Kôkô

Viene iniziato all’arte della danza partecipando ancora bambino ai riti animistici della cultura Nago beninese. Emigrato in Francia nel 1976 segue una formazione artistica, studiando con Alexandre Glissowski, Peter Goss, Yoshi Oida (con cui collabora per alcune coreografie), Pierre Doussaint e perfezionandosi in seguito a New York presso la Leslie Dance School di Katherine Dunham e la Alvin Ailey School. Attualmente vive e lavora a Parigi, dove tiene numerosi stage. I lavori di K. sono profondamente legati alla sua cultura d’origine, in cui la danza è espressione della saggezza direttamente ispirata dalla divinità e il linguaggio del corpo è capace di `rivelare un mistero’ inaccessibile alla parola. Fra le sue coreografie: Passage (1984), La marche du cameleon (1990) D’une rive à l’autre (1994), Sisi agbe aye (1995), Terre rougeâtre (1996).

Kismet,

Considerata una delle realtà più vive del Mezzogiorno, è nata nel 1983 da un’esperienza laboratoriale tenuta da Carlo Formigoni, con il quale il Kiskmet Teatro ha realizzato diversi spettacoli (I viaggi di Simbad, 1984; Cenere, 1986; Giorgio e il drago, 1995) per poi collaborare con altri registi, come Alain Maratrat e Martin Duncan. Dal 1988 gestisce a Bari uno spazio laboratorio denominato ‘Kismet-Opera’, dove si alternano diverse esperienze teatrali, tra cui quella di teatro-handicap tenuta da Enzo Toma (Vangelio, 1996).

Kirnbauer

Dopo gli studi alla scuola di ballo dell’Opera di Vienna, si perfeziona con Rosella Hightower, Raymond Franchetti e Serge Peretti; entrata (1956) nel corpo di ballo del teatro, nel 1967 diviene solista e nel 1972 prima ballerina. Solida interprete del grande repertorio classico e neoclassico, si segnala sulla scena internazionale anche grazie alla sua collaborazione con Aurel Milloss, del quale danza Estri (1968), Panta rhei (1972), Estro arguto (1972). Ritiratasi dalle scene nel 1987, è diventata direttrice del balletto alla Volksoper di Vienna.

Kirstein

Lincoln Kirstein fu fondatore e direttore del Ballet Caravan; fondatore e direttore, con Balanchine, della School of American Ballet (1934) e del Dance Archives Museum of Modern Art di New York; cofondatore della Ballet Society (1946, poi New York City Ballet); fondatore ed editore di “Dance Index”. Sempre in stretto rapporto con Balanchine, ha svolto un ruolo fondamentale per il balletto americano. `Ghost writer’ per la biografia di Nijinskij scritta dalla moglie Romola Nijinskij, ha pubblicato: Dance (1935), Blast at the Ballet: A Corrective for the American Audience (1938), The Classical Ballet: Basic Technique and Terminology (con Muriel Stuart, 1952), Movement and Metaphor (1970), The New York City Ballet (1974), Nijinskij Dancing (1975). Mecenate e attivo sostenitore dell’arte del balletto, è stato anche critico, acuto e sensibile, di pittura e di teatro, come testimonia la raccolta di scritti By, With, To & From (1991).

Kolpakova

Irina Aleksandrovna Kolpakova è l’ultima ballerina formata da A. Vaganova all’Istituto coreografico di Leningrado. Nel 1951 entra al Kirov; presto si mette in luce nel repertorio classico interpretando la regina delle Driadi in Don Chisciotte, a cui seguono Schiaccianoci, Cenerentola , La fontana di Bachcisaraj. Le linee pure e limpide rendono la sua danza particolarmente adatta al lavoro dei coreografi riformatori degli anni ’50, che riportano il balletto ai principi del sinfonismo coreografico: è protagonista di Il fiore di pietra (1957) e La leggenda dell’amore (1961) di J. Grigorovic, La riva della speranza (1959) di I. Belskij. Negli anni ’60, con le magistrali e sempre più perfette interpretazioni di La bella addormentata e Raymonda , diventa la massima rappresentante dell’accademismo pietroburghese. Le qualità liriche della sua danza le consentono di affrontare balletti romantici (Giselle, La Sylphide, Pas de quatre) e neoromantici. È interprete dei balletti di O. Vinogradov, N. Kasatkina e V. Vasilev, L. Jakobson e di B. Ejfman, con il quale gira il telefilm-balletto Divertimento brillante . È protagonista di numerosi video, che testimoniano le sue molteplici qualità di danzatrice. Dal 1971 è insegnante al Kirov e dal 1989 all’American Ballet Theatre.

Komar

Entra nella compagnia di Cunningham, dove si segnala subito come elemento di spicco e, tra il 1970 e il 1993, interpreta un vasto repertorio ( Duets , Grange Eve , Points in Space , Fabrications , Field and Figures , Polarity ). Diventa assistente alla direzione artistica nel 1993, quando lascia le scene; allestisce Changing Steps per il Théâtre du Silence (1979), Fielding Sixes (1983), Septet (1987) e Touchbase (1992) per il Ballet Rambert (1989), Cross Currents per il Werkcentrum Dans olandese (1984), Arcade per il Pennsylvania Ballet (1985), Breakers per il Boston Ballet (1993).

Kaye

Tra le due guerre interpretò numerose commedie brillanti, diventando famoso nel 1941 come protagonista di Lady in the Dark , in cui cantava “Cajkovskij” scritta da sua moglie Sylvia. Da quel momento la sua carriera fu prevalentemente cinematografica, anche se negli anni ’50 e ’60 amava fare tournée con il suo Danny Kaye Show , spettacolo in progress in cui riproponeva i suoi vecchi sketch e ne offriva di nuovi, sempre ispirati ai vizi e alle debolezze dell’americano medio. Nell’ultimo decennio dedicò molto tempo all’attività di ambasciatore Unicef.

