Rivera

All’età di undici anni Chita Rivera incomincia a studiare danza presso l’American School of Ballet. Quando debutta sui palcoscenici di Broadway è un anonimo elemento della chorus line di Call Me Madam (1952) e dei numeri di danza di Bulli e pupe (1953) e di Can-Can (1954). Il primo successo personale arriva con The Shoestring Revue (1955), confermato dalla notevole prova di Seventh Heaven (1955) e dalla sostituzione di Eartha Kitt in Shinbone Alley (1957). Assurge al ruolo di star come interprete di Anita in West Side Story (1957), sia nella produzione originale americana sia in quella londinese (1958).

Nel 1960 conosce il trionfo di Bye Bye Birdie a Broadway, replicato l’anno seguente nell’allestimento inglese; curiosamente questo musical ha un sequel nel 1981, Bring Back Birdie, in cui Rivera ha per compagno di scena Donald O’Connor. Continua a essere attiva in televisione in programmi di varietà dal 1956 e in teatro in musical di successo come Bajour (1964) e Chicago (1975), dove Bob Fosse la affianca da coprotagonista a Gwen Verdon, o come The Rink (1984) nel quale è la partner di Liza Minnelli. In anni più recenti è la star femminile di Kiss of the Spider Woman (1994), versione musicale ispirata più al film omonimo di Babenco che all’originale letterario di Puig.

Roman

Gil Roman ha iniziato a studiare danza a sette anni a Montpellier e successivamente a Cannes con la Besobrasova. Nel 1979 è entrato al Ballet du XXème siècle. Tra le sue prime importanti interpretazioni Histoire du soldat (1982), Messe pour le temps futur (1983), Dionysos (1984), Le Concours (1985). Il suo naturale talento ha poi avuto occasione di affinarsi in molti altri lavori béjartiani tra le fila del Béjart Ballet Lausanne quali La Tour , Il mandarino meraviglioso e Le presbythère… . Grande forza espressiva ha dimostrato anche nel duo Juan y Teresa (1997) danzato con la Pietragalla e sempre creato da Béjart. Del 1992 è il suo film Le paradoxe du comédien e del 1995 la sua coreografia (con G. Metzer) L’abito non fa il monaco . Dal 1993 è direttore aggiunto del Béjart Ballet Lausanne.

Ragno

Tommaso Ragno frequenta i corsi di recitazione e si diploma presso la Scuola d’arte drammatica ‘P. Grassi’. Debutta nel 1988 con Mario Martone in La seconda generazione , prodotto da Teatri Uniti di Napoli, e sempre con Martone prende parte al Woyzeck di Büchner accanto a Vittorio Mezzogiorno. Tra il 1989 e il 1991 partecipa al `Progetto Euripide’, laboratorio teatrale diretto da Massimo Castri, e recita ne La dodicesima notte di Shakespeare e ne Gli ingannati di Goldoni diretto da Carlo Cecchi per il quale lavora anche nel 1993 nel Leonce e Lena di Büchner, ne La locandiera di Goldoni e nel 1997 nell’ Amleto e in Sogno di una notte di mezza estate di Shakespeare. Per la regia di Ronconi recita, nel 1990, in Strano interludio di O’Neill e, nel 1992, in Misura per misura di Shakespeare. Nel 1996-97 prende parte alla Scuola delle mogli di Molière accanto a Fantoni, a L’avaro di Molière con Paolo Villaggio e la regia di L. Puggelli, a Io, l’erede di Eduardo De Filippo diretto da A. Ruth Shammah, e chiude la stagione interpretando il ruolo di Federico Wetter conte di Strahl, nella Caterina di Heilbronn di Kleist diretta da Cesare Lievi.

Rattigan

Secondogenito del diplomatico Frank R. e di Vera Houston, Terence Rattigan nacque a ridosso dell’incoronazione del re George V. Trascorse con i genitori solo i brevi periodi di licenza del padre e crebbe insieme al fratello con la severa nonna Lady R. a Lanarkslea in Cornovaglia. Il suo amore per il teatro fu estremamente precoce (a sette anni si considerava già un assiduo spettatore), così come la sua convinzione di divenire un giorno drammaturgo. Cominciò a divorare la letteratura teatrale (apprezzando W.S. Maugham e disprezzando Shaw) e a scrivere commedie sin dalla prima infanzia; continuò durante gli anni del college, ma di questa imberbe produzione non resta che il dramma Integer Vitae . A soli venticinque anni debuttò nel West-End londinese ottenendo un grande successo con French without Tears. Rattigan visse il teatro con profonda passione e trasformò la sua esperienza di spettatore entusiasta nella scrittura, rispettando e soddisfacendo l’esigenza di un pubblico medio di assistere a una performance `normale’. Per questo continuò per tutta la sua carriera a proporre le classiche commedie ben costruite, a produrre in sostanza pièce da intrattenimento. Tra i suoi lavori, si ricordano le commedie: White the Sun Shines (1943), Love in Idleness (1944) e The Sleeping Prince (1953); tra i drammi: The Winslow Boy (1946), che vinse diversi premi della critica; Separate Tables (1954), che replicò per oltre settecento volte e divenne un film con Burt Lancaster, David Niven e una sfiorita Rita Hayworth; e infine tra i drammi biografici Ross (1960) su Lawrence d’Arabia e Bequest Nation (1970) su Nelson.

Roundhouse

Per tutti gli anni ’70 il R. è il luogo eletto da tutti coloro che, come Peter Brook, cercano nuovi spazi per reinventare il teatro e l’arte in genere. Abbandonato negli anni ’80, ormai guscio vuoto per sporadici eventi di moda, ha di recente attirato l’interesse del miliardario Torquil Norman, inventore di giocattoli, che intende ripristinarne la funzione di palcoscenico per la creazione artistica.

Rona

Si è formato con Ferenc Nadasi alla Scuola di ballo dell’Opera di Budapest, per perfezionarsi poi a Leningrado con Aleksandr Puškin e Olga Lepesinskaja. Entrato nel Balletto di stato di Budapest nel 1955, ne è diventato primo ballerino l’anno successivo e vi ha interpretato tutti i ruoli del repertorio tradizionale nonché i personaggi eroici di Spartacus (coreografia di Laszlo Seregi, 1968) e Armen in Gayaneh , danzato con Margot Fonteyn (coreografia di Nina Anisimova, 1962). Al ritiro dalle scene ha lavorato come attore in numerosi film ungheresi e come maître de ballet in compagnie come l’Opéra di Parigi, la Scala di Milano e il Balletto nazionale norvegese.

Rea

Romanziere tra i più affermati del dopoguerra per i suoi romanzi e racconti di ambientazione neorealista, come Gesù fate luce e Spaccanapoli , si è rivelato anche ottimo autore teatrale. La sua migliore qualità è la capacità allegorica sospesa tra mito e storia. Pur non trascurando mai le suggestioni della cronaca con un attento sguardo sul suo paese, R. ripensa tutta la verità accumulata, trasfigurandola attraverso un linguaggio che potrebbe essere di un contemporaneo del Boccaccio. Un’operazione arrischiata ma riuscita nella misura del suo talento e del suo istinto. Tra le sue commedie ricordiamo Le formicole rosse , testo del 1948 rappresentato per la prima volta al teatro Il Millimetro di Roma nel 1958, e Re Mida , messo in scena nel 1979.

Rhum

Dal particolare talento acrobatico e capace di geniali intuizioni comiche, è considerato tra i principali innovatori del ‘900 della maschera circense dell’augusto, che egli sviluppa nelle pantomime che lo vedono protagonista al Medrano di Parigi e nelle numerose entrate al fianco dei clown bianchi più celebri (Dario, Alex, Pipo). R. ebbe celebri ammiratori, da Guitry a Copeau, a Picasso, fino a Fellini che gli rese esplicito omaggio ne I clowns (1970).

Ric & Gian

Il duo nasce nel 1961 e si scioglie nel 1987; lungo tutto questo periodo si occupano di cinema, tv, radio e teatro. Il loro debutto avviene a Parigi al Crazy Horse in cui si esibiscono come vedette. `Lo spogliarello’ è il loro primo sketch di successo in cui vediamo la coppia nei panni di due giocolieri impegnati in un goffo strip-tease. Proseguono in teatro nel 1975-1976 con due spettacoli: La strana coppia di Bruzzo e Le farse di Dario Fo di Crivelli. Dalla fine degli anni ’60 comincia la loro carriera televisiva che durerà venticinque anni: da Quelli della domenica a Gli ultimi cento secondi , a Risatissima .

Roussel

Personalità complessa e ardito sperimentatore, Raymond Roussel si pone, con grande anticipo sui tempi, il problema di ciò che, nel linguaggio, consente di pensare e di produrre la letteratura; elabora così un’opera che, come ha acutamente osservato Michel Foucault, pone al centro la questione della parola e del silenzio. Per comprendere i suoi romanzi (La doublure, 1897; La vue , 1902; Impressions d’Afrique, 1910; Locus solus , 1914; Nouvelles impressions d’Afrique , 1932) e i suoi lavori teatrali (L’étoile au front , 1925 e La poussière des soleils, 1927) occorre tuttavia partire dal suo ultimo testo, pubblicato postumo: Comment j’ai écrit certains de mes livres (1935). In esso è svelato il `procedimento’ – come lo chiama lo stesso Roussel – della creazione letteraria: un testo si costruisce inserendolo fra due frammenti di discorso, i più vicini possibile quanto al significante, i più distanti possibile quanto al significato. Una volta trovate le due frasi, la narrazione si incaricherà di riempire lo spazio tra la prima e l’ultima. Il risultato è un’apparenza di grande verosimiglianza, inserita, tuttavia, in un quadro di estrema complessità e artificialità in cui il contenuto duplica, per metafora, i processi che hanno contribuito a produrlo. Il linguaggio è, come si comprende facilmente, il cuore del dispositivo fantastico narrativo di R. Ed è proprio l’interesse verso la libera associazione di immagini, verso la loro oniricità che ha condotto Perlini, con il teatro La maschera, ad allestire a Roma, nel 1976, Locus solus , avvalendosi della collaborazione dello scenografo Antonello Aglioti.

Roller

Conclusi gli studi, Alfred Roller conosce nel 1902 G. Malher e decide di dedicarsi al teatro. L’anno seguente diventa direttore dell’allestimento scenico dell’Opera, ma la svolta decisiva è l’incontro con M. Reinhardt (Edipo e la Sfinge di Hofmannsthal, Berlino 1906), che segna l’inizio di una felice collaborazione e avvia uno stile destinato a modificare i confini tradizionali dello spazio teatrale grazie a un caratteristico ‘realismo semplificato’. Dopo un Don Giovanni di Mozart (Vienna 1906) che introduce le celebri `torri-Roller’ (due elementi scenotecnici verticali che incorniciano la scena permettendo cambi veloci senza turbare l’unità complessiva dello spettacolo), fortunatissimi un Faust (Berlino 1909), in cui il prologo si svolge quattro metri più in alto del palcoscenico; un Cavaliere della rosa di R. Strauss (Dresda, Opera, 1911) dalla chiara articolazione architettonica e ricchezza decorativa, con abiti luminosi di seta, raso e broccato; una Donna senz’ombra di R. Strauss (Vienna 1919), ambientata in un Oriente fiabesco; e un Macbeth di Shakespeare (Vienna 1927) dai rapidi cambiamenti a scena aperta, immerso in un’atmosfera da incubo. Sul valore simbolico e suggestivo della luce e del colore è basato in effetti il linguaggio espressivo dell’artista, affinato nelle ultime opere (Ifigenia in Aulide di Gluck, Salisburgo 1930; Parsifal di Wagner, Bayreuth 1934; Antonio e Cleopatra di Shakespeare, Vienna 1935).

