupa , 1896). Nel 1901 scrisse e fece rappresentare due bozzetti scenici, Caccia al lupo , tratto da un suo racconto e Caccia alla volpe, con l’intenzione di ritrarre tipiche situazioni di triangolo amoroso a diverso livello: elementare e contadino il primo, più mondano il secondo. Del 1903 è Dal tuo al mio , che affronta la realtà dinamica del mondo economico in cui si trovano in conflitto la vecchia aristocrazia, la nuova borghesia della ‘roba’ e la piccola folla degli zolfatari affamati ma già uniti in un’embrionale organizzazione. Tra questi contrasti si delineano le vicende sentimentali dei personaggi. Il dramma venne interpretato in chiave antisocialista e reazionaria, in realtà l’opera non rivela l’ideologia, ma piuttosto la visione pessimistica dell’autore. Consapevole del carattere ambiguo che il lavoro teatrale aveva assunto alla sua rappresentazione, Verga lo pubblicò in forma di romanzo, premettendovi una dichiarazione di sfiducia nei confronti del teatro.

Veronesi

In sintonia con le proposte delle avanguardie razionaliste europee, dal Costruttivismo al Bauhaus, nel 1934 Luigi Veronesi espose, su sollecitazione di A.G. Bragaglia, due figurini in una mostra di scenografia a Milano. Da allora ideò vari lavori sperimentali rimasti allo stadio di progetti, ad esempio, per Balletto di G.F. Malipiero introdusse l’effetto bidimensionale con la proiezione di un film astratto sugli elementi scenici. Tra i lavori realizzati ricordiamo: Minnie la candida di R. Malipiero (1942), Histoire du soldat di Stravinskij (1981), Josephlegende di Strauss (1982) e Lieb und Leid su musiche di Mahler (1983).

Vallo

Ambra Vallo studia a Napoli con M. Fusco e R. Nuñez, al centro di Cannes e alla Scuola del balletto reale delle Fiandre, debuttando nel 1990 nel Balletto reale di Vallonie. Dal 1991 al 1993 balla come solista al Balletto reale delle Fiandre; dal 1993 al ’96 copre lo stesso ruolo all’English National Ballet, da cui passa al Birmingham Royal Ballet. Di temperamento brillante e briosa personalità primeggia nei ruoli da `commedia’ del repertorio classico accademico ( Coppélia; La fille mal gardée ; Don Chisciotte ); ma la sua tecnica cristallina e la purezza di linee la mettono in luce in balletti neoclassici come Square Dances e Concerto Barocco di G. Balanchine. È tornata in Italia come ospite al San Carlo di Napoli per la novità di L. Cannito Te voglio bene assaje (1997).

Villoresi

Ancora ragazzina Pamela Villoresi entra nella filodrammatica del Teatro Metastasio di Prato per poi cominciare a fare le prime esperienze da professionista, sempre nella sua città: nel gruppo Teatro Insieme (1972) e al Teatro Studio (1975). Inizia così una intensa carriera teatrale che la porta a lavorare con M. Missiroli, G. Mauri ( La dodicesima notte ) e G. Cobelli (Prove per una messa in scena della figlia di Iorio, 1973 e La Venexiana , 1977). Nel 1975 Strehler la chiama per Il campiello, primo di una lunga serie di spettacoli al Piccolo Teatro (Clarice nell’ Arlecchino servitore di due padroni, edizione del 1977; Temporale , 1978 ; Minna von Barnheim , 1982; la ripresa delle Baruffe chiozzotte , 1992; L’isola degli schiavi e Le utopie di Marivaux, 1994). A soli ventuno anni viene premiata a Saint Vincent per la sua interpretazione cinematografica nel Gabbiano di M. Bellocchio (1977). Nel 1980 interpreta una intellettuale Lulù di F. Wedekind con la regia di M. Missiroli, lavora poi con A. Innocenti come protagonista di una importante versione di La fiaccola sotto il moggio (1987, regia di P. Maccarinelli) e interpreta una discussa Desdemona nell’ Otello di V. Gassman. Grande successo riscuote come protagonista femminile, al fianco di N. Manfredi, in Gente di facili costumi . Una crisi la porta ad abbandonare Les liaisons dangereous dell’Eliseo, e non riesce a imporre la sua Ninni dallo Scialo di V. Pratolini. È anche la Santa Teresa riscritta da M. Vargas Llosa. Nel 1986 entusiasma i critici a Gibellina per la sua interpretazione della Didone di Marlowe, regia di Cherif, in cui recita anche in arabo. Nel 1992, oltre all’intepretazione di Crimini del cuore , è anche stata direttrice artistica del Festival delle Ville Tuscolane. Si cimenta anche nella regia di Taibele e il suo demone da I. B. Singer e E. Friedman senza lasciare un segno tangibile.

Vescovo

Bruno Vescovo studia alla Scuola di ballo della Scala entrando a far parte della omonima compagnia nel 1968. Nominato solista nel 1971 e primo ballerino nel 1975 si distingue per brio, comunicativa e brillantezza tecnica in ruoli di mezzocarattere del repertorio ottocentesco, come il passo a due dei contadini (Giselle), Franz in Coppélia, Uccellino azzurro in La bella addormentata , nonchè come Mercuzio in Romeo e Giulietta (coreografia Nureyev, 1982) e nel ruolo en travesti di Mamma Simone in La fille mal gardée (coreografia H. Spoerli, 1983). Ritiratosi nel 1994, è maitre de ballet in diverse compagnie italiane tra cui il Balletto della Scala e dell’Arena di Verona.

Velemir Teatro

Sorto all’interno dell’esperienza basagliana, Velemir Teatro è formato – come dichiarano gli stessi protagonisti – «da matti di mestiere e attori per vocazione». Alla base del progetto c’è l’idea che il teatro possa agire come terapia, e che tale luogo teatrale sia un terreno in cui le diversità si possano esprimere liberamente. Tra i loro allestimenti, tutti apprezzati per la genuina carica artistica, ricordiamo Mattiakovskij (1990), lavoro collettivo di riscrittura dell’opera di Majakovskij La rivolta degli oggetti , in cui si intrecciano le storie personali degli attori con quelle descritte dal testo e la rivoluzione vissuta dal poeta viene identificata con quella di Basaglia.

Valdi

Walter Valdi inizia ad accostarsi alla recitazione con riviste goliardiche come Il foro competente e Impara l’arpa , rappresentate all’Olimpia e al Manzoni di Milano alla fine degli anni ’50. In seguito frequenta la scuola di mimo del Piccolo Teatro e prende parte a diversi spettacoli diretti da M. Flash, con la quale collaborerà per un lungo periodo. Negli stessi anni si unisce al gruppo dei primi autori che al Derby Club di Milano danno vita al teatro cabaret, portando in scena canzoni e monologhi in dialetto milanese e in lingua (“La busa noeuva” e “La Malaguena”). Firma molte canzoni di successo, sono sue tra l’altro le famose “Il caffè della Peppina” e “Cocco e Drilli” che vincono due edizioni dello Zecchino D’oro. Si occupa di teatro, cinema e televisione in veste di attore e autore.

Tra le sue prime interpretazioni lo ricordiamo in spettacoli teatrali come Barchett de Boffalora, Tafante e Le sbarbine. Prende parte, come autore e comico, alla stagione 1970-71 della Compagnia stabile del Teatro Milanese al Gerolamo, nel corso della quale è rappresentata la sua commedia Ciappa el tram balorda . Per la televisione scrive e conduce numerose trasmissioni: è coautore di Monterosa 84 di cui è personaggio fisso e, per la televisione svizzera, nel 1973-74, insieme a E. Tortora e G. Marchetti, è animatore in I cari bugiardi . Anche nel cinema conta al suo attivo molti film con vari registi tra cui E. Olmi, L. Comencini, M. Nichetti, S. Corbucci. Nelle ultime stagioni ha interpretato con successo la commedia In portineria di G. Verga.

Voskressenskulm

Già ufficiale dei cosacchi, emigrato dalla Russia, Vassili Grigorievic Voskressenskulm fu attratto dal mondo dello spettacolo parigino. Dopo aver organizzato concerti nella capitale francese, divenne socio del principe Zenatelli nella creazione dell’Opera russa di Parigi nel corso delle stagioni 1925-1930. Nel 1932 diede vita insieme a R. Blum alla prima compagnia dei Ballets de Monte-Carlo, cominciando così una carriera nel mondo del balletto che sarebbe durata felicemente per una ventina d’anni. Da quest’esperienza nasceranno poco più avanti Les Ballets Russes du Colonel de Basil, destinati a diventare, nel 1940, l’Original Ballet Russe. Uomo tenace, energico e di un coraggio che sfiorava spesso l’incoscienza, grazie anche ai suoi modi affabili e alle sue grandi doti diplomatiche, seppe reggere assai bene le sorti di una compagnia apprezzata in tutto il mondo.