Kemp

Lindsay Kemp è un artista versatile, che sfugge a una catalogazione definitiva: mimo, ballerino, attore, regista, K. mescola doti ed esperienze in un mélange indistinguibile fra arte e vita. Si dichiara discendente del clown shakespeariano William Kemp e nella sua carriera si è cimentato con tutte le arti del palcoscenico, dal cabaret al teatro d’avanguardia, dagli spettacoli rock (negli anni ’70 ha allestito lo spettacolo-concerto di David Bowie Ziggy Stardust al Rainbow di Londra) alla danza. Ha studiato danza classica con Marie Rambert (per la cui compagnia ha firmato in seguito The Parade’s Gone By, 1975 e Cruel Garden, 1977, quest’ultimo assieme a Christopher Bruce), danza moderna con Charles Weidman e mimo con Marcel Marceau. Le sue creazioni, però, sono il risultato di uno stile ibrido e personalissimo, un pastiche di pantomima, danza classica, mimo e simil-tecniche butoh (che Kemp afferma di non aver mai studiato): corpi infarinati, movimenti en ralenti , travestitismi, atmosfere rarefatte e un erotismo ambiguo e penetrante, raccontato da parabole visionarie e allucinate.

Nel 1964 fonda la Lindsay Kemp Dance Company, un ensemble variegato di cui hanno fatto parte integrante l’Incredibile Orlando e David Haughton, braccio destro di Lindsay Kemp, mentre gli altri componenti cambiano in continuazione. Il suo primo grande successo, considerato anche il suo capolavoro, è Flowers (1973), grottesco e lancinante affresco ispirato alla vita e agli scritti di Jean Genet. Spettacolarmente efficace anche quando si cimenta con Shakespeare (vedi gli onirismi di Dream , 1979), con fiabe un po’ perverse come quella di Alice o gli incubi di Nijinskij il matto (1983) la produzione di K. tende a riproporsi nel tempo con variazioni discutibili e un languore estenuato che forse ha già dato il meglio di sé. Altri suoi lavori sono Salomè (1972), Duende (1980), Onnagata ; e The Big Parade (1984), ispirato al cinema, un’altra sua passione di cui è stato anche interprete sul set ( Messia selvaggio , 1972 e Valentino , 1977 di K. Russell; Sebastiane di D. Jarman, 1976) e che torna a influenzare la sua ultima produzione-collage, Sogni di Hollywood (1998).

Kilty

Figlio di un pellerossa, dal 1950 lavorò come attore a Broadway e in altre città degli Usa; ma divenne famoso quando adattò col titolo Caro bugiardo (Dear Liar, 1960) la corrispondenza fra G.B. Shaw e l’attrice Mrs Patrick Campbell, ricavandone una commedia che, soprattutto in Europa, ebbe interpreti di grande prestigio. Meno fortunata fu, nel 1962, la riduzione teatrale del romanzo Le idi di marzo di T. Wilder. In Italia mise in scena, con la compagnia Morelli-Stoppa, non soltanto Caro bugiardo ma anche, curiosamente, il musical di J. Littlewood Oh, che bella guerra! .

Kraus

Di famiglia ebrea, in giovane età Karl Kraus si convertì al cattolicesimo, rinunciando in seguito a qualsiasi professione religiosa, per affermare l’autonomia della propria posizione intellettuale. Pur dichiarandosi socialista, non aderì mai ad alcun partito; fu invece un convinto sostenitore delle teorie pacifiste, fin dalla prima guerra mondiale, e un critico sociale fra i più inflessibili del suo tempo. Dalle pagine della sua rivista “La fiaccola” (Die Fackel, 1899-1936), di cui fu direttore e dal 1911 redattore unico, condusse una vera e propria battaglia culturale, animata da un notevole rigore etico ed estetico. Bersaglio delle sue aspre critiche fu la società tedesca e austriaca dei primi del secolo, nei diversi aspetti: i costumi del vivere borghese, la politica del tempo (pacifista durante la prima guerra mondiale, Kraus divenne strenuo oppositore del nazismo nel suo nascere e affermarsi), le tendenze culturali e in particolare letterarie (polemico verso lo stile del gruppo della `Giovane Vienna’, verso i critici e i giornalisti raffinati e decadenti, fu invece fra i più convinti sostenitori di Wedekind e di Brecht). Fra le opere scritte da Kraus per il teatro la più nota è Gli ultimi giorni dell’umanità (Die letzten Tage der Menschheit, 1915-1922; recentemente allestito da Luca Ronconi per lo Stabile di Torino, 1990), violenta satira che vuole rappresentare gli orrori della prima guerra mondiale, smascherandone le cause e le autentiche motivazioni; l’ambizione politica, l’avidità priva di scrupoli degli speculatori finanziari, la grettezza e corruzione della stampa, la miopia degli intellettuali sono fatte oggetto di aperta denuncia. Il dramma ha un’articolazione complessa e grandiosa, al limite dell’informe: i fatti rappresentati sono disposti entro la struttura `a stazioni’, caratteristica dello stile espressionista; fanno da filo conduttore due personaggi, l’Ottimista e il Sofista, che guidano il dipanarsi della vicenda e assolvono la funzione di commento tipica del coro tragico. L’atmosfera ricorda quella del cabaret berlinese, in cui satira, tragico e grottesco si fondono in uno stile popolare ed efficace.