Ruiz

Artista dalla personalità multiforme, attivo sia al cinema che a teatro, con uno stile volutamente `artificiale’ e fantastico attraverso i quali filtra la sua personale poetica dell’esistenza. Dopo gli studi liceali Rául Ruiz si iscrive alla facoltà di Diritto e nel tempo libero decide di seguire i corsi di teologia. In seguito studierà la teoria cinematografica, scoprendo che i film dei registi che più amava come Ford Beebe, Reg Le Borg erano considerati di serie B. Arriva perciò alla conclusione che forse in queste teorie c’era qualcosa che non andava. Dopo aver girato più di venti film Ruiz abbandona il suo paese nel 1974, un anno dopo il golpe del generale Pinochet che ha deposto il Presidente di Unidad Popular S. Allende, di cui Ruiz fu consigliere per i mezzi di comunicazione. Trasferitosi in Francia (a Parigi), diventata la sua seconda patria, ha continuato con successo la sua attività artistica, grazie soprattutto all’interessamento della celebre rivista di cinema “Cahiers du cinéma”, realizzando film, messe in scena e pubblicando romanzi, testi teatrali e riflessioni teoriche.

Nell`86 viene nominato direttore della Casa della Cultura di Le Havre, dove allestisce numerosi spettacoli teatrali. Nel 1990 dirige il suo testo I maghi per il Centro per la Sperimentazione e la Ricerca Teatrale di Pontedera. L’anno dopo espone, presso la la Galleria Jeau de Pomme di Parigi, un’istallazione multimediale dal titolo L’expulsion des Maures. Nel 1992 mette in scena Il convitato di pietra, ispirato al Don Giovanni, alla sesta edizione del Festival Volterra Teatro. Tra i suoi film ricordiamo: Tre tristi tigri (1968), L’isola del tesoro (1993), Tre vite e una sola morte (1996) con M. Mastroianni, e la sua partecipazione come attore (impersonava il teologo) in Palombella rossa (1989) di N. Moretti.

Richardson

Ralph David Richardson si è distinto recitando nelle file della compagnia teatrale Birmingham Repertory Theatre, in particolare nell’ Edipo a Colono di Sofocle (1926). Trasferitosi a Londra, nel 1930 si unisce al gruppo dell’Old Vic dove dimostra una certa versatilità d’attore impersonando ruoli classici da Caliban in La tempesta a Enrico V. Il suo talento d’attore emergerà in maniera più brillante in drammi di autori moderni tra cui Maugham e Priestley, ma anche attraverso interpretazioni per il Peer Gynt di Ibsen e Il ciliegio in fiore (Flowering Cherry, 1957) di Bolt. Dopo la guerra, nel 1944 ritorna all’Old Vic con l’incarico di organizzare le stagioni teatrali insieme a Olivier, raccogliendo alcuni successi personali nel ruolo di Falstaff, in quello di Sylock – portato in tournée a Roma nel 1962, in quello di Sylock portato in tournée a Roma nel 1962 e in quello dell’ispettore Goole nel dramma di Priestley Un ispettore in casa Birling (1946). Insieme a J. Gielgud è stato il protagonista di La casa (Home, 1970) di D. Storey e di Terra di nessuno (1975) di H. Pinter, impersonando lo scrittore Hirst nella produzione di P. Hall per il National Theatre. Entrato a far parte della compagnia del National Theatre ha recitato il ruolo principale in John Gabriel Borkman (1975) e nel 1980 ha chiuso la sua brillante attività d’attore impersonando lo statista al tramonto della sua carriera politica nel dramma di Storey, Early Days.

Rossi

Dopo gli studi di teatro e mimo a Milano e arti circensi a Parigi, dal 1980 al 1983 Giorgio Rossi è con il Teatro e Danza La Fenice di Carolyn Carlson; nel 1984 fonda la compagnia Sosta Palmizi, per cui crea e interpreta Il cortile (1985), Tufo (1986), Perduti una notte (1987). Nello stesso anno è unico autore di Dai colli , in seguito collabora con Lindsay Kemp per Alice (1988) e firma per Sosta Palmizi Rapsodia per una stalla (1990), l’assolo Balocco (1992), Sul coraggio… (1995), Come le nuvole (1996) e Piume (1997), dove mette in luce una teatralità ironica e sognante, in cui movimento e parola si fondono per tratteggiare ritratti umani di sapore volutamente naïf.

Romagnoli

L’attività di grecista e latinista spinse Ettore Romagnoli sulla strada di un teatro – oltreché di una poesia e di una narrativa – che avrebbe dovuto rievocare la visione del mondo della classicità, avvicinandola il più possibile al presente. Rivelando una sfaccettata versatilità, perseguì generi diversi: tra le tragedie si menzionano i Drammi arabi, i Drammi satireschi (Polifemo, Ettore e il Cercopo, Elena, Sisifo) e i Nuovi drammi satireschi (Il cane di Dioniso, La figlia del sole, Le donne d’Ulisse). Tra le commedie Il trittico dell’amore e dell’ironia (Compensazioni d’amore, La parabola del desiderio, Il labirinto). Scrisse anche un dramma pastorale, Dafni.

 

Rozov

Dopo aver lavorato come attore e regista al fronte durante la seconda guerra mondiale, Viktor Sergeevic Rozov debutta come autore nel 1949 con I suoi amici , storia semplice, spontanea di un gruppo di adolescenti: messo in scena al Teatro Centrale dei ragazzi (che lo vede collaboratore per anni), ha enorme successo e viene rappresentato in molti teatri dell’Unione Sovietica. Seguono Una pagina di vita (1953), Alla buon’ora (1954), Eternamente vivi – scritto durante la guerra ma a lungo vietato dalla censura, poi autorizzato dopo la morte di Stalin nel 1954; da questo testo Rozov trae la sceneggiatura del film Quando volano le cicogne di M. Kalatozov premiato a Cannes nel 1958; nel 1957 con lo stesso testo si inaugura il Teatro Sovremennik, uno dei più vivaci degli anni ’60 -, In cerca della gioia (1957), Prima di cena (1962), Nel giorno delle nozze (1964), Per strada (1962). Rozov nei suoi lavori riesce con precisione, senza polemiche clamorose a mettere a fuoco gli scottanti problemi della società sovietica del dopo Stalin, le arroganze e i soprusi della strapotente nomenklatura (Il nido del gallo cedrone 1986). Particolare interesse hanno suscitato due riduzioni da famose opere letterarie: Una storia comune dal romanzo di Goncarov (1966) e Ragazzi da I fratelli Karamazov di Dostoevskij (1971). Dei lavori più recenti vanno ricordati: A casa (1989), La molla segreta (1989), Hoffmann (1994).

Rocca

Dopo una lunga attività giornalistica (corrispondente da Parigi, redattore e critico drammatico dell'”Europeo” e di “Settimo giorno”), Giudo Rocca esordì come narratore, ma ben presto, seguendo le orme del padre Gino e ascoltando i consigli dell’influente critico del “Corriere della Sera” Eligio Possenti, si dedicò completamente al teatro rivelando un sicuro talento e una notevole lucidità di osservatore dei costumi e della mentalità del suo tempo. Il clima delle sue commedie, che ebbero subito un buon successo, è quello plumbeo del dopoguerra, caratterizzato da incertezza, arrivismi e torbida spregiudicatezza. Successivamente questo pessimismo si attenuò un poco, lasciando intravedere una possibilità di riscatto morale e di riequilibrio della società. Di particolare spicco, nella descrizione impietosa di ambienti e situazioni dell’Italia anni ’50, sono i personaggi femminili, ricchi di umana sensibilità. Tra le sue commedie si ricordano I coccodrilli (1956), Una montagna di carta (1958), ispirata dall’attività giornalistica, Un blues per Silvia (1959), Mare e whisky (1959), Una giornata lunga un anno (1960), che vennero portate sulle scene dalle principali compagnie del periodo, quali la Proclemer-Albertazzi, la Masiero-Volonghi-Lionello, il Piccolo Teatro di Milano. Vittorio Gassman lo invitò a sceneggiare alcune puntate dello spettacolo televisivo “Il mattatore”.

Royal Ballet

Royal Ballet è il nome assunto dal Sadler’s Wells Ballet nel 1956, dopo la concessione del titolo reale alla sua scuola. All’origine di quello che è diventato un complesso di circa novanta elementi (più una `seconda’ compagnia dal 1946, adesso Birmingham Royal Ballet), c’è la piccola scuola fondata da Ninette De Valois nel 1926 con il nome di Academy of Choreographic Art. Il gruppo che ne è nato ha preso dapprima il nome Vic-Wells Ballet (derivato dai due luoghi nei quali si esibiva agli inizi, l’Old Vic Theatre e il Sadler’s Wells), poi quello di Sadler’s Wells Ballet, denominazione che ha mantenuto anche dopo il 1946, quando si è trasferito nella sede più prestigiosa della Royal Opera House, al Covent Garden. Nei primi decenni la compagnia si è concentrata sulle creazioni, organizzando programmi misti di balletti in un atto, seguendo l’esempio di Diaghilev. La coreografia era affidata soprattutto alla De Valois e ad Ashton, diventato coreografo stabile nel 1933. Constant Lambert è stato il direttore musicale fino al 1948. Alicia Markova ha fatto parte della compagnia per qualche anno e Anton Dolin, Lydia Lopokova e Stanislas Idzikovski sono stati ospiti in diverse produzioni. Il primo classico dato in forma integrale è stato Coppelia , seguito da Giselle , Lo schiaccianoci e Il lago dei cigni , tutti montati da Nicolai Sergueyev e volti a sviluppare la tecnica degli artisti.

Nel 1939 si è aggiunta La bella addormentata, che sarebbe diventata dopo la guerra, in vesti più sontuose, l’emblema della compagnia. Margot Fonteyn ha avuto il primo ruolo importante nel Rio Grande di Ashton (1935, musica di Lord Berners) e poi il ruolo centrale nella maggioranza delle produzioni. Fra le più importanti creazioni della De Valois in quegli anni: The Haunted Ballroom (musica di Geoffrey Toye), The Rake’s Progress (musica di Gavin Gordon) e Checkmate (di Arthur Bliss); di Ashton, Les Patineurs , Nocturne (musica di Delius), Apparitions (musica di Liszt), Horoscope (di Lambert) e Dante sonata (ancora di Liszt, danzato a piedi nudi). La bella addormentata ha inaugurato la permanenza al Covent Garden in una produzione più grandiosa, con scene e costumi molto indovinati di Oliver Messel) questo spettacolo ha trionfato anche a New York nel 1949) Symphonic Variations di Ashton (Franck-Fedorovitch), per tre coppie, è stato la prima creazione nella nuova sede. I coreografi ospiti in quegli anni sono stati Lèonide Massine (tre riprese, due creazioni), George Balanchine ( Ballet Imperial ); Roland Petit ( Ballabile ) e, negli anni ’50, John Cranko ha realizzato diversi balletti per le due compagnie; l’ultimo, al Covent Garden, è stato una sfortunata versione del Principe delle pagode . Ashton ha creato nel 1948 il suo primo balletto in tre atti ( Cinderella ) seguito solo da Sylvia e da Ondine.