Viviani

Elisabetta Viviani studia all’Accademia dei Filodrammatici con E. Sperani, poi danza con L. Novaro. Recita al Teatro San Babila in una fiaba di Piccoli, poi è con la coppia Calindri-Zoppelli ne Il giorno che sequestrarono il Papa di Betancourt. Famosa in tv negli anni ’70 come interprete della sigla del cartoon Heidi , esce di scena nel 1981 dopo alcune operette e il film Asso con A. Celentano.

Vodani

Cesare Vodani frequenta la scuola del Teatro stabile di Torino e fa gavetta in teatro, cinema e televisione. Arriva al grande pubblico con il cabaret scrivendo assieme a T. Mazzara testi che interpreta sia dal vivo che sul piccolo schermo. Il primo è Neonati (1990), che va in scena all’Hiroshima mon Amour di Torino, seguono negli anni successivi: Spettatori, Solo i cammelli mi capiscono, Banditi e comete, Viaggi, Golpe!.

Verdy

Dopo aver studiato con C. Zambelli e V. Gsovsky, ancora adolescente Violette Verdy ha debuttato, nel 1945, ne Les Forains di R. Petit con i Ballets des Champs-Élysées. Dopodiché, sempre nella medesima compagnia, è stata una seducente Danae ne Les Amours de Jupiter dello stesso coreografo e ha splendidamente interpretato il ruolo di Euridice nell’ Orfeo di Lichine-Stravinskij. In seguito, l’esile, raffinatissima Verdy, ballerina dotata di una tecnica eccezionale – ma anche capace di donare ai suoi personaggi un’interpretazione penetrante e intelligente – sarà una memorabile `jeune mariée’ in Le Loup, sempre di R. Petit. Nel 1951 è comparsa al Maggio musicale fiorentino in creazioni di A. Milloss; nel 1955 è stata protagonista, alla Scala, della Cenerentola di Rodrigues-Prokof’ev. In quegli anni la sua arte è stata valorizzata anche dal cinema, in particolare nel film Ballerina (1949). Invitata ai grandi festival internazionali, étoile nel corso di lunghe tournée con il Festival Ballet di A. Dolin prima, poi con il Ballet Theatre di L. Chase, è passata tra le fila del New York City Ballet (1958-1977), dove ha dato straordinarie prove nei balletti di Balanchine. É stata esemplare interprete anche di coreografie di J. Robbins (Beethoven Pas de deux) esibendosi, fra l’altro, al festival di Spoleto. Dal 1977 al 1990 ha diretto il Ballet dell’Opéra. È stata direttore associato e in seguito direttore del Boston Ballet (1983).

Vergani

Nipote del marionettista Vittorio Podrecca e sorella del giornalista e autore teatrale Orio, Vera Vergani debuttò nel 1912 con la compagnia Benini. Due anni dopo entrò a far parte della Talli-Melato-Giovannini e nel 1916 diventò primattrice della compagnia di R. Ruggeri. Trascorse gli anni fondamentali della sua carriera nella compagnia di D. Niccodemi, dove dal 1921 fu primattrice per nove stagioni, affiancando L. Cimara. Di questo periodo va ricordato il suo contributo a due prime assolute pirandelliane, quelle dei Sei personaggi in cerca d’autore (1921) e di Ciascuno a suo modo (1924). Attrice affascinante ed elegante, si ritirò a soli trentacinque anni, dopo aver interpretato per l’ultima volta al Teatro Manzoni di Milano (gennaio 1930) uno dei testi a cui è legata la sua fortuna, La figlia di Iorio di D’Annunzio.

Vito

Vito nel 1982-83 partecipa, in qualità di ospite, agli spettacoli del Gran Pavese Varietà avviando con i componenti del gruppo Syusy Blady-Patrizio Roversi e, in particolare, con i fratelli Ruggeri, un sodalizio artistico che si protrarrà per alcuni anni della sua carriera teatrale e televisiva: la sua figura rigorosamente muta e stupita in note trasmissioni comiche come Lupo Solitario, Matrioska, Avanzi. Passa dal cabaret al teatro nel 1986 scrivendo e interpretando Self service. Dal 1990 inaugura una felice collaborazione con il regista D. Sala che lo dirige in Il mistero di villa Flora, con i fratelli Ruggeri (1990) e negli spettacoli scritti da Francesco Freyrie: Se perdo te (1991), Don Chisciotte la storia vera di Guerino e suo cugino con E. Iacchetti (1992) e Salone Meraviglia con T. Ruggeri e A. Albanese.

Vitti

Dopo il liceo, Monica Vitti (Maria Luisa Ceciarelli) si iscrive all’Accademia d’arte drammatica `S. D’Amico’, diplomandosi nel 1953. Se è il cinema ad averla resa famosa, prima con la trilogia di Antonioni (L’avventura, 1959; La notte, 1961; L’eclisse, 1962, alla quale si aggiunge Deserto rosso, 1964), poi con una carrellata di personaggi comici, ma di spessore (diretta da Scola, Monicelli, Risi, Sordi), è dal teatro che ha cominciato la sua carriera di attrice duttile, affermandosi tanto nei ruoli drammatici quanto in quelli comici. Il suo esordio fu all’interno della compagnia di Sergio Tofano nello spettacolo Il signor Bonaventura , dove interpretava il fedele cane bassotto del protagonista. Dopo aver preso parte a La mandragola di Machiavelli per la regia di Pagliero e Lucignani (1953) ed essere apparsa nella rivista Senza rete di Bonucci e Panelli (1954-55), nel 1956 interpreta Bella nella commedia omonima di C. Meano e Ofelia nell’ Amleto di R. Bacchelli; quindi partecipa insieme a A. Bonucci, G. Tedeschi e B. Valori a Sei storie da ridere per la regia di Mondolfo. Nel 1957 è interprete, con la compagnia Sbragia-Lisi-Ronconi, di Io sono una macchina fotografica di J. Van Druten, diretto da Antonioni, Scandali segreti di Antonioni e E. Bartolini e Ricorda con rabbia di Osborne. Contemporaneamente, sempre con Antonioni – che a Milano dirigeva anche la Compagnia del Nuovo, di cui la Vitti era primattrice – interpreta numerosi personaggi umoristici e patetici in pièce di Courteline, Feydeau e Ionesco. L’anno seguente, per la regia di Mondolfo, interpreta I capricci di Marianna di De Musset. Nella stagione 1964-65, nel pieno della sua prolifica carriera cinematografica, recita in Dopo la caduta di Miller, diretta da F. Zeffirelli. Più recentemente è tornata al teatro con un ruolo brillante nella riuscita edizione al femminile di La strana coppia di N. Simon (1986), affiancata da R. Falk e con la regia di Franca Valeri.

Viola

Conosciuto dal grande pubblico come giornalista sportivo tv anomalo e anticonformista, Beppe Viola è stato al pari di altri intellettuali come L. Bianciardi e U. Simonetta, lo stesso U. Eco, grande testimone delle contraddizioni della Milano tra il Dopoguerra e gli anni Settanta. Tutti più o meno direttamente hanno influito non poco sulla cultura, anche teatrale e cabarettistica, della città. A V. in particolare si deve buona parte delle invenzioni del linguaggio comico che, partito dal Derby club, segnò un’epoca irripetibile della comicità diretta, abolendo non solo la quarta parete, ma anche le altre tre. Viola lavorò con Jannacci firmando assieme a lui decine di canzoni storiche del `periodo di mezzo’ tra cui “Quelli che…” (1975), geniale adattamento di una lirica di Prévert, e “Vincenzina e la fabbrica” (1974), struggente canzone che fu colonna sonora del cult-movie Romanzo popolare di cui Jannacci e Viola furono decisivi co-sceneggiatori. Tra l’altro in questo film di Monicelli Viola si ritagliò un divertente cameo in cui egli stesso interpreta il proprietario di un cinema bigotto e reazionario, il suo esatto contrario.

Nel 1978, sempre assieme a Jannacci Viola scrive e dirige La Tappezzeria, spettacolo di cabaret surreale e comico che consacrò Massimo Boldi e lanciò il semisconosciuto Diego Abatantuono, che fino a allora aveva bazzicato al Derby club soprattutto perché figlio delle mitica Rosa, guardarobiera (e cognata) del proprietario Bongiovanni. Altri comici selezionati da Jannacci e Viola per questo lavoro furono i neofiti Faletti, Porcaro, Di Francesco, Micheli, Salvi, tutti destinati a ritagliarsi uno spazio nel mondo dello spettacolo. Negli anni del Derby Viola lavorò in amicizia e complicità anche con Cochi e Renato ma, in modo più o meno ufficioso, anche con tutti i comici più anticonformisti del grande zoo di viale Monterosa.