Karandash

Dopo gli studi di disegno, si diploma nel 1930 alla scuola del Circo di Mosca con la sua prima maschera, un `rosso’ tradizionale chiamato Vassia. Dal 1930 al ’34 acquista una certa notorietà con l’imitazione di Charlie Chaplin (come altri celebri clown dell’epoca, fra i quali Charlie Rivel). Nel 1934, al circo di Leningrado, l’esordio con la maschera definitiva di Karandash (in russo `matita’): un personaggio positivo, simile al `tramp’ americano; curioso, infantile, ingenuo, di animo aperto, buffo, ma buono. La maschera conserva i baffetti di Charlot, ma cambia il costume: pantaloni larghi con grandi tasche nere, giacca di quattro misure più grande, una camicia a righe col colletto inamidato, un lungo nastro al posto della cravatta, e soprattutto il caratteristico berretto in feltro a forma di cono. Prima della guerra esegue miniature comiche dei numeri che fanno parte dello spettacolo; negli anni del conflitto evolve verso la satira politica, con largo uso del testo e maggiore importanza della drammaturgia (con titoli quali Come i fascisti arrivarono a Mosca e ne fuggirono , Il rapporto del ministro per la propaganda Goebbels , Hitler e la mappa del mondo ). In seguito acquista ulteriore notorietà partecipando a numerosi cortometraggi comici diffusi in patria e a numerose tournée all’estero, con un repertorio apolitico e rinnovato: rimane celebre Un caso nel parco , nel quale rompe incidentalmente una statua di Venere e cerca di prenderne il posto per non farsi scoprire dal custode. Nominato nel 1969 artista del popolo dell’Urss, è considerato il maestro di molti grandi clown del dopoguerra, fra i quali Nikulin e Popov.

Koons

È emerso negli anni ’80 sulla scena artistica newyorkese e mondiale per i suoi oggetti derivanti da una cultura pop e kitsch, come gli orsacchiotti o i coniglietti di materiale gonfiabile, e per la sua più nota e provocatoria produzione artistica, legata all’immagine della pornostar Cicciolina. Le sue prime esperienze teatrali nascono dall’incontro con la coreografa Karole Armitage: nel 1988 disegna scene e – insieme a David Salle – costumi per Go Go Ballerina , l’anno seguente (sempre con Salle) le scene e i costumi di Contempt e nel 1996, per il Maggio musicale fiorentino, realizza le scene di The Predator’s Ball .

Krone

Nel 1870 Fritz Krone fonda un piccolo serraglio, che in breve diventa di considerevoli dimensioni. Nel 1879 viene ucciso da un orso bruno; la gestione dell’attività passa nelle mani del giovane erede Carl che – sposata Ida Ahlers, figlia del direttore di una compagnia di teatro ambulante – nel 1908, presa coscienza della crisi delle fiere (sulle quali era basato il circuito dei serragli), cambia sistema produttivo, creando un circo a tre piste che si esibisce in un enorme tendone a sei antenne, sull’esempio dei complessi americani (Barnum & Bailey aveva da poco concluso la sua tournée europea). L’insegna adottata è in un primo momento Circus Charles, per poi divenire Krone; non per questo viene abbandonato il serraglio che anzi, negli anni ’30, diviene probabilmente il più grande zoo itinerante mai esistito al seguito di un circo. Non rare le tournée in Paesi stranieri, fra i quali l’Italia (a Milano nel 1921). Nel 1930 la figlia di Carl e Ida, Frieda, sposa Karl Sembach e gli dà Christel Sembach-Krone, che ancora oggi gestisce il complesso. Viene creato un circo stabile a Monaco, il Krone-Bau, fra i pochi a sopravvivere ai bombardamenti della seconda guerra mondiale e a essere ristrutturato in maniera moderna. Nei primi anni ’70 lo stabile ospita la serie di telefilm Salto mortale, trasmessa in mezza Europa, che contribuisce all’ulteriore diffusione del nome; negli anni ’80 è poi sede del varietà televisivo Sterne in der Manege, che vede la partecipazione di noti personaggi dello spettacolo tedesco nelle vesti di artisti di circo. Per le tournée viene intanto adottato un tendone di dimensioni più contenute, ma che continua a ospitare alcuni fra i migliori artisti del mondo. La gestione artistica di Christel Sembach-Krone si dimostra attenta alle moderne tendenze del circo, ospitando ad esempio numeri della scuola di regia russa, ma sempre nel contesto della struttura classica del circo tradizionale, adornata di coreografie prese a prestito dalla rivista.

Katona József Theater

Fu rifondato nel 1982 come evoluzione del Teatro nazionale ungherese con sede a Budapest. Fino agli anni ’60 continuò l’opera di sviluppo e consolidamento della tradizione e della lingua ungherese, cominciata all’inizio del XIX secolo sotto l’impero degli Asburgo. Dagli anni ’70 avviò un’importante riorganizzazione della propria attività per rompere il centralismo della capitale. Gabor Székely (direttore amministrativo) e Gabor Zsambéki (direttore artistico) – leader delle due più importanti compagnie del Paese – cominciarono a lavorare su tutto il territorio, cercando un equilibrio tra un teatro di impegno sociale e la valorizzazione del repertorio più ambizioso, tra l’avanguardia e il teatro popolare. Lo spettacolo simbolo del nuovo corso è stato Il giardino dei ciliegi , nel 1982, cui sono seguite altre importanti messe in scena: Esercizi di stile da Queneau e un musical tratto dai Tre moschettieri di Dumas. Dopo le dimissioni di Gabor Székely, accanto a Zsambéki lavora come codirettore Tamás Ascher.

Kelley

Influenzato da Burden e Acconci, si è interessato particolarmente alla contaminazione tra generi e linguaggi diversi (musica, cinema, politica, letteratura) che spesso cortocircuitano tra loro, dissacrando la morale corrente e la prassi di fare arte. Nelle performance di K. copulano bambole e giocattoli; escrementi e liquidi organici imbrattano corpi e scenografie colorate, con elementi concettuali che spiazzano lo spettatore. Molte le sue collaborazioni con artisti di fama internazionale come Paul McCarthy ( Heidi , Family Tyranny e Fresh Acconci ), Bob Flanagan ( One hundred reasons ), Tony Conrad, Raymond Pettibon e il gruppo punk-rock Sonic Youth.