L’arrivo di Rudolf Nureyev in veste di `ospite stabile’ ha rappresentato una spinta in avanti per i ballerini del Royal Ballet, regalando una seconda giovinezza a Margot Fonteyn. La partnership di questa coppia è diventata materia di leggenda già dopo la prima Giselle , danzata insieme nel 1963. Nureyev ha realizzato per la compagnia l’`Atto delle ombre’ da La bayadère e in seguito altri lavori; ha danzato in Marguerite and Armand con la Fonteyn e, sempre con lei, nel Romeo e Giulietta di MacMillan, nel frattempo trasferitosi dal Sadler’s Wells al Covent Garden. Proprio MacMillan avrebbe in seguito creato numerosi balletti per la compagnia, in uno e in tre atti. Gli anni ’60 e gran parte dei ’70 hanno rappresentato un periodo d’oro per la compagnia, allora forte di prime/i ballerine/i di spicco, con il risultato che tutti i cast potevano contare su un grande interesse da parte del pubblico. Nel 1970, Jerome Robbins ha montato per la compagnia Dances at a Gathering , seguito da Afternoon of a Faun , The Concert e In the Night .

Nel 1963, la De Valois ha ceduto il posto di direttore artistico ad Ashton, il quale ha invitato Bronislava Nijinska a realizzare Les noches e Les biches . Dopo Ashton, MacMillan è stato nominato direttore artistico, seguito da Norman Morrice (proveniente dal Ballet Rambert). Infine, Anthony Dowell, già direttore associato, è diventato direttore artistico nel 1986. Dopo Rhapsody (per Michail Barišnikov e con Lesley Collier nel principale ruolo femminile), Ashton ha creato pochissimo, e MacMillan è diventato il coreografo principale. Anche Glen Tetley ha lavorato con la compagnia. Dopo la morte di Ashton (1988) e MacMillan (1992), la compagnia si è sentita orfana e ha dovuto lottare per mantenere una sua identità.

Rainer

Dopo l’esordio come attrice, studia con Graham, Cunningham, Halprin, Robert Dunn, e danza nelle compagnie di James Waring (1961-1965) e Judith Dunn. È tra i fondatori del Judson Dance Workshop (1962), in cui riveste un ruolo di leader. Tra i suoi lavori più significativi negli anni ’60 The Bells , Three Satie Spoons , Three Seascapes , We Shall Run , Trio A , con Paxton e Gordon, denominato Mind is a Muscle, Part 1 (1966), brano emblematico che ripropone fino al 1970. Scrive il saggio A Quasi Survey of Some `Minimalist’ Tendencies in the Quantitatively Minimal Dance Activity Midst the Pletora, or an Analysis of `Trio A’ . Dal 1973 passa al cinema. Interessata alla ricerca sul movimento quotidiano, ama le combinazioni coreografiche aleatorie, gli elementi ripetitivi e seriali, mentre bandisce spettacolarità, virtuosismo, stile, espressione e seduttività sullo spettatore.

radiofonico,

La radio è un mezzo di comunicazione e di espressione che si rivolge a un unico tipo di percezione da parte dello spettatore: quella sonora. La radio stimola sempre il suo pubblico alla partecipazione fantastica, lo guida all’ascolto di voci, musiche, rumori tali da evocare un mondo verosimile. Il teatro radiofonico ha dunque una sua specifica autonomia espressiva legata alla natura del mezzo; non possiede naturalmente le caratteristiche che sono proprie dell’evento scenico che ha luogo davanti agli spettatori, ma ha la possibilità di valorizzare al massimo la parola quale espressione più sottile e profonda della persona umana in quanto capace di esprimere e comunicare idee, emozioni, sentimenti, stati d’animo. La ‘messinscena’ della parola, naturalmente, è affidata alla voce recitante degli attori che appare lo `strumento’ sonoro più importante. Non tutti i testi drammatici possono essere adattati alla radio: occorre che essi offrano la possibilità di ‘corporeizzare’ la parola e di ‘rappresentare’ con i suoni luoghi, ambienti, azioni.

‘Radiodramma’ viene denominato il testo drammatico scritto appositamente per la trasmissione radiofonica: esso prevede in genere la presenza di pochi personaggi, un intreccio poco elaborato, un dialogo teso a definire i rapporti psicologici e i confronti intellettuali più che le azioni. Negli Usa la radio è sempre stata essenzialmente una sorta di `giornale parlato’ con forti interessi pubblicitari; peraltro non mancano esperienze importanti quali il `verse-play for radio’, una forma di drammaturgia poetica ideata da Archibald Mac Leish, e la nota trasmissione di Orson Welles culminata con la messa in onda di The War of the Worlds di H.G. Wells (1938), che causò grande spavento in molti ascoltatori convinti che si trattasse di un notiziario di attualità. In tutta Europa (esclusa l’Italia) il radiodramma ha acquistato una fama e un prestigio ormai saldamente consolidati. La Gran Bretagna ha una notevole tradizione in questo campo (Stoppard, Beckett, Pinter, Spark, Arden, Thomas, Wesker). Pure in Francia troviamo tra gli autori di radiodrammi i maggiori letterati del Novecento: Artaud, Queneau, Sarraute, Duras, vari esponenti del Teatro dell’assurdo e del Nouveau roman.

La stagione più felice del radiodramma tedesco va dal 1925 al 1940, ma prosegue ancora oggi una vastissima produzione, la cui fortuna è dovuta a nomi come quelli di Brecht, Frisch, Dürrenmatt, Handke. Nel nord Europa la situazione non cambia; ricordiamo che anche l’esordio di Ingmar Bergman è stato nel campo della radiodrammaturgia. In Italia pochi dei nostri letterati e drammaturghi si sono cimentati nel radiodramma: tra i nomi più noti si possono citare solo Savinio, Pratolini, Fabbri, Bontempelli, Anton, Buzzati, Primo Levi. Dall’inizio delle trasmissioni (1924) fino al dopoguerra la radio è stata considerata nel nostro paese soprattutto un mezzo di propaganda; in seguito è stata quasi sempre privilegiata la musica in quanto considerata un intrattenimento più gradito dal pubblico. Così è giunta relativamente tardi la consapevolezza delle possibilità del mezzo, e il mondo intellettuale raramente gli si è accostato con continuità. Non è un caso che il radiodramma Rai di maggior successo sia stato I 4 moschettieri di Nizza e Morbelli (1934-35), evasiva parodia umoristico-canora che a lungo restò il modello della rivista musicale radiofonica. Prima del 1950, la prassi del teatro radiofonico italiano si limitava per lo più all’allestimento di opere molto semplici, prevalentemente di autori italiani, le quali si prestavano a essere recitate in diretta; il risultato era raramente qualcosa più di un `rozzo artigianato rumoristico’.

La nascita del Prix Italia costituisce un notevole stimolo per la produzione radioteatrale, perché istituisce contatti periodici tra esperti di vari Paesi permettendo confronti fruttuosi. Sempre nel 1950 l’apertura del terzo programma vede affacciarsi nel palinsesto titoli di romanzi e racconti sceneggiati, di classici del teatro di tutti i tempi e tutto il mondo, di commedie e radiodrammi contemporanei. L’inizio delle trasmissioni televisive non danneggia affatto l’attività della radio nel campo teatrale, in quanto gli anni ’60 costituiscono senza dubbio il periodo più felice della prosa radiofonica italiana, in cui a un apparato tecnico molto raffinato corrispondono una selezione di testi attenta e sistematica e una pratica di messinscena professionalmente elevatissima. La Rai può contare non solo su vari registi di grande mestiere come Morandi, Majano e Scaglione, ma anche su giovani sperimentatori come Lerici, Pressburger, Bene, Quartucci, Liberovici e su musicisti quali Berio, Nono, Maderna.

Nonostante il successo delle trasmissioni di `intrattenimento in diretta’, il teatro radiofonico ottiene ancora ottimi risultati espressivi, grazie anche alla riforma della Rai (1976) in seguito alla quale vengono programmati grandi `cicli’ teatrali dedicati a Schnitzler, Miller, Duras, Svevo ecc., e grazie all’impegno dimostrato dalla sperimentazione teatrale degli anni ’80 nel tentativo di rinnovare il linguaggio radiofonico spesso legato a stereotipi monotoni e ripetitivi. Nel 1997 Luca Ronconi ha promosso un vasto programma di teatro radiofonico scegliendo testi e registi, dirigendo egli stesso alcuni spettacoli, con l’obiettivo di non surrogare l’esperienza del palcoscenico, ma di rivolgersi all’ascoltatore considerandolo simile al lettore di un libro, pronto a lavorare con la propria fantasia.

Rossellini

Autore di un’opera cinematografica di straordinario valore artistico per la rivoluzione formale e contenutistica: con il suo Roma città aperta , 1945, nasce il neorealismo, Roberto Rossellini lavorò anche a teatro soprattutto nelle regie liriche. Nel ’53, quando già aveva fama internazionale, cura il suo primo allestimento con l’ Otello di Verdi, per il Teatro San Carlo di Napoli. Nello stesso anno dirige la moglie I. Bergman nell’oratorio di P. Claudel e A. Honegger Giovanna d’Arco al rogo, spettacolo che porterà in tutti i più importanti teatri europei, dalla Scala di Milano all’Opéra di Parigi. Di questo lavoro l’anno dopo realizzerà una versione cinematografica, sempre interpretata dalla Bergman. Nel 1961 dirige l’opera Uno sguardo dal ponte del fratello Renzo. Infine mise in scena al festival di Spoleto I carabinieri di Beniamino Joppolo. Tra i suoi capolavori cinematografici sono da ricordare almeno: Paisà (1947), Stromboli (1951), Francesco giullare di Dio (1950) e Il generale Della Rovere (1959).

Ruotalibera

Gruppo storico del teatro-ragazzi nato nel 1977 a Roma, Ruotalibera si è imposto con i testi e le regie di M. Baliani in Oz (1985) e Storie (1989) come una delle compagnie di punta del settore. Dopo l’uscita di Baliani, R. grazie al lavoro di Tiziana Lucattini, ha raccontato storie per l’infanzia ambientate in un contesto metropolitano di notevole forza espressiva: Scarpette rosse (1991) e Piccoli uomini (1994).

Rasmussen

Nel 1966, anno in cui l’Odin si trasferisce definitivamente da Oslo a Holstebro in Danimarca, Iben Nagel Rasmussen entra a far parte del gruppo di Eugenio Barba, diventandone ben presto una delle figure più rappresentative. La sua parabola artistica e il percorso di ricerca sullo statuto antropologico del teatro sono descritti, in forma di testimonianza biografica, in The Actor’s way. Degli spettacoli dell’Odin, ai quali ha preso parte, si ricordano: Kaspariana (1967), Min fars hus (1972), Come! And the day will be ours (1976), Anabasis (1979), Brecht’ashes (1980), Talabot (1988), Itsi bitsi (1991), Kaosmos (1993). Individualmente, ma sempre in sintonia con gli orientamenti fondamentali del gruppo di Holstebro, si impegna nella realizzazione di un progetto pedagogico volto alla condivisione e alla fusione di tradizioni ed esperienze teatrali eterogenee, con un gruppo di attori delle più diverse provenienze geografiche, e crea la performance The Bridge of Winds.