In tv collaborò come autore ad alcune trasmissioni di Jannacci dalla sede un po’ defilata ma prolifica per originalità della Rai di Milano. Appassionato oltre che di calcio, di automobilismo e soprattuttodi cavalli, curioso di letteratura e di politica Viola riuscì a cogliere in ciascun ambiente, in ognuno dei suoi incontri, i linguaggi comici, ironici e satirici e a trasmetterli anche nelle sue esperienze professionali. Una sua riscoperta a dieci anni dalla morte dovuta anche alla ristampa dei suoi racconti migliori (Quelli che, 1992), ha fatto sì che Viola sia tornato ad essere un punto di riferimento per le attuali generazioni di artisti e autori milanesi.

Verde

Il successo di Dino Verde comincia alla radio, nei primi anni ’50. Firmò una serie di varietà in onda di domenica intorno all’ora di pranzo, tutti, anno dopo anno, con titolo al superlativo assoluto: “Scanzonatissimo”, “Urgentissimo” e via. Interpreti, gli attori della Compagnia stabile di prosa della Rai di Roma, con A. Steni, E. Pandolfi, R. Turi (gran voce anche come doppiatore: era lui il Padreterno che annunciava il diluvio in Aggiungi un posto a tavola con J. Dorelli); una serie svelta di scenette e couplets , ma soprattutto di parodie di canzoni celebri (genere, quest’ultimo, di cui Verde fu ed è specialista insuperabile).

Famoso il motivetto finale, che divenne anche un intercalare popolare: «Però, la vita è bella» anche se «nelle caramelle con il buco, c’è troppo buco e troppo poca caramella». Dalla radio al palcoscenico, ma sempre, o quasi, come coautore. Ha firmato copioni con Rovi-Puntoni (Pericolo rosa per Macario , 1952-53), con Nelli-Mangini (B come Babele, 1953-54, e Il terrone corre sul filo per N. Taranto, 1954-55), con Marchesi-Metz  (Gli italiani son fatti così per Billi e Riva, 1956-57), con Age e Scarpelli (Festival, 1954, per W. Osiris; al copione misero mano anche O. Vergani e M. Marchesi, la consulenza artistica fu di L. Visconti. Un insuccesso che determinò il ritiro dell’impresario R. Paone). Nella stagione 1963-64 trasferì Scanzonatissimo dalla radio alla ribalta; stessi interpreti (Steni-Pandolfi con G. Cajafa e R. Como) e, nella versione della stagione successiva, A. Noschese con le sue imitazioni. Nella stagione 1965-66 scrive una rivista-commedia, Hanno rapito il presidente , dove alieni gangster sequestrano il presidente del consiglio e ricattano il governo. Con A. Nazzari e R. Como. Verranno, molti anni dopo, il Fanfani rapito di Fo e – la cronaca batte la fantasia – il sequestro Moro.

Nel 1966-67 scrive con B. Broccoli Yo Yo Yé Yé con C. Dapporto e A. Fabrizi e si conferma definitivamente «grande araldo degli scontenti del governo». Satira bollata unanimemente come qualunquista, che da destra sparava contro il centro-sinistra e i suoi protagonisti con una serie di attacchi ad personam assai applauditi da un pubblico conservatore. Verde si è sempre difeso dalle stroncature dei critici dicendo che preferiva essere un autore qualunquista piuttosto che un giornalista qualunque. Scanzonatissimo divenne anche film. Verde ha collaborato anche con Garinei e Giovannini per “Canzonissima” in tv con il trio N. Manfredi, P. Panelli e D. Scala; ha scritto con il figlio Gustavo il copione di Arcobaleno (1993) per L. Banfi e, da qualche anno, è tornato a un’antica passione: recitare di persona i suoi sketch e le sue parodie in un teatrino off di Roma. Ha ottenuto successo anche come paroliere di canzoni, vincendo il festival di Sanremo nel 1959 con “Piove” di D. Modugno e l’anno successivo con “Romantica” di R. Rascel.

Vianats Danza

Costituitasi a Valencia nel 1984 dall’incontro della ballerina e coreografa G. Meneu e del fotografo P. Hernandez, la formazione Vianats Danza sperimenta uno stile di danza influenzato dalle correnti postmoderne americane e basato sulla costruzione di una gestualità rarefatta e formale, in spettacoli arricchiti da effetti speciali e proiezioni quali Vianants (1985), Via (1988).

Vyroubova

Nina Vyroubova studia a Parigi con la madre e, in seguito, con Trefilova e Preobrajenska. Esordisce nel 1937 in Coppélia a Caen e, dopo essersi esibita a Londra e a Parigi, nel 1940 danza nel Ballet Russe di Parigi (La forêt de Vienne, Prince Igor). Nel 1944 danza con R. Petit in brani di Giselle e l’anno seguente entra a far parte dei Ballets des Champs-Elysées (fino al 1947) dove interpreta una memorabile Sylphide di Gsovskij. Dal 1949 al ’56 è étoile all’Opéra di Parigi: Blanche-Neige (1951), Fourberies (1952), Cinéma (1953), Les noces fantastiques (1955) sono tra le sue interpretazioni più applaudite di questo periodo. Tra il 1957 e il ’62 è nella compagnia del Marchese de Cuevas; quindi danza come ospite in diversi teatri e compagnie. Insegnante all’Opéra di Parigi, ha anche fondato una scuola.

videodanza

La videodanza è un genere spettacolare nato negli Usa e in Europa a partire dagli anni ’70, quando si rendono disponibili le prime videocamere ad uso privato. Tra i pionieri del rapporto tra danza e schermo si distingue M. Cunningham con lavori esemplari come Merce by Merce by Paik (1978), creazione con la regia del videoartista N.J. Paik. La coreografa svedese B. Cullberg, invece, è pioniera ed entusiasta sperimentatrice delle nuove tecnologie, come il `chroma key’, per le riprese televisive (Red Wine in Green Glasses, 1970, Prix Italia, 1971). Sulle differenti caratteristiche della videodanza – come produzione artistica a sé stante – rispetto alla danza rielaborata per la televisione, si discute per tutto il decennio successivo. Un periodo fertile, che vede un forte interesse dei coreografi della nouvelle danse francese per la creazione video (Decouflé, Chopinot, L’Esquisse, N + N Corsino) e poi per il cinema, passando direttamente alla regia, come J.C. Gallotta ( L’amour en deux , 1991) e A. Preljocaj (Un trait d’union, 1992).

L’esempio francese viene seguito dai coreografi di tutta la nuova danza europea, dal Belgio (A. T. de Keersmaeker, W. Vandekeybus, J. Fabre) alla Catalogna (M. Muñoz, L’anonima imperial ) all’Italia (E. Cosimi). P. Bausch, la più nota esponente del Tanztheater contemporaneo tedesco firma, intanto, la pellicola Die Klage der Kaiserin (1989). In Gran Bretagna, negli anni ’90, le serie di cortometraggi Dance for the Camera , supportati dalla Bbc, ricompongono la divergenza tra opere originali nate per il video e balletti registrati per il broadcasting televisivo. Con la nascita delle televisioni tematiche, satellitari e via cavo, la videodanza nelle sue varie sottospecie, ritratti di artisti, documentari, balletti filmati, creazioni esclusive per la telecamera, trova finalmente la propria sede ideale di diffusione.

Vajnonen

Diplomatosi all’Istituto coreografico della sua città, dal 1919 al 1938 ha danzato al Teatro Kirov specializzandosi soprattutto in parti grottesche come il moro in Petruška e il pagliaccio nella Fata delle bambole . Dal 1935 è coreografo al Teatro Kirov, successivamente ha ricoperto lo stesso ruolo fa il 1946 e il 1950 e il 1954 e il 1958 al Teatro Bol’šoj di Mosca. Ha affrontato la sua prima coreografia nel 1930 con L’età dell’oro di Šostakovic, seguono Le fiamme di Parigi (1932), Giorni partigiani (1937), Milica (1947), La riva della felicità (1952), una versione di Schiaccianoci (1934 e 1954, ancora in repertorio al Teatro Marijnskij). È autore del libretto di Il cavallino gobbo nella nuova versione musicale di Šcedrin.