Keil

Dopo gli studi presso la scuola del Balletto di Stoccarda e la Royal Ballet School di Londra, entra nel 1961 nel Balletto di Stoccarda, divenendo solista nel 1965. Danzatrice intensa e sensibile, si impone come una delle maggiori personalità della compagnia, creando ruoli in balletti di John Cranko ( Brouillards, 1970; Initialen R.B.M.E., 1972), Glen Tetley ( Voluntaries, 1973; Greening, 1975), Kenneth MacMillan ( My Brother, My Sisters , 1978), John Neumeier ( Die Kameliendame , 1978), Jirí Kylián ( Return to a Strange Land , 1981) e Marcia Haydée ( Giselle , 1986). Ritiratasi dalle scene, si dedica a sostenere progetti coreografici con la fondazione che porta il suo nome.

Keaton

La carriera di Buster Keaton sulle scene del vaudeville inizia a soli cinque anni, quando comincia a prender parte al numero comico acrobatico dei genitori Joe e Myra, che presto viene chiamato ‘The Three Keaton’. La prima dote per la quale si distingue è la resistenza alle botte prese dal padre, che lo scaraventa a destra e a sinistra, e che viene persino denunciato da varie associazioni di tutela dei diritti dei bambini. Ma il suo vero apporto di novità al vaudeville è l’introduzione della figura del ‘bambino terribile’, mentre gli altri innumerevoli infanti che calcano le scene del tempo sono presentati con connotazioni delicate e innocenti. Si distingue anche per la sua creatività: gli si attribuisce la gag dell’autostrangolamento con una mano dietro il sipario, poi copiata da centinaia di comici. Altra sua caratteristica è l’imitazione degli artisti in cartellone, fra le quali quella di Houdini alle prese con la liberazione dalla camicia di forza; è proprio il celebre illusionista ad affibbiargli il nomignolo ‘buster’, turbolento.

I Keaton, con la formazione allargata sino a cinque elementi, ottengono un grande successo, con scritture nei migliori teatri dell’epoca, fra cui l’Hammerstein Theatre (che diventerà il Palace) e buoni contratti anche in Inghilterra. Buster Keaton diventa poi celebre per l’attività cinematografica, che afferma la sua maschera di flemmatico. L’avvento del sonoro manda in crisi la sua carriera; Buster Keaton sfrutta il suo bagaglio di esperienze, anche teatrali, per diventare un buon gag maker per le stesse case di produzione che sino a pochi anni addietro lo avevano pagato profumatamente. In compagnia della moglie Eleanor, tra la fine degli anni ’40 e l’inizio dei ’50, fa diverse apparizioni come clown mimo al Cirque Medrano di Parigi dove, per un equivoco sorto con il direttore sull’entità del compenso, rischia persino di finire in carcere; è poi scritturato in diversi teatri di varietà europei, e per tre mesi anche in Italia. Punto di riferimento importante per lo sviluppo della clownerie nel Novecento, con la sua figura stralunata di pierrot moderno alienato dal mondo che lo circonda, nel 1965 Buster Keaton incarnerà anche le angosce di Samuel Beckett nel cortometraggio da lui sceneggiato, Film, con la regia di Alan Schneider.

Kingsley

Diede alle scene alcuni solidi melodrammi di successo, apprezzabili soprattutto per la minuziosa e realistica descrizione dei contesti in cui erano collocati: l’ospedale in Uomini in bianco (Men in White, 1933), un quartiere sottoproletario dove agiva una banda di ragazzi avviati a un’esistenza criminale in Strada sbarrata (Dead End, 1935), un commissariato di polizia in Detective Story (1949). Scrisse anche un dramma, I patrioti (The Patriots, 1943), sullo scontro fra T. Jefferson e A. Hamilton e adattò alle scene, nel 1951, il romanzo Buio a mezzogiorno di A. Koestler.

Kelly

Uno dei grandissimi della danza americana, continuamente contrapposto a Fred Astaire, diceva di sé: «Astaire rappresenta l’aristocrazia, quando balla. Io sono un proletario». In realtà, a parte l’aspetto atletico, muscolare delle sue danze, Gene Kelly aveva affrontato la danza dalla parte della coreografia, nel senso che aveva progettato di essere un coreografo prima di diventare un ballerino: un aspetto che condizionerà sempre la sua danza. Inoltre aveva talento di attore, e molti produttori di Hollywood si interessarono a lui in questo senso. A diciannove anni, nel 1931, scoprì di avere un’attitudine all’insegnamento e aprì la sua prima scuola di danza (Gene Kelly Studios of the Dance). Intanto, insieme al fratello, si esibiva nei night-club, in stabilimenti anche di infimo ordine, in un numero classico come quelli che abbiamo visto, anche da lui, in tanti film hollywoodiani. Nel 1937 si trasferisce a New York e, finalmente, nel 1938 riesce a ottenere un piccolo ruolo in un musical a Broadway; si tratta di Leave it to Me! di Cole Porter, spettacolo in cui debutta un’altra futura star di Broadway, Mary Martin: lo show ha un esito brillante e 291 repliche. Intanto è riuscito a debuttare come coreografo, sempre nel 1938, con una piccola produzione al Pittsburgh Playhouse che tiene il cartellone per un mese soltanto, Hold Your Hats : nello spettacolo Gene Kelly interpreta ben sei numeri.