Rossini

Dopo gli studi all’Accademia `S. D’Amico’, Anna Teresa Rossini debutta nell’ Orlando furioso di Ronconi (1969). Da allora prosegue un’intensa attività teatrale alternando ruoli comici e drammatici, sempre in parti da protagonista o coprotagonista. Dal 1970 al 1985 collabora con A. Pugliese, con il quale è stata sposata, realizzando otto spettacoli di testi contemporanei e classici fra cui Il barone rampante da Calvino, Molto rumore per nulla di Shakespeare, nel ruolo di Beatrice. Recita anche con altri registi quali Cobelli, Sbragia, Squarzina, Missiroli, Calenda e Trionfo. Nella parte di Regana nel Re Lear con la regia di Strehler vince il premio A. Restori (1985). È diretta in molti spettacoli da R. Guicciardini con il Teatro Insieme: si ricordano: Troilo e Cressida di Shakespeare, come protagonista, La resistibile ascesa di Arturo Ui di Brecht, Le Troiane di Euripide (1996) nella parte di un’intensa Ecuba. Tartufo di Molière come Elmira e, nel 1997, La figlia dell’aria di Calderón nel ruolo di Semiramide

Rich

Ha interpretato testi di autori contemporanei francesi, come Un castello in Svezia di F. Sagan (1960); Victor o i ragazzi al potere di Vitrac (1962, con la regia di J. Anouilh), e inglesi: La prossima vi chiamerò (1966) e Le quattro stagioni di Saunders (1968); Il ritorno di Pinter (1967, con E. Riva). Ha scritto e interpretato alcuni testi teatrali: Zocrave (1975); Un habit pour l’hiver (1980); Une chambre sur la Dordogne (1987). Tra le sue interpretazioni si segnalano anche Adriano VII di P. Luke (1971); Faisons un rêve di Guitry (1986); Reveille-toi, Philadelphie di Billetdoux (1988).

Rodgers

Richard Rodgers sente prestissimo l’attrazione per la musica e comincia da ragazzo a suonare il piano. A sedici anni compone la sua prima canzone; intanto frequenta la Columbia University, dove conosce Lorenz Hart, destinato a diventare (fino alla morte, avvenuta nel 1943) il suo librettista inseparabile. Insieme pubblicano la loro prima canzone e un copione per una rivista musicale, mai rappresentata. Per la chiusura dell’anno accademico 1920 i due danno vita alla commedia musicale Fly with Me , ma l’incarico ricevuto da un produttore di Broadway di fornire un musical per le scene newyorkesi viene revocato. Dopo un secondo musical per la Columbia University, nel 1922 R. lascia l’università per iscriversi all’Institute for Musical Art (diventato in seguito la Juilliard School of Music).

Il primo vero debutto teatrale è costituito da The Garrick Gaieties (1925), messo in scena al Garrick Theatre dal gruppo giovanile del Theatre Guild di New York: prende a soggetto la gioventù inquieta degli anni ’20. Lo spettacolo ha un seguito nel 1926 ( The Garrick Gaieties of 1926 ). Insieme, Rodgers e Hart, firmeranno ventun musical, i primi con l’apporto del produttore Lew Fields. Tra i risultati principali: Dearest Enemy (1925), musical sulla guerra piuttosto originale; The Girl Friend (1926), che presenta almeno due canzoni molto belle, “The Blue Room” e “Why I Do?”; Peggy Ann (1926, con la canzone-blues “Where’s That Rainbow”); A Connecticut Yankee (1927), con una ricca panoplia di canzoni dallo stile diverso, dal valzer “Nothing’s Wrong” alla romantica “On a Desert with Thee” alla sincopata “Thou Swell”; Present Arms (1928), canzone “A Kiss for Cinderella”); Chee-Chee (1928, d’ambiente cinese e con elementi sociologici ritenuti inopportuni per il palcoscenico musicale. Altre canzoni che diventano subito patrimonio di tutta la nazione sono “Blue Moon” e “Isn’t It Romantic?” e, fra quelle comprese nei musical successivi: “With a Song in My Heart” in Spring is Here (1929), “Ten Cents a Dance” in Simple Simon (1930), “No Place But Home” in Ever Green (1930), “I’ve Got Five Dollars” in America’s Sweetheart (1931, un’affermazione di ottimismo contro la Depressione).

Altri musical di rilievo degli anni ’30 e ’40: On Your Toes (1936), sul mondo della danza, con una coreografia innovativa di George Balanchine e numeri musicali eccellenti, come il burlesco omaggio alla musica classica “The Three B’-Bach, Beethoven and Brahms”; Babies in Arms (1937) su alcuni rampolli di artisti del vaudeville che per aiutare i genitori, senza lavoro a causa della crisi, montano uno spettacolo (canzoni “My Funny Valentine”, “The Lady is a Tramp”, “Johnny One Note”, “Where or When?”); I’d Rather Be Right (1937, satira del New Deal, su soggetto di George Kaufman); The Boys from Syracuse (1938); Pal Joey (1940, dal romanzo di John O’Hara, imperniato sull’entertainer di un night-club mantenuto da una ricca signora, un protagonista tutt’altro che esemplare, che divide la critica, nonostante la bella musica). By Jupiter (1942) è l’ultimo lavoro condiviso con Hart, che muore nel 1943. Rodgers si associa allora con un nuovo librettista, Oscar Hammerstein II, con cui forma un altro solido e fortunato sodalizio, adeguando il suo stile compositivo alla nuova personalità, di temperamento delicato e sensibile alla tradizione popolare, quanto Hart era propenso al sarcasmo e all’umorismo scanzonato. Il primo risultato della nuova coppia è uno dei maggiori successi dell’intera storia del teatro musicale americano: Oklahoma! (1943), su rapporti sentimentali del mondo dei cow-boys e dei farmers in una regione che lotta per farsi riconoscere come uno degli stati dell’Unione. Le calde melodie, tributarie del folklore americano (“Oh, What a Beautiful Morning” in prima linea) e i balletti che esprimono il dinamismo dei personaggi assicurano un successo duraturo (cinque anni di repliche).

Si succedono fra gli altri spettacoli: I Remember Mama (1944, nel cast un promettente attore di nome Marlon Brando); Carousel (1945, tratto dalla commedia Liliom di Molnar, che porta in scena un trapassato: oltre al “Carousel Waltz”, diventato famoso, da apprezzare le canzoni “If I Loved You” e “You’ll Never Walk Alone”); South Pacific (1949, da un romanzo di Michener, ambientato tra gli ufficiali americani nel Pacifico), altro grande successo, premio Pulitzer e `Drama Critic’s Award’, fra gli altri premi. Agli anni ’50 appartengono diverse commedie musicali, non tutte confortate dall’approvazione del pubblico (neppure Flower Drum Song , del 1958, regista e protagonista Gene Kelly, che include belle canzoni con cadenze e richiami alla musica cinese, in linea con l’ambientazione). Due sono i `trionfi’ del periodo: The King and I (1951) e The Sound of Music (1959), di cui in Italia è ben conosciuta la trasposizione filmica con il titolo Tutti insieme appassionatamente. La prima è una commedia in costume che mette in conflitto le usanze retrograde del re del Siam, nel secolo scorso, con gli insegnamenti `democratici’ di una istitutrice inglese, e annovera ottime canzoni e straordinari balletti, come “The Small House of Uncle Tom” (“La capanna dello zio Tom”) con ballerini siamesi. La seconda, che include anche elementi ideologici contrari al nazismo, riguarda una giovane conversa incaricata di educare i figli di un nobilotto austriaco, e ha deliziosi numeri musicali, fra cui la sentimentale “Edelweiss” e la spiritosa “Do Re Mi” che funge da lezione di musica. Nel 1960 muore anche Hammerstein. Nel 1962 Rodgers lavora a un musical su un suo libretto ( No Strings ), poi si rivolge ad altri, fra i quali Stephen Sondheim e Sheldon Harnick, ma gli esiti non sono così felici come in passato.

Nel frattempo Rodgers ha cominciato a comporre musica per film e per documentari e serial per la televisione. Hollywood si impadronisce dal canto suo dei musical di maggior successo trasferendoli su schermo: da ricordare specialmente le versioni di Carosello , Oklahoma! , Il re e io, Pal Joey, South Pacific. Considerato uno dei padri del grande musical americano, R. ha fatto `uscire all’esterno’ questo genere teatrale immergendolo nei grandi spazi e nella coralità degli apporti, e nutrendolo dell’ottimismo tipicamente americano, alla conquista di frontiere sempre nuove. Non per niente il presidente Kennedy lo definì cantore della «meravigliosa esperienza di essere americani del ventesimo secolo».

Russo

Personaggio originale e creativo della scena italiana, l’attività teatrale di Tato Russo si distingue soprattutto per alcune particolarissime messe in scena di testi come: La tempesta (1991), Sogno di una notte di mezza estate (1993) di Shakespeare – per il quale nel 1995 vince il Premio della critica teatrale – L’opera da tre soldi (1988, poi ripresa nel 1995) di Brecht, Napoli hotel Excelsior (1988), Palummella zompa e vola (stagione 1989-90), spettacoli di cui è anche principale interprete. È inoltre autore di scritture prime per la scena, tra le quali si ricordano Week end, Mi faccio una cooperativa, La tazza d’argento, La parolaccia, L’uovo di carnevale, Ballata di un capitano del popolo, La commedia della fame, Cappuccetto blu, Una partita a poker, Cient’e una notte dint’a una notte (1992), Masaniello (stagione 1996-97), Viva Diego (stagione 1997-98). R. è inoltre direttore artistico del Teatro Bellini di Napoli. Nella stagione estiva 1998 partecipa al festival shakespeariano di Verona con lo spettacolo Amleto.

Ridenti

Lucio Ridenti iniziò la carriera come `generico’, insieme a Memo Benassi, nella compagnia diretta da Ermete Novelli; dopo una breve esperienza con la compagnia della Bondi, si fece notare come `brillante’ nella compagnia Ferrero-Palmarini-Celli-Pieri, ruolo che interpretò anche nella compagnia Galli-Guasti-Bracci (1916-19). Iniziò una breve carriera cinematografica: Il figlio o l’atroce accusa, Senza pietà (1920). Nel 1924 fu prim’attore comico con Alda Borelli e nel 1925 nella compagnia di T. Pavlova. Una menomazione all’udito gli impedì di continuare la carriera teatrale, così dal 1925 si impegnò nel giornalismo, dapprima come redattore alla “Gazzetta del popolo” di Torino, quindi come vicecritico drammatico. Nel 1925 fondò la rivista “Il dramma”, che diresse fino al giugno 1968, dove ospitò moltissime commedie italiane e straniere, facendo diventare la rivista anche luogo di discussioni critiche, oltre che di recensioni. A lui si deve la pubblicazione, in cinque volumi, delle Cronache drammatiche di Renato Simoni, nonché alcuni libri di teatro: Palcoscenico (1923), La vita gaia di Dina Galli (1928). Scrisse come commediografo Il malinconico , che andò in scena nel 1924 con protagonista Alda Borelli; insieme a Falconi, scrisse Cento donne nude (1927). Fu anche riduttore di romanzi di Tolstoj, Resurrezione (1925), e di Dostoevskij, Delitto e castigo (1927).