Virgilio

Diplomato all’Accademia d’arte drammatica `S. D’Amico’ nel 1966, Luciano Virgilio esordisce nello stesso anno con L. Ronconi nello spettacolo I lunatici di T. Middleton. Lavora poi con F. Enriquez (Il mercante di Venezia, La vedova scaltra, Rosencrantz e Guildestern sono morti, 1967). Tra il 1972 e il 1978 è al Piccolo Teatro di Strehler. Con il regista recita in Re Lear (1972) e nella celebre edizione del La Tempesta (1978). Attore di forte temperamento drammatico, esprime al meglio le sue doti con L. Ronconi. Virgilio torna infatti a lavorare col grande regista, continuativamente, dal 1987 al 1996. Un decennio d’oro, che lo vede partecipe di capolavori come Le tre sorelle (1989), L’uomo difficile (1991), La pazza di Chaillot (1991). Indimenticabili i kolossal come Gli ultimi giorni dell’umanità (1990) al Lingotto, dove recita nel ruolo dell’Ottimista, e l’intensa partecipazione all’ Affare Makropulos (1993). Recita ancora in Re Lear, con Ronconi, nel ruolo di Gloucester (1995), mentre nella stagione 1996-98 interpreta un Pirandello di Massimo Castri, La ragione degli altri.

Valori

Bice Valori è stata fra le attrici italiane quella che ha praticato più di chiunque ogni genere di spettacolo. Laureata in lettere, diplomata all’Accademia nazionale d’arte drammatica, moglie di Paolo Panelli, con il quale ha spesso diviso la scena lo schermo e i microfoni, ha praticato con uguale brio e identico entusiasmo la radio, la televisione, il cinema, il teatro, la rivista, il teatro da camera, il doppiaggio, e, infine il musical. Al cinema, in venti anni, a cominciare dal 1950, ha interpretato circa quaranta film, affrontando una miriade di piccoli personaggi divertentissimi. Nella rivista è stata molto presente, con un paio di classici: come Controcorrente (1953) e Senza rete (1955). In radio ha lavorato spesso con la regia di Luciano Mondolfo e con la regia di quest’ultimo ha partecipato a uno straordinario spettacolo comico, Sei storie da ridere (1956), insieme a Monica Vitti, Gianrico Tedeschi e Alberto Bonucci. In tv ha preso parte al varietà di Antonella Falqui Eva ed io (1961), allo sceneggiato Il giornalino di Gian Burrasca (1964-65), al varietà Doppia coppia (1969) e, più in là, a un altro varietà televisivo, Ma che sera (1978) con Raffaella Carrà. È stata poi interprete principale in tre commedie musicali di Garinei e Giovannini: Rugantino , con Nino Manfredi, Aldo Fabrizi e Lea Massari (1962); Aggiungi un posto a tavola con Johnny Dorelli, Daniela Goggi e Paolo Panelli (1974); Accendiamo la lampada con Dorelli, Gloria Guida e Paolo Panelli (1979), che fu il suo ultimo spettacolo.

Verchère

Ha studiato con Madeleine Grumaud e successivamente con Raymond Franchetti. Scritturato nei Ballets de Marseille, Roland Petit lo ha valorizzato nel passo a due fra Swann e Odette nel suo Proust ou les intemittences du coeur e nel ruolo dell’Eté nelle Quatre saisons . Rilevante anche la sua interpretazione quale Orco ne Le chat botté . Nominato primo ballerino nel 1988, è stato più volte partner di Zizi Jeanmaire.

Vetrano

Enzo Vetrano inizia il suo lavoro di attore con Michele Perreira a Palermo. Nel 1974 è protagonista del Marat/Sade di Weiss e del Woyzeck di Büchner con la regia di Beppe Randazzo, con il quale fonda il teatro Daggide a Palermo. Con il Daggide realizza, tra gli altri, uno spettacolo di grande successo, Ubu re di Jarry, in cui interpreta la parte di Ubu. All’interno di questa esperienza di teatro di gruppo dà il via alla sua ricerca che si orienta verso il teatro d’attore, l’improvvisazione e l’idea della drammaturgia collettiva, privilegiando la scrittura scenica.

Dal 1976 lavora insieme con Stefano Randisi, dapprima in The Connection di J. Gelber (regia di Leo de Berardinis) per la cooperativa Nuova Scena di Bologna di cui diventa socio, e all’interno della quale nel 1983 forma una propria compagnia. Prosegue il suo sodalizio con Randisi, con il quale realizza molti progetti teatrali; tra i tanti la trilogia dedicata alla Sicilia, loro terra d’origine: Principe di Palagonia , Mata Hari a Palermo (premio Palermo per il Teatro 1988), L’isola dei beati (1988). È diretto da Randisi con Nestor Garay in Giardino d’autunno di D. Raznovich. Continua in parallelo a recitare con De Berardinis in L’impero della ghisa (1991), I giganti della montagna di Pirandello (premio Ubu 1993 come spettacolo dell’anno), Lear opera e Totò principe di Danimarca . Con Randisi dirige e interpreta Diablogues (1994) e Beethoven nel campo di barbabietole (1996) di R. Dubillard. È attore e coregista dello spettacolo Mondo di carta , dalle novelle di Pirandello.

Valentin

Karl Valentin si colloca nella tradizione del cabaret bavarese al quale conferisce portata internazionale. Cresce in un sobborgo di Monaco abitato da contadini immigrati che aspirano a diventare artigiani o impiegati. A questi Valentin si ispira per creare i personaggi del suo teatro. Dopo aver frequentato una scuola di varietà a Monaco, nel 1907 si esibisce come clown musicale sotto lo pseudonimo di Charles Fey e nel 1908 ottiene una scrittura da un locale di Monaco, il Frankfurter Hof. Nel 1911 conosce L. Karlstadt che, dapprima sua allieva, diverrà poi sua partner. Assieme a lei Valentin scrive più di quattrocento sketch e farse, alcune delle quali verranno filmate. A partire dal 1915 si esibiscono in tutti i più noti cabaret e, dal 1922 anche ai Kammerspiele di Monaco. A Berlino vengono ospitati dal Kabarett der Komiker. Con le loro figure, lei piccola e grassottella, lui secco e longilineo, offrono l’immagine dei conflitti nell’ambito della famiglia, del lavoro e delle relazioni commerciali, rovesciando e distruggendo il conformismo con geniale spirito di complicazione.

Nel 1934 Valentin apre nei sotterranei dell’Hotel Wagner a Monaco una sorta di orrido e scurrile gabinetto delle curiosità o Panoptikum che dopo il 1938 viene trasferito al numero 33 del Faulmbergraben dove, sino al 1940, offre una combinazione di gabinetto delle curiosità, taverna e cabaret. In quel periodo sua partner è la giovane attrice A. Fischer. Negli anni ’40, Valentin tenta inutilmente di ripetere i suoi primi grandi successi. Dal 1941 al 1946 smette di esibirsi, ma redige numerose scenette, canzonette e monologhi. L’ultima esibizione è del 1948, al Simple di Monaco, ancora con L. Karlstadt come partner. Muore in un lunedì grasso per i postumi di un raffreddore.

Valentin, che si considera un cantore dl popolo, è uno dei più importanti comici di lingua tedesca. Benché abbia operato e vissuto soprattutto a Monaco e i suoi sketch fossero riferiti ai costumi della popolazione bavarese, la sua comicità non rimane limitata a una dimensione regionale, ma si spinge sino a toccare le corde di una filosofia del linguaggio e, attraverso i toni dell’assurdo, sino a distruggere la logica consueta del reale. K. Tucholsky riconosce nei testi di Valentin «una danza infernale della ragione ed entrambi i poli della follia»; Brecht lo considera allo stesso livello di Chaplin. Per molto tempo, dopo la sua morte, si è pensato che non avesse senso rappresentare i suoi testi senza la sua interpretazione. Oggi si contano numerose messe in scena delle sue opere, sia in Germania sia all’estero.

Verdon

Figlia di un elettricista e di una direttrice scolastica, Gwen Verdon dopo gli studi di danza con E. Belcher e alcuni ruoli del tutto marginali sul palcoscenico, ottiene la prima scrittura dagli studi di Hollywood per doppiare il sonoro del tip-tap dei film musicali e per fare la controfigura della protagonista durante le prove dei numeri danzati. Compare come anonima ballerina nei film Divertiamoci stanotte (1951), Aspettami stasera (1951) e La vedova allegra (1952) e come attrice in Davide e Betsabea (1951) e L’avventuriero della Louisiana (1953). L’occasione di mettere in mostra appieno le sue doti le viene offerta a Broadway con il musical Can-Can dove riveste un ruolo di secondo piano (1953). Le è sufficiente un numero (la `danza degli Apaches’) per offuscare la star dello spettacolo ed entrare di prepotenza nella leggenda della 42ª Strada. Nel frattempo, sul set di Baciami, Kate! (1953), conosce B. Fosse che è alle sue prime prove come coreografo e ne diventa la terza moglie. Il marito la dirige in teatro in Damn Yenkees (1955), in New Girl in Town (1957) e in Redhead (1959), ma sono i successi creati dalla coppia con Sweet Charity (1966) e Chicago (1975) ad assegnarle un posto perenne nell’olimpo del musical. È protagonista anche della versione cinematografica di Damn Yenkees nel 1958 e splendida caratterista in Cocoon-Il ritorno (1988). Il matrimonio dura una decina d’anni, ma anche dopo il divorzio il sodalizio artistico tra i due continua. B. Fosse le rende esplicito omaggio nel film autobiografico All That Jazz (1979).