Nel 1939 Robert Alton, coreografo di Leave it to Me!, monta una rivista intitolata One for the Money e scrittura Gene Kelly come cantante, ballerino, attore, affidandogli ben otto numeri. Nel novembre 1939 Gene Kelly debutta in prosa, sostituendo un altro attore nella commedia premio Pulitzer di quell’anno, I giorni della vita (The Time of Your Life) di William Saroyan. Sempre nel ’39 Gene Kelly ha coreografato alcuni numeri di danza di una commedia, Green Grow the Lilacs , da cui Rodgers e Hammerstein, tre anni dopo, trarranno Oklahoma! ; nell’estate di quell’anno ottiene anche le coreografie di Billy Rose’s Diamond Horseshoe . Ed è proprio mentre lavora allo spettacolo che, dopo un’audizione, ottiene il ruolo di protagonista in Pal Joey di Rodgers e Hart, che va in scena il 25 dicembre del 1940 e fa di Gene Kelly una grande star; lo spettacolo avrà 374 repliche. Immediato è l’interesse di Hollywood, e Gene Kelly riceve molte offerte; infine decide di accettare quella di David O. Selznick, che lo metterà al lavoro dopo la fine delle repliche di Pal Joey e dopo che avrà compiuto il suo lavoro di coreografo per un altro musical di Broadway, Best Foot Forward (ottobre 1941).

A Hollywood, dopo un debutto onorevole accanto a Judy Garland in For Me and My Gal (1942), Gene Kelly avrà una carriera senza eguali, che comprende alcuni dei massimi film musicali come An American in Paris (1951) e Singin’ in the Rain (1952) e, molto più tardi, solo come regista, Hello, Dolly! (1969). In realtà Pal Joey sarà la sua ultima apparizione su un palcoscenico, se si eccettua una coreografia per il balletto dell’Opéra di Parigi nel 1960, Pas des Dieux , su musica di Gershwin. Ancora molto vivace, nel 1993 ha collaborato con Madonna per metterle in scena un omaggio al film, ormai di culto, Singin’ in the Rain.

Karge

Formatosi alla Staatliche Schauspielschüle di Berlino, lavora fino al 1968 al Berliner Ensemble collaborando spesso, per la messa in scena di spettacoli brechtiani, con Matthias Langhoff; poi, fino al 1978, è con Benno Besson alla Volksbühne. Negli anni ’80 cura regie a Bochum sotto l’intendenza di C. Peymann, ancora in collaborazione con M. Langhoff: ad esempio, di H. Müller Verkommenes Ufer Medeamaterial Landschaft mit Argonauten , nel 1983, e Anatomie Titus Fall of Rome , nel 1985. Dirige anche la messa in scena di testi da lui scritti, come il monologo Jacke wie Hose (1982), storia di una vedova che, per risolvere il problema della disoccupazione, assume l’identità del marito, e La conquista del polo sud (Die Eroberung des Südpols, 1986). Particolarmente attento alle problematiche più attuali, come autore K. presenta uno stile multiforme e un linguaggio che spazia dal quotidiano a ricerche ritmiche e prosodiche, con citazioni da celebri opere letterarie.

kamikiri

Nata nel Seicento, tuttora il kamikiri si svolge nei teatri in rappresentazioni sia diurne sia serali. L’artista di kamikiri – accompagnato da due o tre musicisti che rimangono nascosti per tutta la durata dello spettacolo, – racconta storie della tradizione (recuperando il repertorio del kabuki) nella prima parte dello spettacolo che è sempre epica; nella seconda parte, che è sempre comica, è chiamato dal pubblico a improvvisare su temi quotidiani, quasi come se facesse della satira in diretta. A Tokyo esistono cinque sale in cui si esibiscono tutti i giorni i maestri di k. Il più noto – si è esibito anche a Milano nel 1996 – è Koshoraku.

Kuhn

Attivo dal 1979 come sound designer e come autore delle ambientazioni sonore per i maggiori registi del teatro contemporaneo, quali Luc Bondy, Peter Zadek, Claus Peymann; in particolare K. compone per il regista americano Bob Wilson, con il quale ha collaborato per più di trenta produzioni. Altri suoi lavori includono composizioni per balletti, in collaborazione con Steve Paxton, Dana Reitz, Junko Wada e, più di frequente, con Suzushi Hanayagi e Laurie Booth. Ha inoltre creato installazioni e performance sonore per i più importanti musei e festivals internazionali, tra cui la Staatliche Kunsthalle di Berlino, il Museum of Fine Arts di Boston, il Centre Pompidou di Parigi, la Triennale di Milano e la Biennale di Venezia.

Kayssler

Friedrich Kayssler iniziò la carriera nel 1895 al Deutsches Theater diretto da Otto Brahm; venne poi scritturato a Görlitz e a Breslavia. Tornò quindi a Berlino, divenendo uno degli attori più importanti della prima metà del secolo. Dopo aver lavorato con Max Reinhardt nell’ambito del cabaret, con la sua regia ottenne il primo grande successo come protagonista del Principe di Homburg di Kleist (Deutsches Theater, 1907); sempre diretto da Reinhardt, fu anche il protagonista del Faust (prima e seconda parte, 1909-1911), e gli succedette alla direzione della Volksbühne, dove scritturò come regista l’ancora sconosciuto J. Fehling. Qui lavorò spesso assieme alla moglie, l’attrice Helene Fedmehr, dirigendo e interpretando opere come Verso Damasco di Strindberg (1922); dal 1923 fu attivo anche in altri teatri, a Vienna e Monaco. Nel 1933 iniziò a collaborare con G. Gründgens al Teatro Nazionale di Berlino. Scrisse anche drammi (Simplicius, 1905; Jan il magnifico, 1917; La lettera, 1927) e interpretò numerosi film. Un raffinato senso dell’umorismo improntava la sua arte; di fronte al suo lavoro di attore – è stato scritto – ci si chiedeva cosa fosse l’essenza del teatro, poiché era difficile stabilire dove iniziasse l’arte, tanto questa, in lui, si era fatta natura.