Radius

Dopo aver studiato con Nel Ross, nel 1957 ha debuttato al Nederlands Ballet (1963-1969) e al Balletto nazionale olandese, con il quale rimase dal 1970 al 1990. In possesso di splendide qualità tecnico-espressive, è stata soprattutto l’eccellente interprete di molti balletti di H. Van Manen, tra i quali Symphony in three movements , Metaforen , Sacre du printemps . Ha sposato il ballerino Har Ebelaar.

Rastelli,

Negli anni ’30 quelli della famiglia Rastelli presentano un’entrata musicale classica e un buon numero di acrobazia al trampolino elastico. Dagli anni ’60 si specializzano nel numero dei clown che portano a un livello tale da essere considerati fra i migliori del loro genere. La formazione tipo è composta dal padre Alfredo, i figli Vittorio e Oreste e la moglie di quest’ultimo, Francesca. La loro comicità, resa più gustosa dai virtuosismi musicali di cui sono capaci, è basata sulla lotta con gli attrezzi, con pianoforti che esplodono e strumenti musicali che vanno in frantumi. Si esibiscono per lunghe stagioni con Holiday on Ice e in Italia al Circo americano dei Togni.

Redgrave

Proveniente da una famiglia di antica tradizione teatrale – che lui stesso contribuisce a tramandare con i tre figli, tutti attori, Vanessa, Corin e Lynn – Sir Michael Redgrave debutta nel 1934 tra le fila della compagnia teatrale riunita intorno al Liverpool Playhouse, all’interno della quale incontra e sposa l’attrice R. Kempson. Due anni più tardi si trasferiscono insieme all’Old Vic dove Redgrave interpreta Orlando in Come vi piace, Laerte in Amleto, e Horner nel dramma di Wycherley La moglie di campagna. Nel 1937 viene scritturato da J. Gieguld al Queen’s Theatre dove si cimenta per la prima volta e con grande successo nell’interpretazione di un dramma contemporaneo, Riunione di famiglia di T.S. Eliot, mostrando le sue alte doti artistiche fuori dall’ambito shakespeariano e classico. Attore dalla particolare bella presenza e dotato di voce soave, dà lustro ai festival stagionali di Stratford-upon-Avon insieme a talenti contemporanei come Gieguld, Scofield, Olivier, V. Leigh, e R. Burton. In particolare mostra le sue qualità artistiche recitando insieme alla Aschroft in Antonio e Cleopatra sotto la guida di Glen Byam Shaw; nei panni di Riccardo II e Hotspur nel 1951 diretto da Anthony Quayle, e tra le fila della Royal Shakespeare Company di Peter Hall, agli albori, porta l’Amleto nella prima tournée in Urss.

Nel 1959 recita in un suo adattamento del testo di H. James Il carteggio Aspern. Il suo interesse per il teatro e la professione attoriale lo conducono in studi e approfondimenti che negli anni ’50 concretizza nei due volumi The Actor’s Ways (1955, rivisto nel 1979) e Mask or Face (1958). All’inizio degli anni ’60 entra a far parte della compagnia di Olivier partecipando nel 1962 al primo Chichester Festival con una storica interpretazione dello Zio Vanja che inaugura anche la prima stagione di repertorio del National Theatre nella sede dell’Old Vic. Dopo l’interpretazione di Il costruttore Solness di Ibsen accanto a J. Plowright, è costretto a lasciare la compagnia per motivi di salute. Torna brevemente sulla scena nel 1972 per interpretare il ruolo di un vecchio e silenzioso accademico in Chiusura di partita (Close of Play) di S. Gray.

Roch In Lichen

È stata fondata nel 1987 da Laura De Nercy e Bruno Dizien, danzatori acrobati dalle esperienze diverse ma complementari. La De Nercy in precedenza aveva lavorato, fra l’altro, con Nikolais, Verret, la Buirge e la coppia Bouvier-Obaldia, mentre Dizien accanto alla Marin, a Goos e a Gaudin. Ribaltando i codici della danza, i loro spettacoli, rapidi e violenti e di conturbante effetto, si presentano come performance in cui i due, sfidando apparentemente le leggi della gravità, aggrappandosi e sospendendosi alle pareti sceniche, combinano la tecnica dell’arrampicata con la ricerca di una particolare scrittura gestuale vicina per qualche aspetto all’affresco surrealista. Le loro prime realizzazioni risalgono agli anni 1983-1984, allorché si esibirono sospesi dal ponte di Birk-Hakem ( Tous en Sieme ). Tra i loro spettacoli, da ricordare Le Creux poplité (1987), Rosalinine (1988) e Grenadier Weauer (1989).

Richards

Ricercatore nell’ambito delle arti performative, Thomas Richards dal 1986 affianca Grotowski al Workcenter di Pontedera. Ha scoperto il lavoro del maestro polacco durante l’ultimo anno di studi universitari a Yale (1984), prendendo parte a uno stage condotto da Ryszard Cieslak, attore emblematico del Teatr Laboratorium di Wroclaw. Da allora R. ha assunto un ruolo fondamentale nell’attività creativa che Grotowski ha sviluppato nella ricerca pratica della connessione fra rituale e arti performative, ovvero nell’indagine su `l’arte come veicolo’. Laureatosi nel frattempo (1992) al Dams di Bologna, R. ha condotto dapprima un percorso verso la consapevolezza dell’attore, lavorando con determinazione estrema alla ricerca dell’aspetto interiore, attraverso l’attuazione dei cicli di esercizi messi a punto dal metodo e sotto lo sguardo radicale del maestro; per misurarsi in seguito anche con l’aspetto compositivo e con la conduzione della ricerca al Workcenter dove, elemento essenziale, è il lavoro su antichi canti vibratori (il “Workcenter of Jerzy Grotowski” ha assunto dal 1996 il nuovo nome di “Workcenter of Jerzy Grotowski and Thomas Richards”). R. è stato il principale `attuante’ e `leader’ dell’opus creativo dal titolo Downstairs Action , filmato da Mercedes Gregory nel 1989 e, dal 1994, è autore e `attuante’ principale di Action . Ha inoltre pubblicato due libri a testimonianza del proprio percorso artistico: Al lavoro con Grotowsky sulle azioni fisiche (Milano 1997) e The Edge-Point of Performance (Pontedera 1997).

Roversi

Roberto Roversi è stato redattore della rivista “Officina” con Leonetti e Pasolini. Nel 1961 fonda il periodico “Rendiconti”. Se la prima produzione poetica segue percorsi tradizionali: Poesie (1942), Poesie per l’amatore di stampe (1954), Il margine bianco per la città (1955), è con la raccolta Dopo Campoformio (1962) che la sua lirica, recuperando moduli ottocenteschi con venature ironiche e funzionalità antinovecentesche, affronta anche stilisticamente nuove tematiche. La sua narrativa, dopo Caccia all’uomo (1959) accentua con Registrazione di eventi (1964) e I diecimila cavalli (1976), un tipo di realismo critico, più idoneo del naturalismo, a una visione disperata e ferma del degrado sociale contemporaneo. In questa ottica, ha composto, nel 1965, il testo teatrale Unterdenlinden , in cui la denuncia politica è espressa in forme drammatiche abilmente costruite. In polemica con l’editoria corrente, ha distribuito fuori commercio alcuni raccolte di versi ciclostilate: Le descrizioni in atto (1969) e Materiale ferroso (1977). Nel 1995 ha pubblicato Manhattan: racconti minimi per il teatro .

Rosen

Elsa Marianne von Rose studia danza classica con Vera Alexandrova, Albert Kozlovskij e alla Scuola del balletto reale svedese e, dopo una prima esperienza professionale con i Ballets Russes de Monte-Carlo, nel 1950 fonda il Balletto svedese, con il quale interpreta le creazioni di Birgit Cullberg Signorina Giulia (1950) e Medea (1951). Dal 1951 al 1959 è prima ballerina del Balletto reale svedese, dove danza i maggiori ruoli del repertorio classico; nel 1960-61 è alla testa del Balletto scandinavo, da lei fondato; infine, dal 1962, si dedica alla carriera internazionale, affiancando all’attività di interprete quella di riproduttrice di balletti di August Bournonville, come La sylphide (Ballet Rambert, 1960; Balletto del Malj di Leningrado, 1975), e coreografa: Irene Holm (1960), Helios (1960), Don Juan (1967). Direttrice del balletto di Göteborg dal 1970 al 1976, vi ha creato Romeo e Giulietta (1972) e A Girl Story (1975). Dal 1976 si è dedicata alla carriera di coreografa ospite.

realismo socialista

In Urss il termine realismo socialista comincia a circolare intorno al 1932, ma viene ufficializzato nel 1934, durante il primo Congresso degli scrittori sovietici, guidato da Gor’kij. Vale la pena di riportare per intero la definizione dell’ Enciclopedia teatrale sovietica (tomo IV, 1965): “metodo di creazione artistica basato sulla rappresentazione corretta e concreta da un punto di vista storico della realtà nel suo sviluppo rivoluzionario. Basandosi sull’esperienza della precedente cultura artistica e soprattutto dell’arte realista, il realismo socialista ne rappresenta la nuova tappa storica. I primi esempi in campo artistico compaiono nel XIX secolo, quando la classe operaia si conquista un posto nella storia e nasce l’ideologia comunista, ma assume fisionomia definitiva dopo le lotte sociali dell’inizio del XX secolo e soprattutto dopo la rivoluzione d’Ottobre”. In effetti, dopo il 1934 (anche prima, ma in modo meno generalizzato) la letteratura e il teatro diventano sempre più apertamente strumento di pressione e propaganda dell’ideologia e della prassi del partito comunista: a partire dalla fine degli anni ’20 fino alla morte di Stalin e alla destalinizzazione (il cosiddetto ‘disgelo’, durato almeno un decennio dopo la scomparsa del dittatore) oggetto della drammaturgia è la rappresentazione della realtà non come l’autore la vede o la interpreta, ma come il partito vuole che sia vista o interpretata.

Alla fine della guerra civile (1920-22) molti sono i drammi dedicati all’eroica lotta e alla vittoria dell’Armata rossa contro gli aborriti bianchi ( La tempesta di V.N. Bill-Belocerkovskij, 1925; Ljubov’ Jarovaja di K.A. Trenëv, 1926; Il treno blindato 14-69 di Vs.V. Ivanov, 1927; La prima armata di cavalleria di Vs.V. Visnevskij, 1929), poi quelli dedicati all’industrializzazione, alla costruzione di grandiose fabbriche, dighe, centrali elettriche, nei quali spesso affiora il tema del sabotaggio da parte di biechi elementi controrivoluzionari, tema che fa naturalmente risaltare la coraggiosa resistenza degli integerrimi membri del partito ( Cemento di F.V. Gladkov, 1926; Untilovsk di L.M. Leonov, 1928; La linea di fuoco di N. Nikitin, 1931; La marmellata di lamponi , 1926 e La paura , 1931 di A.N. Afinogenov; Il suo amico , 1932 e Il poema della scure, 1933 di N.F. Pogodin; La lega meravigliosa di V.M. Kirson, 1934); la collettivizzazione delle campagne, la trionfale nascita dei kolchoz, dei sovchoz e l’eliminazione dei kulaki o contadini ricchi ( Pane di Kirson, 1930; Dopo il ballo di Pogodin, 1934; La terra di N.E. Virta, 1937; I giardini dei Polovcy di Leonov, 1939); i conflitti familiari, limitati esclusivamente a questioni ideologiche tra padri conservatori (spesso addirittura sabotatori) e figli esemplari comunisti che arrivano fino alla denuncia, oppure la trasformazione di giovani tentennanti in entusiasti uomini di partito (Le rotaie rombano di Kirson, 1927; La quadratura del cerchio di V.P. Kataev, 1928; Il figlio di un altro di Skvarkin, 1933; Skutarevskij di Leonov, 1934).