Vespignani

La pittura di Renzo Vespignani si avvicina all’arte informale, per l’uso esplosivo dei colori, pur preservando però un carattere di figurazione documentaria: vuol essere soprattutto una trasposizione della realtà, per sottolineare l’importanza dell’impegno sociale dell’artista. Conduce un’intensa attività d’illustratore ed è, tra l’altro, lo scenografo di Visconti in Maratona di danza del 1957, riportando in teatro la dimensione poetica del suo realismo. Nel 1961 realizza le scene e i costumi per I sette peccati capitali di Brecht, messo in scena a Roma da Squarzina.

Viganò

Fondatore del teatro La ribalta di Merate, in coppia con M. Fiocchi e spesso in collaborazione con R. Rostagno, Antonio Viganò ha creato per il teatro-ragazzi alcuni degli spettacoli più innovativi e affascinanti degli anni ’90 ( Samarcanda , Scadenze , Fratelli , Ali ) mescolando, in modo suggestivo e ricco di richiami, la narrazione con la danza e la gestualità. Dal 1995 lavora in Francia con un gruppo professionista formato da disabili mentali, per il quale ha curato la regia di due spettacoli ( Exusez le , 1995; Personnages , 1998). Ha inventato e organizzato il suggestivo festival di Campsirago nell’omonima località in provincia di Lecco.

Valeri

Valeria Valeri esordisce nel 1948 nella compagnia di L. Carli in Caldo e freddo; quindi, dopo aver lavorato come annunciatrice alla radio, entra nella compagnia Pagnani-Cervi-Calindri, con cui interpreta Ondine di Giraudoux e Porzia nel Mercante di Venezia . Dal 1953 al ’65 è legata a E.M. Salerno, con il quale interpreta la fortunata serie tv La famiglia Benvenuti . Nel 1963 recita in La vita è sogno di Calderón e lavora con A. Lupo e con G. Tedeschi. In seguito si unisce in compagnia con Paolo Ferrari, interpretando numerosi lavori di successo come Fiore di cactus di P. Barillet e J.-P. Grédy (1981), Vuoti a rendere di M. Costanzo (1986), Sinceramente bugiardi (1987) e Senti chi parla (1989), entrambi con la regia di G. Lombardo Radice. Seguono, negli anni ’90, Gin game (1990), Diario di una cameriera (1991), Et moi… et moi! (1991), La cicogna si diverte (1992); più di recente, Colpo di sole (1995) e Il clan delle vedove (1996). Nella stagione 1997-98 interpreta la ladra Céline nella commedia brillante Madame Lupin.

Valli

Il cinema ha prevalso nella carriera di Alida Valli, che l’ha vista osannata come bellissima diva dei `telefoni bianchi’; ma dagli anni ’80 le apparizioni in scena sono state più continue, con interpretazioni di testi di Camus, Sartre, D’Annunzio, Miller, Cocteau. Nel 1956 fonda, con T. Buazzelli e R. Grassilli, una compagnia che mette in scena Pirandello ( L’uomo, la bestia e la virtù ) e Ibsen ( Rosmersholm ). Dopo una sfortunata sortita americana ( Enrico IV di Pirandello recitato in inglese, con la regia di B. Meredith) è protagonista nel 1969, a Venezia, di Il sole e la luna di G. Biraghi; nel 1969 è la volta del Dio Kurt di A. Moravia con la regia di A. Calenda, e di una intensa interpretazione dell’ambigua contessa nella Lulu di Wedekind al Piccolo Teatro (regia di P. Chéreau).

Alla fine degli anni ’80 porta in scena un ciclo dannunziano con La città morta e La nave (entrambi nel 1988) per la regia di A. Trionfo. Fondamentale per le ultime prove della V. è stato l’incontro con il regista Chérif. Nel 1990 interpreta una straordinaria edizione dei Paraventi di Genet, in cui è una madre che esalta il potere dell’allucinazione e del mistero delle favole. Il felice incontro con Chérif sfocia l’anno seguente in Improvvisamente l’estate scorsa di T. Williams (1991-92) e prelude alla creazione di una nuova compagnia: da una battuta dei Paraventi nasce `La famiglia delle ortiche’, che sancisce il sodalizio con Chérif e lo scenografo Arnaldo Pomodoro. Il primo titolo è Più grandiose dimore di O’Neill (1993) in cui è una grandissima Deborah, capace di esaltare i conflitti del triangolo moglie-marito-figlia, accanto a Anna Maria Gherardi e Sandro Palmieri.

Volterra Teatro

La direzione artistica della prima edizione del festival Volterra Teatro è affidata a Vittorio Gassman, che realizza una rassegna di spettacoli tradizionali e di recital di attori. È con la direzione artistica di Roberto Bacci e la conseguente produzione affidata al Centro per la sperimentazione e la ricerca teatrale di Pontedera, che il festival si apre ad artisti ed esperienze internazionali, caratterizzandosi come luogo di contatto tra diverse culture e generazioni di teatro. Si sostengono così nuove produzioni e si valorizza l’esperienza della Compagnia della Fortezza, composta da alcuni detenuti della casa circondariale della città guidati dal regista Armando Punzo. Si fa di Volterra, investita dal teatro in ogni suo spazio, la sede di attività anche formative, creando occasioni di incontro con alcuni grandi maestri europei. Sono presenti, nei sette anni di direzione del Csrt di Pontedera, artisti e gruppi quali: Jerzy Grotowski, l’Odin Teatret, Zingaro, Thierry Salmon, Raul Ruiz, Jan Fabre, Royal de Luxe, Gerald Thomas, Carlo Cecchi, Antonio Neiwiller, Enzo Moscato, Leo de Berardinis, Bruce Myers, Anatolij Vassil’ev e molti altri. Al percorso disegnato da Pontedera si somma ora un complesso di ricerche su forme di teatro considerate `impossibili’, come quella realizzata negli ultimi dieci anni dal regista Armando Punzo (fondatore di CarteBlanche) con i detenuti del carcere volterrano della Fortezza, ma estese anche ad altri ambiti oltre i limiti di una professionalità tradizionale.

Vera Stasi

Fondata a Roma, nel 1985, da Silvana Barbarini, Ian Sutton, Giovanna Summo, Franco Senica, Giuditta Cambieri e Giuseppe Scaramella, Vera Stasi diviene nel 1991 parte di un centro di produzione con i gruppi Sosta Palmizi e Arbalete, per poi trasformarsi in associazione di singoli autori che operano individualmente. Così, all’iniziale creazione collettiva di opere di taglio teatrale che traggono spunto da testi letterari o dall’arte figurativa (Vite stracciate, 1986, Quartetto d’ombre , 1986) subentra una più indistinta produzione di coreografie firmate da G. Summo (Trittico, 1987), I. Sutton (Pinna in un deserto d’acque , 1988) e S. Barbarini (Variazioni per una figura, 1991), che a capo di una nuova associazione V. S. (con Ian Suton e Anna Paola Bacalov) ottiene nel 1997 una residenza coreografica nel Teatro di Tuscania.

vaudeville

Negli Stati Uniti il termine vaudeville non ha niente a che vedere con l’originaria accezione francese di canzone scherzosa o commedia comica cantata. È piuttosto sinonimo di teatro di varietà, ma il vaudeville rappresenta forse il genere che più di ogni altro segna nel Novecento il passaggio dallo spettacolo dal vivo a quello riprodotto. Fino ai primi anni del secolo il varietà offre rappresentazioni a poco prezzo per i componenti della classe operaia, che negli stessi locali possono trovare alcolici e persino compagnia femminile. Ma l’impresario Tony Pastor crea il vaudeville `sano’, ripulendo spettacoli ed edifici teatrali da ogni allusione al sesso e da qualsiasi altra gratuita scurrilità. I direttori dei circuiti impongono all’artista modifiche o tagli del numero per far sì che le esibizioni mantengano un carattere di spettacolo pulito e riservato al più ampio pubblico possibile.

Da allora si forma il ‘mixed-audience’, il pubblico misto, essenziale fondamento sul quale è costruita la grande fortuna del vaudeville, che allarga la propria utenza e diviene in pratica il primo `mass media’ dell’era industriale, il primo mezzo mediante il quale si diffondono in tutti gli Usa le stesse canzoncine e si affermano gli stessi volti noti. Il meccanismo imprenditoriale in America è più articolato che altrove e il sistema di scrittura coinvolge quattro differenti operatori: l’artista, l’agente, il responsabile del circuito e il responsabile del teatro. Con questo sistema ben presto si formano dei trust, che controllano per intero l’immenso mercato americano. I circuiti più importanti sono il Proctor, il Moss e il Keith-Albee; quest’ultimo, in particolare, è il più potente e arriva a gestire, nel momento di massima espansione, oltre settecento teatri.