Karsavina

Figlia del ballerino e insegnante del teatro Marijnskij di Pietroburgo Platon Karsavin, Tamara Platonovna Karsavina frequentò la Scuola imperiale di ballo con Pavel Gerdt, Christian Johansson e anche con il celebre Enrico Cecchetti, già al tempo dei Balletti Russi (primo decennio del secolo). Il debutto avvenne in Javotte (1902) al Marijnskij, teatro di cui divenne nel 1909 prima ballerina. In quell’anno Diaghilev l’assunse nel complesso dei Ballets Russes appena istituito con esordio a Parigi. In coreografie di Fokine, spesso accanto a Nijinskij, K. emerse subito e divenne una delle danzatrici preferite del pubblico parigino per l’eleganza, la grazia delle sue interpretazioni, anche se restia ad adeguarsi al rinnovamento della coreografia. Dapprincipio danzò le coreografie di Fokine: Les Sylphides, Cléopâtre, L’oiseau de feu, Le spectre de la rose, Narcisse, Petruška, Le Dieu bleu, Thamar, Daphinis et Chloé, Papillons, Le Coq d’or, tutte creazioni presentate tra il 1909 e il ’14.

Seguì poi un nuovo indirizzo, quando Nijinskij diede una svolta alla sua creatività; si era nel 1913, anno del Sacre du printemps di Stravinskij, e anche di Jeux di Debussy, primo balletto con soggetto contemporaneo nel repertorio di Diaghilev, gioco dello sport (il tennis) e dell’amore a tre (una delle ragazze era per l’appunto Tamara Karsavina). Rivolta anche al `carattere’, Tamara Karsavina si affidava alle cure interpretative del Sombrero de tres picos (musica di Falla) e del Pulcinella di Stravinskij tra il 1919 e il ’20, coreografie di Massine. Nel 1918 si era già trasferita a Londra, dopo essersi sposata in seconde nozze con il diplomatico inglese J. Bruce, non trascurando il teatro, artista ospite sempre con i Ballets Russes di Diaghilev e il nascente Ballet Rambert (1930-31). Da questo momento K. si fece forza incentivante per le sorti del balletto inglese. Nel 1955 assunse la carica di vicepresidente alla Royal Academy of Dancing, divenne insegnante di mimo e consulente attiva per i balletti del repertorio djagileviano da riprodurre. Fu autrice di un’autobiografia, Theatre Street (1930) e di altri libri: Ballet Technique (1956), Classical Ballet: The Flow of Movement (1962), testi che rivelano la grande esperienza didattica di una delle più intelligenti ballerine della storia del balletto del ventesimo secolo, nonché la grande influenza che esercitò sul mondo della danza.

Kovács

Ha studiato con A. Dolin, R. Hightower e al Bol’šoj; diplomatasi presso la scuola della Scala di Milano, entra (1964) nel corpo di ballo del teatro, divenendo nel 1970 prima ballerina. Fra le sue interpretazioni sono da ricordare Paquita (1969) e Il lago dei cigni (1974); ha creato ruoli principali in L’estasi di R. Petit (1970) e Pulcinella di L. Massine (versione 1971).

Kesselring

Scrisse, con altri copioni di nessun rilievo, una delle commedie di maggior successo dell’intera storia di Broadway, Arsenico e vecchi merletti (Arsenic and Old Lace, 1941): 1.444 repliche a New York e altre innumerevoli in tutto il mondo. È la storia di due amabili vecchiette che avvelenano con del vino di sambuco anziani signori soli e infelici, al fine esclusivo di liberarli dalle loro miserie. Avrebbe potuto essere la trama di un dramma dell’orrore, ma l’autore la sviluppò nei modi di una farsa irresistibile.

Kalisky

Nato da genitori ebrei polacchi periti nei campi di sterminio, nei pochi anni della sua carriera René Kalisky si è distinto per una scrittura scenica analitica, capace di sondare tutti gli elementi necessari alla rappresentazione (precisa descrizione degli ambienti, degli spazi, delle luci, degli interventi musicali e addirittura delle modalità di recitazione degli attori). Ha scritto Trockij, ecc. (1969), indagine sui metodi staliniani; Skandalon (1970), in cui la vita di Volpi (Fausto Coppi) è travolta dall’azione dei mass-media; Jim il temerario (1971), che esplora il complesso rapporto fra Hitler e l’ebreo Chaim; Il picnic di Claretta (1973), dove una troupe teatrale realizza uno spettacolo sugli ultimi giorni di Claretta Petacci e di Mussolini; Dave in riva al mare (1975), testo in cui il contrasto biblico fra Saul e David è attualizzato nel confronto fra Dave, emigrato ebreo di New York, e Saul, ricco israeliano. Altri suoi lavori sono Europa (1972-76), dove un superstite di Dachau mostra, attraverso la sua vicenda, il declino del Vecchio Continente; La passione secondo Pier Paolo Pasolini (1977), in cui il regista inscena la propria morte in un film che sta girando; Sulle rovine di Cartagine (1979), che affronta i rapporti fra intellettuali e potere e ricerca le responsabilità delle grandi potenze nell’evoluzione dei processi storici; Falsch (1983), che scandaglia i ricordi di una famiglia ebrea.

Kammerspiel

Con il termine Kammerspiel nei Paesi di lingua tedesca si indica un particolare `teatro da camera’ che, rispetto a quello tradizionale, predilige l’analisi dei moti interni dell’animo e delle dinamiche psicologiche in un’atmosfera intima e raccolta. Proponendosi di trasferire il carattere della musica da camera nella drammaturgia, il Kammerspiel nasce come `teatro di poesia’ che si oppone radicalmente a tutte le logiche di un teatro inteso come impresa commerciale; ne deriva il rifiuto del divismo e degli eccessi di protagonismo degli attori, che in scena devono abbandonare la recitazione a piena voce per lasciar posto a un dialogare sommesso, ricco di sottili sfumature vocali, nel rispetto della omogeneità e dell’equilibrio d’insieme. Inteso come stile registico, il Kammerspiel  si impone con M. Reinhardt che nel 1906 inaugura i Kammerspiele del Deutsches Theater a Berlino con Spettri di Ibsen.