Non mancano naturalmente i drammi che hanno come protagonisti i due capi carismatici Lenin e Stalin (basta qui citare la celebre trilogia di Pogodin L’uomo col fucile, 1937; Il carillon del Cremlino, 1942; La terza patetica, 1958 – e Il grande signore di Vl.A. Solov’ëv, 1944, dedicato a Ivan il Terribile ma in realtà a Stalin). La seconda guerra mondiale riaccende l’entusiasmo nazionalista: all’eroica resistenza dei soldati sovietici contro l’invasione hitleriana è dedicata una serie di drammi propagandistici e celebrativi (Alla vigilia di Afinogenov, Il fronte di Solov’ëv, Gente russa , Aspettami! e Sarà proprio così di K.M. Simonov, Essi vivevano a Leningrado di O. Bergol’c e G. Makagonenko). Alcuni autori affrontano temi storici, ricostruendo episodi o personaggi alla luce dell’ideologia sovietica (L’anno 1881 di N.N. Sapovalenko, Pietro I – scritto in tre varianti, 1930-38 – e Ivan il Terribile in due parti, 1942-44 – di A.N. Tolstoj, Il feldmaresciallo Kutuzov di Solov’ëv, 1940).

Dopo la guerra viene confermato il rigido controllo ideologico con il decreto del Comitato centrale del partito `Sul repertorio dei teatri drammatici e sulle misure per migliorarlo’ (1946): nascono così nuovi temi, sempre comunque edificanti, come quello del soldato che ritorna nella città o nel paese distrutti e si impegna in una rapida ricostruzione, o quello, diffusissimo, della ‘guerra fredda’ e dell’antagonismo con la corrotta e razzista America (La questione russa di Simonov, 1947; Il governatore di provincia e La guerra fredda , 1949 dei fratelli Tur; Il colore della pelle di Bill-Belocerkovskij, 1948, su un episodio di razzismo in America; Il leone in piazza e L’ombra altrui , 1950 di I. Erenburg). Nel complesso la produzione drammaturgica legata al realismo socialista, che copre una trentina d’anni circa, lascia ben pochi testi degni di essere ricordati. I maggiori rappresentanti di tale corrente – K.A. Trenëv (1876-1945), V.N. Bill-Belocerkovskij (1885-1970), Vs.V. Ivanov (1895-1963), L.M. Leonov (1899-1994), N.F. Pogodin (1900-1976), Vs.V. Visnevskij (1900-1951), A.N. Afinogenov (1904-1941), A.E. Kornejcuk (1905-1972), N.E. Virta (1906-1976), Vl.A. Solov’ëv (1907-1978), K.M. Simonov (1915-1979) – nascono tra la fine del secolo scorso e i primi del ‘900, debuttano tutti negli anni immediatamente postrivoluzionari e, salvo rare eccezioni (per esempio Afinogenov ebbe un periodo di eclisse intorno al 1937), passano indenni attraverso le purghe staliniane; vengono rappresentati più o meno di buon grado da tutti i teatri sovietici, con successo di pubblico e plausi della critica ufficiale, senza peraltro uscire dalla mediocrità di una produzione propagandistica e apertamente ideologizzata.

Rossato

Giornalista e scrittore, Fu autodidatta e, prima di collaborare con “l’Avanti”, fece anche il tranviere. Nelle sue opere, di argomento politico e di costume, affrontò i temi con stile impegnato. Scrisse in italiano e in dialetto veneto. Approdando alla commedia musicale, diede nuova linfa al genere: con l’affresco caricaturale Nina, non far la stupida (1922), realizzato con Gian Capo, ottenne grande successo. Come librettista scrisse il Giulietta e Romeo musicato da Zandonai (1922).

Rosso

Narratore di aura mitteleuropea, i suoi romanzi e racconti ( L’adescamento , 1959; La dura spina , 1963; Sopra il museo della scienza , 1967; Gli uomini chiari , 1974; Il segno del toro , 1980) disegnano, attraverso un linguaggio cristallino, personaggi e ambienti in perenne contraddizione tra la ricerca di verità e l’ansia di evasione. Tematica che R. riversa con efficacia drammaturgica anche nei suoi testi teatrali: La gabbia (1968), Un corpo estraneo (1975), Simulazione di un enigma (1977), Esercizi spirituali (1978, premio Riccione), Gli illusionisti (1982, premio Pirandello), Il pianeta indecente (1984, premio Idi), L’imbalsamatore (1997).

rito e teatro

Il rapporto tra rito e teatro muta continuamente nella storia della cultura. Ciò in ragione delle motivazioni profonde con cui è vissuta l’esperienza religiosa e del modo con cui essa si atteggia nel mondo. Si è soliti contrapporre il sacro al profano; ma questa distinzione, più che un dato originario, si instaura in prosieguo di tempo all’interno di coordinate storico-culturali precise, quando l’affermarsi di una visione laica, sospinge sullo sfondo quell’orizzonte di miti e riti entro cui si articola primitivamente la dimensione del teatro. L’autonomia del teatro dal rito è una conquista progressiva, perché, in origine rito e teatro si danno come modalità diverse di una medesima esperienza, così che il plesso mitico-rituale si configura attraverso forme più o meno caratterizzate in senso teatrale. In alcuni momenti della storia della cultura, tra rito e teatro non c’è soluzione di continuità e le forme drammatiche si generano entro la matrice rituale, prima di giungere alla matura autocoscienza che l’azione teatrale si radica in un ordine proprio. Né è detto che questa autonomia garantisca la conquista di una profondità antropologica e di un’intensità poetica che sono un momento costitutivo del teatro.

Nello sviluppo dell’esperienza religiosa, magari a partire dall’approccio sacro-magico alla realtà, ci sono gesti, forme, esperienze che si connotano in senso specificatamente teatrale, fino a che la sfera del dramma si configura via via come una sfera autonoma. Ma l’autonomia del teatro dal rito è vexata quaestio: in origine, dicevamo, il teatro è tutto interno al rito, vi si radica come nell’essenza sua propria, gli conferisce significato e coerenza, lo rende riconoscibile e pregnante all’interno del gruppo anche come sistema di comunicazione. In un orizzonte fortemente caratterizzato in senso religioso, il teatro è, molto spesso, il modo di essere del rito, il luogo dove la verità del mito si fa riconoscibile anche nella corporeità del celebrante. Il rito infatti rende concreti e carichi di senso i rapporti tra la comunità e la divinità, dando luogo alla manifestazione sensibile della divinità. È nel rito infatti che la divinità si fa presente, così che il sacerdote diventa ierofante, la figura in cui si incarna il dio vivente della scena. L’attore è, in questa aurora del teatro, sacerdote così come il sacerdote diventa l’attore che mima l’azione del dio, mediando tra il trascendente e l’orizzonte mondano. Il mito in effetti non rimane chiuso nelle trame del pensiero astratto e discorsivo, ma si articola piuttosto secondo un sistema coerente e concreto di immagini. È in questo modo, teatrale appunto, che esso irrompe su quella scena, dove il mito viene declinato in forme diverse: può diventare racconto modulato attraverso le intonazioni e i gesti concreti della comunicazione orale.

1) L’oralità è un primo modo di porsi in modo teatrale: la narrazione si svolge attraverso i ritmi, la voce, i gesti, la corporeità di chi racconta, così che la parola si fa segno vivente attraverso l’umanità di chi la dice. Inoltre il rito si fa dramma quando l’azione si articola secondo un sistema complesso di segni e di eventi carichi di significati esemplari, non solo raccontati ma agiti. Inoltre il rito si fa figura o illustrazione più ampia quando si dispiega attraverso la rappresentazione iconica offerta alla devozione dei fedeli. E infine il rito diventa gioco, quando si apre al mondo del significato trasformando energie e attitudini del gruppo che si esprime nei modi del torneo, del corteo, delle processioni, della marcia, delle figurazioni agonistiche, devozionali e così via. Il sistema mitico-rituale da una parte e il sistema teatrale operano, all’origine, in modo unitario, attraverso una coalescenza di elementi variamente riconoscibili. A seconda della intenzionalità che caratterizza i membri del gruppo, il processo rituale si svolge in forme drammatiche che nel prosieguo dell’esperienza si distinguono progressivamente fino a separarsi: unità, distinzione, separazione, contraddistinguono non solo le diverse fasi ma anche le due opposte polarità del rito e del teatro fino al momento in cui essi abiteranno definitivamente in luoghi e tempi distinti.

2) La linea di sviluppo che porta l’esperienza del teatro a staccarsi progressivamente dal rito è caratterizzata da un indebolimento delle ragioni del sacro e da una spinta centrifuga che porta il complesso dell’azione verso esiti sempre più spettacolari, tanto più evidenti quanto più viene meno la carica religiosa originaria. C’è una dislocazione progressiva di senso, che promuove atteggiamenti e intenzioni diverse, facendo curvare le forme e le ragioni del rito verso il teatro: quanto più si allontana la presenza del dio, tanto più l’azione si sposta nel mondo degli eroi, dei semidei, e poi degli uomini. La maschera sacra che in origine è parvenza del dio, forma manifesta del suo apparire nel mondo, diventa poi ciò che occulta il volto dell’uomo e dell’attore, entro un gioco di identificazioni e simulazioni tanto lontano dal senso originario. In certa misura (ma nelle culture primitive e orientali non sempre le cose procedono in questo modo), l’avvento del teatro coincide col declino del rito o di certe sue forme. In definitiva il plesso mitico-rituale da una parte e il teatro dall’altra non si comprendono se si prescinde dall’orizzonte storico-culturale entro cui si definiscono i comportamenti collettivi. Importa allora notare che rito e teatro si generano all’interno delle strutture di festa, punto focale attraverso cui si esprime la coscienza collettiva.