Negli Stati Uniti vi sono più teatri di varietà pro capite che altrove. Si va dai `Continuous’, dove artisti a buon prezzo si alternano per tutta la giornata, ai `Big-time’, meta agognata di ogni artista, con spettacoli programmati, posti prenotati e stelle superpagate. Persino il presidente Woodrow Wilson nel 1915 dichiara: «Quando voglio rilassarmi mi piace assistere a un buon spettacolo di varietà. Se vedi un brutto numero puoi essere ragionevolmente sicuro che il prossimo sarà migliore; mentre a un cattivo lavoro teatrale non c’è nessuna via di scampo». I gusti del pubblico arrivano a influenzare non solo la composizione degli spettacoli, ma la stessa architettura degli edifici teatrali, che diventano luoghi di aggregazione oltre che di divertimento. Il più importante teatro di vaudeville d’America è il Palace di New York, la bandiera del circuito Keith-Albee; la sua architettura elegante è disegnata da Kirchoff e Rose nel 1913, tenendo anche conto delle condizioni economiche dei potenziali spettatori: non si vuole né allontanare gli esponenti delle classi ricche offrendo loro sale di bassa categoria, né intimidire le classi meno abbienti con un lusso eccessivamente sfarzoso. Anche per la posizione che occupa nel centro di Manhattan, il Palace diventa il più prestigioso dei teatri di vaudeville, tanto che la misura del successo di un artista è `plays the Palace’, esibirsi al Palace (il Palace nel 1932 viene convertito in cinema e solo nel 1950 torna a ospitare spettacoli dal vivo). Fra uno stato e l’altro dell’esteso continente americano vi sono notevoli differenze di gusto, e i responsabili dei circuiti passano la maggior parte del loro tempo a studiare spettacoli che piacciano ai visitatori di ogni luogo. Fino ai primi anni del secolo molte sale presentano uno spettacolo che comprende sino a ventidue numeri, ma in seguito lo standard diventa quello dei teatri di Keith-Albee, con da otto a tredici numeri a sera.

Oscar Hammerstein, che chiama il pubblico `the Big Black Giant’, il grande gigante nero, rimane famoso per invitare a esibirsi nei propri spettacoli chiunque, per un motivo o per l’altro, assurga a notorietà per un periodo di tempo anche breve: protagonisti di scandali rosa, superstiti di disastri quali terremoti e alluvioni e ogni altra stramberia del genere; l’importante è attirare l’attenzione del pubblico. Del resto i numeri che si esibiscono all’epoca sono alquanto bizzarri: rigurgitatori di rane, lettori del pensiero, divinatori mentali, cani ammaestrati con relative pulci anch’esse addomesticate, escapatologisti, enterologisti, fenomeni della natura, maiali sapienti autori delle proprie autobiografie, calcolatori umani, donne barbute e ignifughe, e ancora, accanto a questi stravaganti personaggi, acrobati, giocolieri, ballerini di tip tap, comici dal roseo futuro cinematografico, e spesso vere attrici provenienti dai teatri di `gran prosa’, cantanti lirici e musicisti di chiara fama internazionale.

Si verificano accoppiamenti azzardati, come quello di Sarah Bernhardt con il clown Grock, sulla stessa scena nello stesso spettacolo. Poi il pubblico si abitua allo spettacolo veloce per eccellenza, il cinematografo, e il vaudeville è il genere che più di ogni altro dona al cinema i maggiori spunti, oltre che stelle di prima grandezza. Nonostante Albee cerchi in un primo momento di opporsi allo strapotere del cinema ingaggiando numerosi divi di Hollywood nei suoi teatri di vaudeville, presto si accorge che è tutto inutile e tenta di avere accesso egli stesso nella stanza del potere della nuova miniera d’oro dello spettacolo: forte degli oltre settecento teatri che controlla, nel 1926 costituisce una società con Cecil B. De Mille per entrare nella produzione cinematografica. Ma anche questo tentativo non ha esito positivo e infine, nel 1928, il suo glorioso circuito viene acquisito dalla Radio Corporation of America, che forma così la Rko Radio Pictures, e ogni teatro comincia quasi esclusivamente a proiettare pellicole.

Il cinema degli esordi prende in prestito dal vaudeville anche il sistema pubblicitario, con una cartellonistica alquanto vistosa, e ingloba i periodici nati solo in funzione di tali forme di spettacolo: “Billboard”, che significa `manifesto’, nato nel 1894 per reclamizzare appunto i cartelloni degli spettacoli del momento, cioè vaudeville, circo e luna park, oggi si dedica quasi esclusivamente al mondo della musica leggera; “Variety”, il cui nome sottintende le stesse strategie del citato concorrente, è oggi un mensile dedicato principalmente ai prodotti audiovisivi di cinema e televisione. Un elenco dei più importanti artisti del vaudeville risulterebbe in ogni modo incompleto; è bene comunque ricordare che le scene del vaudeville furono calcate, fra gli altri, da Fred e Adele Astaire, i fratelli Marx, Charlie Chaplin, Fanny Brice, Bob Hope, Al Jolson, oltre che dal celebre Harry Houdini e, in maniera estemporanea, da Ethel Barrymore, Mause Adams e dalla citata divina Sarah Bernhardt.

Volontè

Interprete tra i più originali del cinema italiano, con il suo viso scavato e lo sguardo severo, Gian Maria Volonté fu una maschera indecifrabile, fortemente espressiva e ricca di mimetismo. Ha sempre caratterizzato la sua attività legandola a doppio filo con il suo impegno politico e civile, seguito con estrema coerenza. È stato l’incontrastato protagonista del cinema politico degli anni ’60 e ’70. Le sue prime prove teatrali sono all’interno dei Carri di Tespi; in seguito, si diploma giovanissimo all’Accademia d’arte drammatica `S. D’Amico’. Il successo lo ottiene però grazie allo sceneggiato televisivo L’idiota di Dostoevskji nella parte di Rogozin, che gli permette di lavorare con Sequi, Prosperi, Squarzina e Enriquez. Lo stesso Enriquez lo dirige in Romeo e Giulietta dove incontra Carla Gravina, sua compagna anche nella vita. Si impegna con gli Artisti Associati e interpreta Sacco e Vanzetti con la regia di Sbragia.

Nel 1963 insieme alla Occhini e Pani, con la regia di L. Ronconi, lavora in una sintesi de La putta onorata e La buona moglie , dove recita con una vena satirica il personaggio del Marchese di Ripaverde. Prosegue con scelte controcorrente e, nel 1965, mette in scena il Vicario di Hochhuth, uno spettacolo sui rapporti tra la Chiesa (Pio XII) e il nazismo, la cui anteprima è interrotta dalla polizia. Nel 1981 torna a teatro anche in veste di regista in uno sfortunato Girotondo di Schnitzler. La sua attività in tv è ridotta: ne viene allontanato nell’era Bernabei, in un periodo in cui aveva notevole successo, per il suo dichiarato impegno a favore della sinistra.

Ma è nel cinema che ottiene il maggior successo: nel 1964, con lo pseudonimo di John Wells, nei film di Sergio Leone Per un pugno di dollari e Qualche dollaro in più. Ha lavorato con Rosi in cinque film. È protagonista de Il caso Mattei (1972), Lucky Luciano nel film omonimo (1973), Cristo si è fermato a Eboli (1978). Significativo anche l’impegno con Petri in Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto (1970), La classe operaia va in paradiso (1971), Todo modo (1976), La morte di Mario Ricci (1983). Muore sul set del film Lo sguardo di Ulisse di T. Anghelopolus.

Villi

Dopo aver lavorato un periodo come indossatrice, Olga Villi debutta nel teatro di rivista dell’epoca (1940-1947) accanto a Macario, A. Magnani, A. Sordi e N. Taranto. Ma l’aspetta il teatro classico: Luchino Visconti le apre la strada del grande palcoscenico con un piccolo ruolo nello spettacolo La quinta colonna di Hemingway (1945). Subito dopo entra nella compagnia Morelli-Stoppa intepretando grandi testi come l’ Antigone di J. Anouilh. Recita con le grandi compagnie dell’epoca (Ferrati-Scelzo nel 1947; Calindri-Volonghi-Volpi-Riva nel ’50; Pagnani-Ninchi-Tieri nel ’54; Ferrati-Carraro-Salerno nel ’55) e si volge, ben presto, al teatro brillante. La ricordiamo, infatti, in Spirito Allegro di N. Coward e in Tè e simpatia di R. Anderson, regia di L. Squarzina (1955).