Esplorando in tale direzione (chiaroscuro psicologico dei personaggi, toni discreti e velati), Reinhardt giunge a costruire un vero e proprio contrappunto intimista alla sua cifra registica sontuosa e spettacolare; l’espressività mimica lieve e sfumata si sostituisce ai movimenti coreografici fastosi e alle scenografie imponenti, con il compito di evocare intense atmosfere poetiche. Inteso invece come genere drammatico, il Kammerspiel presenta un repertorio estremamente vario nello stile e nelle intonazioni; accanto a testi di carattere psicologico o spirituale se ne trovano altri di impegno e polemica sociale, dai Kammerspiele di Strindberg a Risveglio di primavera di Wedekind, da Periferie di Frantisek Langer (1925) alla caustica Revue zu Vieren di Klaus Mann (1927).

Kezich

Critico cinematografico del “Corriere della Sera”, Tullio Kezich ha scritto per “Panorama”, “la Repubblica” e molte altre testate, occupandosi alla fine degli anni ’50 anche di critica teatrale. Nel 1961 fonda con Ermanno Olmi la società cinematografica ’22 dicembre’, producendo le opere prime della Wertmüller, di De Bosio, di Eriprando Visconti, oltre a film dello stesso Olmi e di Rossellini. Dal 1967 al 1984 lavora nel settore produzione – cinematografico e televisivo – della Rai. È autore di commedie (W Bresci , 1971; Il Vittoriale degli italiani, 1990; L’americano di S. Giacomo, 1998), di adattamenti teatrali (La coscienza di Zeno da Svevo, 1964; Il fu Mattia Pascal da Pirandello, 1974; Il Gallo da Il bell’Antonio di Brancati, 1989), di sceneggiature cinematografiche (Venga a prendere il caffè da noi con Lattuada, 1970; La leggenda del santo bevitore con Olmi, 1988) e di diverse pubblicazioni, tra le quali la biografia Fellini (1987).

Kanin

Cominciò nel varietà come attore e clarinettista jazz, passò poi alla prosa e dal 1933 lavorò prevalentemente a Hollywood come sceneggiatore (spesso in coppia con la moglie Ruth Gordon), produttore e regista. Fra le sue commedie merita menzione Nata ieri (Born Yesterday, 1946), che raccontava la presa di coscienza, attraverso la cultura e l’amore, dell’amante bella e scema di un ricco faccendiere. Fu un grande successo comico: 1642 repliche a Broadway, un film e una quantità di riprese anche in Europa. Fra le sue messinscene teatrali si ricorda Il diario di Anna Frank.

Kain

Formatasi alla scuola del National Ballet of Canada, nel 1969 entra a far parte della compagnia, dove diventa prima ballerina (1970-1997) e protagonista del repertorio classico, danzando anche al fianco di Nureyev. Vince la medaglia d’argento a Mosca nel 1973; è interprete all’Opéra di Parigi di Les intermittences du coeur – e di Nana (1974) di Petit; si esibisce al festival di Spoleto (1982 e 1984) con la compagnia di Peter Ottman. Sensibile, musicale, ha spiccate doti di ballerina-attrice. Si è ritirata dalle scene nel 1997.

Kerche

Ha studiato alla scuola del teatro municipale di Rio de Janeiro nella cui compagnia viene subito scritturata divenendone successivamente prima ballerina. Si è esibita con l’English National Ballet di Londra (1996), il Teatro Colon di Buenos Aires ed è stata ospite di altre varie compagnie e festival. Dotata di una straordinaria tecnica brilla nelle interpretazioni del grande repertorio classico.

Kott

Nel 1961 il libro di Jan Kott Shakespeare, nostro contemporaneo apre una nuova prospettiva nella lettura del drammaturgo inglese; Kott propone un’interpretazione anticlassica, che accentua la componente barbara e violenta insita nel carattere popolare e plebeo del teatro elisabettiano. A questa visione si ispirò Peter Brook nella messa in scena di Re Lear (1962), esempio di quel teatro rozzo e non letterario (‘rough theatre’), in cui ogni elemento, dalla scena ai caratteri dei personaggi, viene portato all’essenzialità. Tra le altre pubblicazioni di Kott è da ricordare il saggio sulla tragedia greca Mangiare Dio (1970).

Kelly

Celebre per aver creato negli anni ’40 l’immagine del `tramp’, il clown vagabondo, straccione e malinconico tipico degli anni della Depressione. Di buone capacità mimiche, riuscì a imporsi come solista nel caos delle tre piste dei tendoni americani, raggiungendo un’ampia notorietà. Per la modernità del repertorio e l’originalità del personaggio, è considerato il primo ispiratore del `clown poetico’ moderno e di artisti celebri come il russo Popov.

Khan

François Khan segue studi scientifici all’università di Nantes, ma ben presto si volge al teatro. A Parigi tra il 1971 e il ’75 fa parte del gruppo Théâtre de l’Expérience, insieme al quale realizza la creazione collettiva Le golem; di questi anni è anche l’incontro con Jerzy Grotowski, con cui collabora al Teatr Laboratorium. Dal 1982 al 1985 si trasferisce a Volterra, e quindi al Centro per la sperimentazione e la ricerca teatrale di Pontedera, dove insieme a Roberto Bacci mette in scena Laggiù soffia (1986), E.R.A. (1988), In carne e ossa (1990), Fratelli dei cani (1992) e Il cielo per terra (1993). Tra le sue opere firmate in veste di drammaturgo e regista ricordiamo Quentin (1987), K. L’ultima ora di Franz Kafka (1989), 25 uomini (1991, da Plinio Marcos), Quel che si chiama amore (1992, da Beckett), Stagione morta (1993) e una sua versione dell’ Alice di Lewis Carrol (1994). Nel frattempo svolge un’intensa attività internazionale, dirigendo seminari per giovani attori in Brasile, Russia e Israele. Nel 1990, dopo un seminario con gli allievi della scuola `P. Grassi’, nasce Esercizi: aspettando Godot . In Brasile realizza invece il progetto Piccolo principe , dall’opera di Saint-Exupéry. Nel 1998 allestisce con Silvio Castiglioni Il sogno e la vita, una fantasia sul signor Hoffmann , prodotto dal Centro Teatrale Bresciano.