La festa, come nella relazione tra sacro e profano, non nasce dalla contrapposizione col quotidiano: in un sistema calendariale che esprima realmente il senso collettivo, la festa è il momento in cui appare con la pienezza dei suoi significati profondi il dispiegarsi del tempo. Nel tempo ciclico come nel tempo lineare, la festa introduce una scansione del tempo, che dà coerenza e sviluppo all’andamento delle vicende naturali e delle vicende umane. Grande festa o festa minore, festa stagionale o annuale, festa degli dei, degli eroi o degli uomini, celebrazione di gesta mitiche o di avventure storiche, questo tempo eccezionale apre non solo una discontinuità nel fluire del tempo, ma rende visibile e concreto il senso dei passaggi critici nel tempo vissuto da una comunità. Nelle feste arcaiche lo svolgimento degli eventi rituali, con le diverse fasi dell’attesa, della vigilia, della celebrazione e della sedimentazione successiva che proietta nella storia profana tutta l’esemplarità delle storie mitiche, consente al gruppo di sperimentare un arco straordinario di possibilità che va dai momenti rituali, sacro-magici o religiosi, ai momenti in cui il teatro emerge come momento fondante della comunità e in cui si riplasmano i rapporti tra la realtà e l’immaginario collettivo.

Nell’aura della festa in cui, come dice Kerényi, gli uomini passano dalla parte degli dei, accanto alle forme rituali si sviluppa via via una costellazione di forme teatrali e parateatrali, cui viene affidato il compito di riaffermare l’unità del gruppo attorno a un sistema di valori profondamente condiviso. Rito e teatro, una volta distinti, celebrano in modo diverso la stessa trama unitaria di valori significativi per la comunità: allora la tradizione soccorre offrendo il retaggio di gesti conservati dalla memoria per rafforzare la coscienza unitaria della società e aprirla a una vivida e concreta sperimentazione del proprio futuro e della propria capacità progettuale. Per questo la festa non è solo occasione estrinseca di incontri: essa è restituzione del passato storico e metastorico e insieme proiezione verso il futuro. In tale prospettiva il teatro diventa scandaglio doloroso della condizione umana, ma anche coscienza critica sulle condizioni del mondo così che nell’autentica tensione verso il futuro esso orienta le forme della drammaturgia, dando contenuti riconoscibili alla speranza del gruppo.

3) Quando si spegne la dialettica tra sacro e profano, il sistema della festa si impregna di altre ragioni. Il mito, il racconto, l’azione non riguardano più la sfera della divinità ma quella degli uomini: uomini simili a dei, come nella festa rinascimentale e barocca che propone alla collettività le gesta del Principe. È questo che si fa garante dei nuovi rapporti tra la terra e il cielo, incarnando l’essenza dello Stato Assoluto e le ragioni spirituali e politiche del potere che chiede di essere celebrato dal gruppo attraverso un sistema coerente ed estremamente funzionale di gerarchie e di valori. Nella semantica collettiva festa e teatro rendono visibile il fondamento e il senso di un nuovo ordine: paradossalmente si potrebbe parlare non di un’eclissi del sacro, ma di una sua ricostituzione entro un orizzonte diverso, in cui festa e teatro sono manifestazione del nuovo rapporto tra sacro e profano, tra rito e dramma, tra potere politico e potere religioso.

Nella vicenda collettiva che contraddistingue la nascita e lo sviluppo degli stati moderni c’è un complesso ordinamento cerimoniale che rende visibili e carichi di un senso esemplare per tutti i rapporti tra il Principe, la corte e la società: i riti sono ora riti mondani e laici, mentre il teatro si avventura nella sfera dei nuovi eroi, riprendendo lo stesso patrimonio mitografico ereditato dalla antichità classica. Nei giacimenti della mitologia classica c’è materia sufficiente per collegare le immagini e i racconti dell’antichità con le gesta dei personaggi che discendono nel mondo da un olimpo profondamente rinnovato: a suo modo il teatro, e lo spettacolo in genere, danno forma e sostanza alle nuove ritualità collettive. Essi celebrano non più le figure proposte dal cristianesimo ma le figure dell’antico grande racconto che parla degli dei e degli uomini. Cambia, all’interno di queste, il senso delle ripetizioni e il modo di far presente l’incontro tra il mondano e ciò che appartiene a un altro orizzonte. Volta a volta il teatro diventa ripetizione, consacrazione, celebrazione, illustrazione delle avventure delle élite nobiliari, che i mitografi di corte propongono attraverso un complesso sistema di feste, di forme teatrali e di eventi spettacolari. Si instaura così un’organizzazione calendariale diversa, che dà senso alla celebrazione di un potere nuovo, esautorando progressivamente la vecchia eredità religiosa per aprirsi alle nuove domande della società e delle classi dominanti.

Il sistema religioso, impoverito delle sue ragioni più profonde, cerca una riautenticazione nell’intimità della coscienza, rinnova le sue liturgie distanziandosi definitivamente da drammaturgie sempre più spettacolari ed estrinseche o arretra sullo sfondo delle tradizioni popolari, che costituiranno la trama ininterrotta dei significati soggiacenti e rimossi dalle culture elitarie come espressione di un dominio folklorico diversamente fondato, perché estraneo alla visione immanentistica dei nuovi riti. Sono state già approfondite dall’antropologia la natura e le forme del processo rituale che interessa più da vicino il teatro: la vita del gruppo passa attraverso fasi di rotture dell’ordine e della coesione sociale, sosta in situazioni di marginalità e di separazione entro un tempo e uno spazio che consentano di allentare il carattere costrittivo della norma. Inquesto caso sorgono nella società occasioni e forme insospettate di libertà o di licenza, per riportarsi entro un nuovo ordine, dopo aver attraversato fasi caotiche e condizioni ‘statu nascenti’ in cui la creatività si attiva lungo linee creative, protette dalla rigorosa scansione delle strutture rituali. In questo percorso si rigenerano le stesse potenzialità del teatro e le forme che esso può via via assumere nel processo di trasformazione o conferma dell’immaginario collettivo.

4) Attraverso tutta la vicenda dell’età moderna questa dicotomia tra i due livelli del rito e del teatro, della sfera popolare e della sfera propria delle classi dominanti, si accentua, si aprono nuovi conflitti, si determinano silenzi, rimozioni e distanze in cui si riverberano i propri valori, nel misconoscimento dei valori di cui sono portatori gli altri e i diversi. L’ultima grande manifestazione del rapporto tra rito e teatro si ha nella Rivoluzione Francese. Essa promuove nuove feste attraverso l’iniziativa di una classe dirigente che sorveglia e regola la riformulazione dei codici espressivi e delle grandi unità di significato. Si attua così una liquidazione progressiva, ma non per questo meno evidente e inesorabile del sistema del potere che accompagna la crisi dello Stato Assoluto. In qualche modo finisce l’ultima declinazione del sacro nel rapporto tra festa, rito e teatro. La Rivoluzione Francese riplasma a suo modo l’esperienza del sacro, i cambiamenti profondi che si producono negli assetti di potere, ponendo in crisi l’origine divina del potere e facendo emergere la sovranità popolare. Essa sembra redistribuire la sacralità del potere nel mondo ma allo stesso tempo lo dissolve. Sostituisce nuovi simboli, nuovi valori e miti e li dispone entro una trama rituale di insospettata evidenza nella società. La nuova borghesia ripercorre a suo modo i tracciati del sacro, dei riti e del teatro per piegarli alle esigenze di una nuova rappresentazione del mondo, di teurgie e liturgie profondamente e talvolta irosamente rinnovate. Con le feste della Rivoluzione Francese finisce di fatto quel sistema festivo entro cui si era fondato il teatro. Da questo momento in avanti la dimensione del teatro come rito collettivo piega verso un ordine tutto mondano e laico, feriale e commerciale. Perché ciò che fa la differenza, nella nuova ritualità borghese, rispetto a quella antica, è la definitiva obliterazione del senso religioso, come espressione del sacro da una parte e del legame collettivo dall’altra.

Il teatro si dà entro luoghi specializzati, entro architetture in cui si offre ogni soccorso tecnico all’invenzione della fantasia, alle spinte di una spettacolarità sempre più estroversa. Ma il teatro non si svolge più in un tempo specializzato come la festa, capace di esprimere le cadenze della natura e della storia e il grande racconto mitico per il mondo. Il teatro si fa piccola occasione entro un gioco di rimandi, di convenzioni e occasioni che simulano in modo del tutto estrinseco la trama di significati proposti dalla ontologia religiosa. Per un teatro che fonda le sue ragioni e il suo modo di essere in un assetto organizzativo legato al profitto, alla razionalità della logica industriale o commerciale, la tensione del rito scade, per anguste motivazioni di ordine immediato, a occasione di divertimento, a celebrazione di convenienze sociali, in cui si coagulano ragioni culturali, di costume, di sensibilità tanto più modeste. Non si impoveriscono solo le istanze religiose e quelle etico politiche, ma anche quelle estetiche, come se un teatro, incapace di sporgere sugli abissi del sacro e di rispecchiarsi attraverso il rito, fosse ontologicamente incapace di proporre alla coscienza collettiva valori e significati adeguati. La spinta evasiva ed eversiva esercitata dai grandi apparati mediatici sul sistema di tradizioni e di valori, opera allora un processo di espropriazione delle libertà collettive. Le nuove forme di comunicazione non aprono orizzonti alla libertà e dignità dell’uomo, nella misura in cui l’espansione della realtà virtuale determina una crisi della presenza, indebolisce il senso della responsabilità e della partecipazione della persona, così che lo stesso destino del teatro ne risulta esautorato.

La scena si fa, nei nuovi contesti, inesorabilmente autoreferenziale e chiusa nella frammentazione dei piccoli gruppi, con una radicale denegazione di quelle istanze del legame che sono il tratto non solo etimologicamente costitutivo delle religioni. E tuttavia nella dissoluzione delle forme storiche del teatro, nell’incalzare delle avanguardie e delle nuove tecnologie, nel sorgere e propagarsi di microculture fuori dei teatri e spesso fuori dal teatro, sembra delinearsi la domanda non solo di una teatralità diffusa, ambigua ed estremamente articolata, ma anche di ritualità diverse. Questa domanda si diffonde all’interno di spazi anomali, in laboratori o in luoghi spesso atipici, esterni o contrari alle convenzioni ereditate. Attraverso essa si intravede una mutazione antropologica che interpella il teatro e lo costringe ad esplorare nuove forme della rappresentazione. È attraverso queste nuove forme che si cerca di dare concretudine sensibile alle dolorose vicissitudini del singolo e del gruppo, alle urgenti necessità di nuove relazioni facendo emergere dalla crisi della scena un teatro capace di rispondere ai nuovi interrogativi dell’uomo.

Richard

Noto interprete di cinema e tv, negli anni ’70, R. inaugura un circo che porta il suo nome, ristabilendo in modo decisivo criteri qualitativi che si stavano perdendo nel mondo circense francese, tramite l’ingaggio ogni anno dei maggiori talenti mondiali. R. apre in seguito altri circhi acquistando insegne famose (Medrano, Pinder) e abbandona l’attività circense attorno agli anni ’80.

Rainò

Dopo il diploma alla Scuola di Ballo dell’Opera di Roma entra diciottenne nell’omonima compagnia, della quale viene nominato primo ballerino nel 1961 e primo ballerino ospite nel 1971. Ballerino classico dal temperamento vivace e drammatico si distingue in ruoli romantici ( Giselle ), ma anche in balletti in puro stile neoclassico ( Apollo di George Balanchine); importante anche la sua collaborazione con coreografi moderni italiani degli anni sessanta e settanta come Susanna Egri ( Cavalleria Rusticana , Rai Radiotelevisione italiana, 1963) e Giuseppe Urbani ( Convergenze , Teatro Comunale di Firenze 1972).