In prime nozze, nel 1954, sposa il principe Raimondo Lanza di Trabia, suicida pochi mesi dopo il matrimonio. Si risposa nel ’62 con un industriale genovese e inizia a lavorare meno. Nel 1966 è al fianco di M. Mastroianni nel celebre musical Ciao Rudy . Poi si ritira per un certo tempo dalle scene. Torna nel 1984 con Zoo di vetro , regia di G. Sepe. E nel 1986 ritrova E. Calindri in quella che è la sua ultima interpretazione: Sul lago dorato di E. Thompson, già grande successo cinematografico, che rivive con la regia di L. Squarzina.

Vasini

Diplomata alla Scuola d’arte drammatica `P. Grassi’ di Milano, Lucia Vasini è attrice di cabaret, teatro e televisione, capace di toni comici stralunati e non aggressivi. Agli inizi degli anni ’90 ha dato vita al gruppo `Les Italiens’ (poi disciolto) con Paolo Rossi e il regista Giampiero Solari, assieme ai quali nel 1991 ha realizzato La commedia da due lire. Nel 1996-97 è stata interprete del Re Lear con Piero Mazzarella, diretto da A.R. Shammah al Teatro Franco Parenti. Ha acquitato di recente notevole popolarità presso il grande pubblico grazie a spettacoli televisivi realizzati insieme a P. Rossi (Su la testa…! , Scatafascio). Hanno scritto per lei autori di satira e musicisti come Gino e Michele, Michele Serra, Riccardo Piferi e Vinicio Capossela.

Vitali

Gli esordi di Alvaro Vitali mostrano un pedigree di tutto rispetto: tra il 1969 e il ’74 ha lavorato – anche se in piccole parti – con registi come Fellini, che Vitali ama citare come suo scopritore (in Roma fa l’imitazione di Fred Astaire), Polanski, Risi e Monicelli. Ha lavorato al Sistina nella ripresa di Rugantino con Montesano (1979-80), ma è diventato famoso tra il 1974 e il 1982 con una micidiale serie di Poliziotte , Liceali e Ripetenti varie, consacrandosi tra gli attori più pagati del momento con diversi film della serie dedicata a Pierino, di cui, se così si può dire, è la maschera originale. Caratterista un po’ monolitico, attende una riscoperta degli intellettuali e/o un repechage `à la Delle Piane’.

Valente

Diplomata all’Accademia d’arte drammatica `S. D’Amico’ nell’ Aminta del Tasso, saggio con la regia di Orazio Costa, Edda Valente entra subito a far parte delle maggiori compagnie italiane. Viene scritturata da Renzo Ricci, Vittorio Gassman e Glauco Mauri. Con Ronconi nel 1964 interpreta La putta onorata e la buona moglie , con Pani e Volonté, in uno dei primi e contrastati allestimenti del regista. Lavora negli Stabili di Torino, Trieste, Genova. Al Piccolo è nella prima edizione dell’ Anima buona di Sezuan (ritornerà nel 1995) e nel primo storico Campiello (1975). Con Missiroli interpreta Assassinio nella cattedrale, con Lavia testi di Strindberg, con Scaparro La Venexiana . È accanto a Mariangela Melato nella Medea diretta da G. Sepe nel ruolo della nutrice.

Vachtangov

Dopo aver frequentato la scuola teatrale di A. Adasev, dove insegna L. Sulerzickij, collaboratore di Stanislavskij, nel 1911 Evgenij Bogratjonovic Vachtangov viene assunto al Teatro d’Arte di Mosca e diventa uno dei più accesi sostenitori del `sistema’ di educazione dell’attore che Stanislavskij sta mettendo a punto. Nel 1912, per volere di Stanislavskij, viene fondato il Primo Studio, dove un gruppo di giovani, fra cui appunto Vachtangov, senza il peso di prove e spettacoli, può liberamente sperimentare i nuovi principi. Anima dello Studio è L. Sulerzickij, che impone agli allievi una ferrea disciplina e imposta il lavoro su basi rigidamente etiche: alla bravura antepone la correttezza e la generosità, alle doti artistiche quelle umane. Il lavoro si svolge in un’atmosfera severa e appassionata. In una stanza dell’appartamento in cui si svolgono le lezioni viene allestito un minuscolo palcoscenico, con il pubblico a pochi metri dagli attori.

I primi spettacoli (Il grillo nel focolare, tratto da un racconto di Dickens; Il diluvio di Berger; La dodicesima notte di Shakespeare) vedono Vachtangov impegnato più come attore che come regista e le sue interpretazoni si segnalano per intelligenza e originalità. A partire dal 1913 guida un gruppo di studenti che gli si rivolgono per consigli e per lezioni, spinti dalla comune passione per il teatro. Nonostante la diffidenza di Stanislavskij, sostenitore della professionalità e nemico di ogni dilettantismo, Vachtangov si lancia con entusiasmo nell’impresa, dimostrando una straordinaria vocazione pedagogica. I testi scelti per le prime esercitazioni, che diventano poi spettacoli, sono edificanti parabole come Il miracolo di sant’Antonio di Maeterlinck o raffinate ricerche sul ritmo e sul grottesco come Le nozze di Cechov.

Dopo la rivoluzione d’Ottobre aderisce con slancio al nuovo regime e aumenta fortemente la sua attività pedagogica, in vari gruppi studenteschi e operai. Contemporaneamente, continua brillantemente la sua collaborazione con il Primo Studio, dove firma la regia di alcuni tra i più riusciti spettacoli del gruppo come Hedda Gabler di Ibsen (1920), trionfo del `metodo’ psicologico stanislavskiano, con la partecipazione straordinaria nel ruolo della protagonista di Ol’ga Knipper-Cechova, e Erik XIV di Strindberg (1921), dove riesce a trasmettere tutta l’angosciosa insicurezza degli anni rivoluzionari, grazie anche all’interpretazione allucinata che del sovrano dà Michail Cechov, nipote del grande scrittore. Con il maturare della sua prassi registica, si allontana dalla stretta osservanza del `sistema’: ai rigidi dettami del metodo psicologico sostituisce una più libera ricerca di teatralità, una più espressiva indagine sulla gestualità.

Chiamato dallo Studio teatrale ebraico Habima, dirige nel 1921 Il Dibbuk di An-ski in cui decide di utilizzare il testo in lingua ebraica antica, del tutto incomprensibile alla maggioranza del pubblico. Sempre per questo lavoro adotta per gli attori trucchi violenti e ritmi gestuali talora lenti talora sfrenati per esprimere l’intensa drammaticità della vicenda, che alterna misticismo e violenta polemica sociale. In questo periodo elabora nel suo Studio una messinscena di Principessa Turandot di Gozzi. Anche in questo spettacolo la prima preoccupazione è la libertà creativa dell’intero gruppo. Le scene sono costruite con materiali di recupero, i costumi fatti di stracci e oggetti casuali, la recitazione basata sull’improvvisazione, sulla libera espressione dell’indole di ciascun attore. L’effetto è sconvolgente: Gozzi sembra un autore contemporaneo, tanta è la scioltezza con cui viene letta l’antica fiaba. Gli interpreti utilizzano la loro acerba tecnica per esaltare l’invenzione e la fantasia e gli scenografi e costumisti si allontanano da ogni canone costituito.

Lo stesso Stanislavskij, così lontano, nella sua impostazione, da quel tipo di lavoro, applaude e si dichiara entusiasta. Con Vachtangov nasce una nuova linea di ricerca, che ha le sue radici nel `sistema’ e tuttavia si nutre di antiche tradizioni come quelle della Commedia dell’Arte. Minato da un male incurabile, Vachtangov muore poche settimane dopo la trionfale prima rappresentazione della sua Turandot, che rimane il suo testamento teatrale e la più perfetta e libera realizzazione del suo lungo cammino di regista.

Vedova

Fra i principali rappresentanti dell’arte informale italiana, dagli anni ’50 la pittura di Emilio Vedova è caratterizzata da una gestualità automatica e astratta. In teatro l’artista ha trovato la possibilità di superare la bidimensionalità della tela per un’implicazione spaziale più completa. Nel 1961 ha realizzato le scene e i costumi per Intolleranza 1960 , libretto e musica di Luigi Nono (rappresentato alla Fenice di Venezia) con cui ha collaborato anche per la creazione delle luci di Prometeo (testi di Massimo Cacciari, struttura scenica di Renzo Piano) che ha debuttato alla chiesa di San Lorenzo a Venezia nel 1984.