Kantor

Tadeusz Kantor è inventore di una personalissima forma di linguaggio espressivo a metà fra il teatro e le arti visive che, unita alla potente percezione poetica di motivi come quello dell’ossessivo permanere della memoria, dell’intervento uniformante della morte, dello smarrirsi e ricomporsi dell’identità dell’individuo, e all’invenzione di un particolare tipo di rapporto fra gli attori e gli oggetti – le estrose macchine sceniche che caratterizzano i suoi spettacoli – ne fa uno dei talenti creativi più originali e incisivi dell’intera nostra epoca. Seguendo una tradizione tipicamente polacca di artisti poliedrici come Wyspianski, Witkiewicz, Bruno Schulz, mai rinnegati punti di riferimento, Tadeusz Kantor inizia il suo denso tragitto teatrale da studente dell’Accademia di belle arti di Cracovia, allestendo nel 1937 un vecchio testo simbolista, La morte di Tintagiles di Maurice Maeterlinck, con sagome e marionette ispirate al mondo figurativo del Bauhaus, allo stile di Walter Gropius, di Moholy-Nagy, di Oskar Schlemmer. Ma è con la guerra e con l’occupazione nazista della Polonia che l’attività teatrale di Kantor prende una piega più determinata, quando, col suo Teatro Clandestino, mette in scena nel 1943 Balladyna di Juliusz Slowacki e soprattutto, nel 1944, Il ritorno di Ulisse di Wyspianski, quest’ultimo realizzato in una stanza di un palazzo semidiroccato dai bombardamenti, fra vecchie assi, ruote di carro e cavalletti da muratore come sfondo scenografico, col protagonista che appare in mezzo alle macerie indossando una divisa lisa e infangata come quella dei tanti soldati dispersi o sbandati che si aggirano in quei giorni per il Paese.

Risalgono proprio a questo sorprendente sconfinamento della finzione nell’inferno quotidiano una serie di intuizioni che influenzeranno il suo percorso artistico per tutti gli anni a venire: il senso della morte onnipresente, la concezione del teatro come il luogo di un pericolo che accomuna attori e spettatori, l’idea più o meno metaforica dello spettacolo come atto clandestino, come espressione dell’unità del gruppo degli interpreti contro ogni intrusione dell’ufficialità istituzionale. Soprattutto, è da quella esperienza che Kantor mette a fuoco l’obiettivo di far sì che frammenti sempre più cospicui di realtà penetrino nella sfera dell’illusione, violandone le manieristiche convenzioni formali. Questi procedimenti, mutuati sostanzialmente dal dadaismo e dal cubismo, ereditati dai principi dei creatori di collage, improntano in gran parte anche l’avventura del Cricot 2, il gruppo di giovani attori, pittori, poeti d’avanguardia fondato nel 1955, che attraverso la rappresentazione di sei testi di Witkiewicz ( La piovra , Nel piccolo maniero , Il pazzo e la monaca , Gallinella acquatica, I calzolai, Le bellocce e i cercopitechi ) sperimenta i legami fra teatro e arte, provando alla ribalta i presupposti di alcuni grandi movimenti di ricerca del tempo, dall’informale all’happening e all’ environment . Nei primi anni Settanta, ormai saturo di un itinerario avanguardistico che, privilegiando l’ hic et nunc , il puro divenire dell’azione nello spazio, trascura la profondità drammaturgica e un’autentica prospettiva temporale, Tadeusz Kantor riporta nei suoi spettacoli la dialettica fra presente e passato, con esiti a dir poco sconvolgenti: primo risultato, il memorabile valzer macabro della Classe morta, che traendo spunto da un racconto di Bruno Schulz, Il pensionato, e assemblando brani di una pièce di Witkiewicz, Tumore cervicale, sviluppa tuttavia con straordinaria libertà inventiva l’atroce parata da incubo di un gruppo di vecchi moribondi, che tentano di tornare sui banchi della loro antica scuola portandosi sulle spalle gli struggenti manichini di cera dei bambini che una volta sono stati. Anche Wielopole Wielopole (1980), allestito a Firenze con un gruppo misto di attori italiani e polacchi, affronta con rara intensità emotiva le ricorrenti tracce di un passato dolorosamente famigliare, intrecciando una sorta di incalzante visualizzazione dei meccanismi e degli effetti torturanti della memoria personale con immagini di strazio e di violenza della prima guerra mondiale.

In Crepino gli artisti (Norimberga 1985) la definitività della creazione, personificata dallo scultore cinquecentesco Veit Stoss, è contrapposta al lancinante frantumarsi dell’identità nelle diverse fasi della vita, concretizzata nell’allucinante coesistenza di un `io in persona’, di un `io quando avevo sei anni’ e di un `io morente’. In Qui non ci torno più (Berlino Ovest 1988) l’orrore dell’Olocausto è evocato fra i tavoli di una sordida bettola, tipico esempio del concetto kantoriano di “luogo del rango più basso”, in una specie di impietoso confronto pirandelliano tra il regista che interpreta se stesso alla ribalta e i personaggi dei suoi vecchi spettacoli. K. muore nel dicembre del 1990, proprio alla vigilia del debutto del suo ultimo lavoro, Oggi è il mio compleanno (Tolosa 1991) che, attraverso le figure emblematiche di Mejerchol’d e di altri artisti d’avanguardia traditi dalla Rivoluzione e perseguitati dal Potere, compie una sorta di livido bilancio delle utopie e delle mostruose brutalità del nostro secolo. Ma tutto il suo teatro, rivisto in prospettiva, sembra assai più vicino a una sorta di commosso e commovente affresco collettivo dell’Europa del Novecento che non a quella serie di visionarie sedute spiritiche che molti di volta in volta avevano creduto di cogliervi.