Rossellini

Raffaella Rossellini partecipa nel 1978 alla fondazione del Teatro dell’Iraa (Istituto di Ricerca sull’Arte dell’Attore) diretto da Renato Cuocolo e concentrato sull’analisi e la fusione di diverse culture teatrali – con spiccata predilezione verso quelle orientali e sudamericane – e diversi codici espressivi, attraverso lavori come Lontano da dove (1981), Atacama (1982), Nowhere to hide (1984). In seguito con la compagnia Silvestremente ha proseguito il suo lavoro di ricerca etnologica. Ha partecipato al film di Marco Bellocchio La Visione del Sabba ed è autrice del saggio La liquidazione del corpo (1989).

regia,

Il circo di regia è un approccio alla creazione circense emerso diffusamente in Europa e in Usa negli anni ’80, in cui, come nella prosa o nel teatro musicale, il concetto dello spettacolo è dominato da un’équipe che ne definisce regia e drammaturgia. L’approccio drammaturgico consiste nel superare l’idea di successione dei `numeri’ del circo tradizionale, legando invece i vari momenti dello spettacolo con una logica artistica, con o senza un tema specifico. Elementi determinanti nel circo di regia contemporaneo sono il rapporto tra l’artista e la musica (spesso scritta appositamente) e le risorse della scenografia adattate allo spazio circense. Il circo di regia è emerso a metà degli anni ’70 grazie all’avvicinamento al mondo della pista da parte di personalità del teatro: Sylvia Monfort con la famiglia Gruss e Pierre Etaix con Annie Fratellini in Francia; André Heller e Bernhard Paul in Germania; Guy Caron e la dinastia Knie in Svizzera; Paul Binder e Michael Christensen con il Big Apple Circus a New York. Altre esperienze importanti negli Usa, sebbene più modeste, sono il Pickle Family Circus di San Francisco e il Circus Flora. Se tali esempi valorizzano registicamente la tradizione circense su basi storiche, pur integrando tecniche moderne, i due casi più celebri si spingono verso scelte più specifiche: la troupe equestre francese Zingaro si basa esclusivamente sul rapporto tra musica e cavallo; la compagnia canadese del Cirque du Soleil astrae completamente dal circo tradizionale, stravolgendone lo stesso spazio scenico.

Da notare che l’idea di uno spettacolo circense `totale’ non è legata alla realtà contemporanea, ma ha dominato la storia del circo nelle sue principali fasi storiche: una forma di drammaturgia circense ha avuto particolare fortuna dalla seconda metà dell’800 ai primi decenni del nuovo secolo nell’esempio delle pantomime circensi. Esiste inoltre un ampio filone, soprattutto francese, noto come `nouveau cirque’, che quasi rinnega la tradizione, spostando le tecniche del circo dalla loro originaria funzione a favore del teatro e della danza contemporanea. Nucleo riconosciuto della filosofia del `nouveau cirque’ è il Cnac (Centre national des arts du cirque). Questo tipo di circo sceglie di usare la tradizione e le tecniche circensi per parlare della contemporaneità, come normalmente avviene nella ricerca drammaturgica o coreografica; le compagnie più note assimilabili a tale estetica sono Archaos, Plume, Baroque, Cirque O, Les Nouveaux Nez, Gosh.

Ruzimatov

Terminato l’Istituto coreografico di Leningrado entra nel 1981 al teatro Kirov. Limpido rappresentante della scuola accademica di Leningrado è lodato interprete di ruoli tradizionali romantici e brillanti, che affronta con inusuale grinta esecutiva. Primo interprete di alcuni balletti di Oleg Vinogradov ( Il cavaliere dalle pelle di tigre , 1985), affronta i principali ruoli del repertorio dall’Ottocento al Novecento: Don Chisciotte , Silfide , Il lago dei cigni , La bella addormentata , Giselle, Spectre de la rose, Theme and Variations . Dal 1990 al 1991 è ospite dell’American Ballet Theatre. Del suo repertorio fanno parte molti a soli che ne mettono in risalto le qualità virtuosistiche ed espressive. Ha interpretato il film Notti egiziane . Ha ottenuto il primo premio al Concorso di Varna (1983) e di Parigi (1984).

Rovetta

Celebre nella Milano a cavallo tra i due secoli, dove trascorse quasi tutta la sua vita, Gerolamo Rovetta riscosse parecchio successo sia per la sua attività di romanziere sia per le sue opere teatrali. A contribuire alla sua fama di drammaturgo fu soprattutto la commedia intitolata Romanticismo (1901), in cui con toni patriottico-sentimentali, a volte scadenti nel melodrammatico, vengono rievocati i fasti e gli ideali del Risorgimento. Altre sue opere sono La trilogia di Dorina (1889), I disonesti (1892) e La realtà (1895). Questi tre drammi, in particolare, ruotano intorno al tema della `disonestà’, che porta inesorabilmente al successo i corrotti, facendosi beffe di chi si regge a una più onesta condotta di vita. In Rovetta predomina dunque una prospettiva di forte caratterizzazione pessimistica, ma sono anche da ricordare le sue opere comiche, come Il re burlone (1905), ritratto di un borbone di Napoli, e Cameriera nova (1891), commedia scritta in dialetto veneto. Appartiene a questo genere anche Molière e sua moglie (1909).

Rice

Reizenstein; New York 1892 – Southampton 1967), autore drammatico statunitense. Scrisse soprattutto due drammi importanti: l’espressionistico La macchina calcolatrice (The Adding Machine, 1923), dove un grigio travet uccide il suo principale che lo ha sostituito con una macchina, e il realistico Scena di strada (Street Scene, 1929), sulle sofferenze e le tragedie degli abitanti di un casamento popolare. Fra le altre sue opere, spesso in aperta polemica con le costrizioni imposte all’individuo da una società ingiusta, ottenne successo una brillante commediola, La sognatrice (Dream Girl, 1945), ben lontana da queste preoccupazioni.

Repertory Movement

Repertory Movement è un movimento teatrale inglese emerso nei primi del Novecento in reazione al teatro commerciale, all’egemonia londinese e alla priorità del profitto sulla sperimentazione. Tra i pionieri dell’idea, Harley Granville Barker e William Archer proposero la creazione di un teatro di repertorio nazionale, con sede a Londra, sostenuto da privati o da sussidi pubblici, forte di una sua compagnia stabile in grado di offrire a rotazione un repertorio ricco di un’ampia varietà di spettacoli di alto livello, che promuovesse la nuova drammaturgia al pari di quella classica, il teatro inglese come quello straniero e le forme di teatro popolare così come quelle di intrattenimento meno praticate. Esemplare resta la stagione al Royal Court Theatre nel 1904-1907 di H.G. Barker, quale primo tentativo del genere. Modello che viene più tardi riprodotto e aggiornato per lo più a livello regionale, dove l’assenza di un sistema consolidato al pari di quello londinese permette di costituire delle vere e proprie compagnie di repertorio. A distanza di pochi anni sorgono così simili realtà a Manchester (1907), a Glasgow (1909), a Liverpool (1911), a Birmingham (1913). Per tutto il secondo dopoguerra il processo di rinnovamento delle città include la promozione fattiva delle arti da parte degli organi locali e nazionali; nascono così i nuovi teatri di Coventry, Nottingham, Birmingham, Leeds ecc., quale concreto sostegno al programma del movimento teatrale. Negli anni ’60 il movimento si rinnova tenendo conto delle realtà regionali che incontra e in cui vive, ovvero della molteplicità di gusti, interessi ed esigenze che di volta in volta il pubblico pone per diversità di età, razza e credenze, assumendo così anche un ruolo educativo e sociale.

Robledo

Pepe Robledo arriva in Europa nel 1977, esiliato dalla dittatura del suo paese. In Argentina, a partire dal 1970, fa parte del Libre Teatro Libre con cui lavora fino al 1976, anno in cui il gruppo si dissolve a causa del golpe militare. Sempre nel 1976 partecipa al primo incontro del teatro di gruppo di Belgrado. Rimane poi in Europa dove lavora come attore e insegnante di tecniche di improvvisazione, entrando nel 1980, su richiesta di Iben Nagel Rasmussen dell’Odin Teatret, a far parte del gruppo Farfa. Qui conosce, nel 1983, Pippo Delbono, con cui instaura un rapporto di collaborazione duratura seguendolo, dapprima, nell’incontro con Pina Bausch (1987) e partecipando, in seguito, a tutti i lavori diretti dallo stesso Delbono, da Il tempo degli assassini a La guerra. Nel suo lavoro con la Compagnia Pippo Delbono, Robledo non si identifica nel solo ruolo di attore, ma svolge nel contempo le funzioni di aiuto regista, assistente, collaboratore alla drammaturgia, tecnico e fonico.

Richardson

; Shipley 1928) regista inglese. Esordisce nel teatro per passare molto presto al cinema. Debutta tra le fila della Oxford University Dramatic Society e nel 1955 si unisce alla English Stage Company di George Devine, facendosi notare nel maggio del 1956 con la messa in scena del famoso testo di John Osborne Ricorda con rabbia , dando il primo contributo alla rinascita del teatro inglese e all’affermazione della nuova drammaturgia. Forte del suo spirito libertario e di un talento anticonvenzionale si fa portavoce di un teatro innovativo e internazionale con i suoi allestimenti al Royal Court di testi di Ionesco, Brecht (tra cui Arturo Ui e Santa Giovanna dei macelli ), Feydeau, Williams, e ancora Osborne tra cui L’istrione (The Entertainer, 1957) con Laurence Olivier e Lutero (Luther, 1961) con Albert Finney. Negli anni ’60 allestisce alcuni lavori shakespeariani e nel 1961 sempre al Royal Court cura la regia di Il Lunatico (The Changeling) di T. Middleton e W. Rowley, con Robert Shaw e Mary Ure; nello stesso tempo avvia la sua fortunata carriera cinematografica che nel 1963 lo vedrà premiato miglior regista per il suo Tom Jones . Altri film: Sapore di miele , 1961; Gioventù, amore e rabbia , 1962; In fondo al buio , 1969; Hotel New Hampshire , 1984.

Ranzi

La formazione di Galatea Ranzi avviene all’Accademia d’arte drammatica dove si diploma nel 1988. Durante i suoi studi presso questo istituto recita, diretta da L. Ronconi, in Amor nello specchio di G.B. Andreini (1987), spettacolo realizzato come saggio finale del secondo anno di accademia. Sempre con Ronconi esordisce in Mirra di Alfieri (1988), una produzione del teatro Stabile di Torino; accanto a lei recitavano O. Piccolo e R. Girone. È grazie a questa interpretazione che riceve il premio Ubu 1988 come migliore attrice giovane oltre che una menzione d’onore al prestigioso premio Eleonora Duse. Nel 1989 recita, ancora diretta da Ronconi, in Strano interludio di O’Neill insieme a P. Bacci, R. Bini, M. de Francovich. Nella stagione 1990-91 continua la sua collaborazione con lo stesso regista e ancora direttore dello Stabile torinese con due allestimenti come L’uomo difficile di Hofmannsthal e il magnifico kolossal teatrale Gli ultimi giorni dell’umanità di Kraus, quest’ultimo andato in scena nella struttura del Lingotto. Più di recente è stata la protagonista di Donna Rosita nubile (1996) di Federico García Lorca per la regia di C. Lievi.