Viviani

Raffaele Viviani esordisce giovanissimo come bambino prodigio nei teatrini popolari di Napoli, ma alla morte del padre, agiato attrezzista e impresario, è costretto ad una dura gavetta nei teatri di varietà. Si afferma nel 1904 con una personalissima interpretazione di una macchietta del repertorio di P. Villani, Lo scugnizzo di G. Capurro e F. Buongiovanni. Viviani, coniugando le sue doti acrobatiche e mimiche ad un impietoso realismo venato di amaro umorismo, crea una propria maniera che lo distingue dal bozzettismo di moda tra gli artisti di varietà e costituisce la premessa stilistica più cospicua della sua futura opera drammaturgica. L’elaborazione del repertorio macchiettistico è per il giovane analfabeta Viviani una vera e propria scuola di scrittura. Infatti quando nel 1917, in seguito alla crisi del caffè concerto, esordisce con una propria compagnia di prosa, trasforma i suoi numeri di varietà in pièce teatrali: `O vico (1917), Tuledo `e notte (1918), Scugnizzo (1918), Eden teatro (1919), La festa di Piedigrotta (1919). Sviluppa così una scrittura particolarmente sensibile alla rappresentazione dell’ambiente sociale in cui la narrazione procede coralmente attraverso un equilibrato contrappunto delle individualità di ciascun personaggio. Con Circo equestre Sgueglia (1922) Zingare (1926) e Napoli in frack (1926), si accentuano gli spetti drammatici del suo teatro d’ambiente napoletano che, nonostante l’avversione del fascismo, sono apprezzati in tutta la penisola e danno vita ad una produzione ricchissima tra cui ricordiamo: Morte di Carnevale (1928), Guappo `e cartone (1932), I vecchi di S. Gennaro (1933), L’ultimo scugnizzo (1932), La tavola dei poveri (1936-1954), Siamo tutti fratelli (1941). La attività di attore e capocomico di Viviani è particolarmente originale, si distingue infatti per una concertazione scenica accuratissima dove gesto musica e parola si fondono armonicamente.

Valli

Laureatosi in giurisprudenza Romolo Valli si avvicina al teatro decidendo di seguire la compagnia itinerante di Fantasio Piccoli, passando poi con questa a lavorare allo Stabile di Bolzano. Nel 1952 verrà scritturato al Piccolo Teatro di Milano dove apparirà in diversi lavori firmati da Strehler. Conosce qui Giorgio De Lullo, che diverrà suo compagno di vita e di lavoro per tutto l’arco dell’esistenza. Con lui, insieme a Rossella Falk, Annamaria Guarnieri e Tino Buazzelli fonderà nel 1954 la Compagnia dei Giovani, costituendone assieme a De Lullo, l’anima artistica più profonda. La sua ricerca recitativa è un meticoloso lavoro di scavo all’interno del testo, con una vigile attenzione a tutte le possibilità di significato, attraverso un’intelligenza critica che illumina il senso più profondo della parola.

Valli incarna dunque la figura dell’attore intellettuale, dalla cultura vasta e raffinata, dalla curiosità mobile e inquieta, con un approccio al personaggio che non punta all’immedesimazione ma ad una radiografia esatta di tutti i moti dell’animo e di tutte le possibili sfaccettature fornite dal tracciato drammaturgico. Nonostante la sua versatilità in personaggi leggeri, troverà la più matura espressione della sua linea recitativa in Pirandello dove l’ansia di una ricerca umana e dell’intelletto sembra incarnarsi naturalmente in alcune figure create dall’autore agrigentino. Sarà il padre nella storica versione dei Giovani di Sei personaggi in cerca d’autore , nella stagione 1963-64, creando poi un lucidissimo e implacabile `raisonneur’ con il Leone Gala de Il gioco delle parti nel 1965-66, con un maggiore carico di angoscia nel Francesco Venzi de L’amica delle mogli nel 1968-69 e chiudendo la tetralogia pirandelliana dei Giovani con l’acuto e ironico Laudisi di Così è (se vi pare) nel 1971-72.

Terminata l’esperienza del gruppo continuerà a lavorare con De Lullo, approfondendo la sua analisi del personaggio con Il malato immaginario di Molière nel ’74 e tornando a Pirandello con Tutto per bene nel 1975-76 e poi con Enrico IV nel 1977-78. In quegli stessi anni si misurerà su altri territori della drammaturgia, da Pinter, con Terra di nessuno , accanto allo stesso De Lullo, a un ritratto di Oscar Wilde in Divagazioni e delizie di John Gay, fino alla sua ultima interpretazione, Prima del silenzio , scritto per lui da Giuseppe Patroni Griffi. Diverse e importanti le sue apparizioni cinematografiche, diretto da Visconti in Boccaccio ’79 , Il Gattopardo , Morte a Venezia , Gruppo di famiglia in un interno , da De Sica ne Il giardino dei Finzi Contini , da Bertolucci in Novecento , e ancora da altri importanti registi italiani e stranieri.

Vargas Llosa

Tra i grandi narratori latinoamericani, Mario Vargas Llosa alterna romanzi di ampio respiro su temi sociali e storici legati alla realtà del suo paese, con altri di carattere piú intimista. Dedicatosi negli ultimi anni anche al teatro, senza ottenere lo stesso successo che accoglie regolarmente l’uscita di un suo nuovo romanzo, ha scritto La señorita de Tacna (1981), Kathie y el hipopótamo (1983) e La Chunga (1986), il suo testo teatrale più noto.

Volpi

Dopo aver frequentato l’Accademia dei Filodrammatici di Milano, Franco Volpi nel 1938 debutta nella compagnia Ricci-Adani. Interprete soprattutto di teatro leggero, dove è spesso attore protagonista, dal 1948 dà vita a una felicissima coppia con E. Calindri, sia in teatro che nella pubblicità. Nel repertorio brillante degli anni ’50 diventano titoli di grande cassetta Oh il matrimonio! di G.B. Shaw, L’importanza di chiamarsi Ernesto e Il marito ideale di O. Wilde e Vita felice di C. P. Taylor. Diventa noto al grande pubblico grazie a un duetto per il Carosello della China Martini; qui vestiva i panni di un gentiluomo preoccupato dalla modernità ed esclamava il leggendario `Dura minga!’ (1957). Il suo fare elegante e fascinoso lo consacrano come uno dei volti della tv degli anni ’60 e ’70. Nelle sue molte interpretazioni televisive passa con disinvoltura dai ruoli romantici del cattivo a quelli sentimentali (Il romanzo del giovane povero). A contribuire alla sua popolarità sono soprattutto due sceneggiati: La cittadella nel ruolo di C. Ivory e le Inchieste del commissario Maigret , con Gino Cervi, nella parte del giudice Camelieu, antagonista di Maigret (1964-65). Negli anni ’70 il personaggio di Lucius Lutzle, nelle riduzioni per il piccolo schermo dei romanzi di Dürrenmat, lo riporta alla notorietà.

Vu An

Cresciuto alla Scuola di ballo dell’Opéra di Parigi, appena quindicenne Eric Vu An viene scritturato dallo stesso teatro. Vincitore di importanti concorsi internazionali (Varna, Carpeaux, Nijinskij) è subito valorizzato nell’interpretazione di ruoli classici e moderni. Béjart, fra l’altro, lo vuole protagonista della versione scaligera del Martyre de Saint Sébastien (1986). Con R. Petit ha danzato accanto a Z. Jeanmaire in Java for ever . La sua bravura e la sua bellezza esotica sono state sfruttate, seppur marginalmente, anche dal cinema (appare fra l’altro ne Il té nel deserto di B. Bertolucci). É stato anche Antinoo nella versione teatrale, curata da M. Scaparro, di Le memorie di Adriano tratto dalla Yourcenar (Tivoli 1990).

Vukotic

Milena Vukotic comincia danzando a Parigi, sotto la guida di Tania Balachova, poi nella compagnia del Marchese de Cuevas. Ma presto si dedica al teatro e soprattutto al cinema. Tra i suoi spettacoli di prosa ricordiamo Oh, che bella guerra di J. Littlewood e Così è (se vi pare) con la compagnia Morelli-Stoppa; L’anima buona di Sezuan per lo Stabile di Roma, diretta da B. Besson, e nel 1966 con Paolo Poli interpreta Il suggeritore nudo di T. Marinetti. Nel ’67 Strehler la chiama nella compagnia Teatro Azione per partecipare a Cantata di un fantoccio lusitano di P. Weiss. Segue Georges Dandin con Franco Parenti all’Olimpico di Vicenza. Ben presto si moltiplicano i ruoli cinematografici (è la mitica moglie di Fantozzi nell’omonima serie), ma non abbandona il teatro (la ritroveremo, ancora con Paolo Poli, nelle Relazioni pericolose del 1989 e ad Agrigento nella Madre di La favola del figlio cambiato di Pirandello, 1990).