Gallione

Insegnante di recitazione alla scuola del Teatro stabile di Genova, Giorgio Gallione ha collaborato, tra gli altri, con Otomar Krejca, Terry Hands, Elio Petri. Come regista ha messo in scena produzioni del Teatro stabile di Genova, del Filodrammatici di Milano, del Teatro della Tosse di Genova, del Teatro Due di Parma, del Piccolo Teatro di Savona e si è occupato del coordinamento di Allacciate le cinture di sicurezza di e con Lopez-Solenghi-Marchesini. Per Giorgio Gallione Cederna ha diretto La febbre di W. Shawn, per S. Guzzanti ha curato la regia di Non io. È stato regista di Montesano per Trash, non si butta via niente (1997). Dal 1986 è regista e direttore artistico del Teatro dell’Archivolto di Genova per il quale ha scritto e diretto anche testi di teatro comico e musicale. Con Angeli e soli , un omaggio a Calvino, ha vinto il Biglietto d’oro Agis 1990. Per la sua attività professionale ha ricevuto il premio Città di Genova 1989 e 1993. Nel 1993 ha curato l’elaborazione drammaturgica e la regia de Il bar sotto il mare dal libro di S. Benni. Sempre con Benni ha lavorato per la produzione de L’isola degli Osvaldi , dal libro Stranalandia e per Amlieto, interpretato dai Broncovitz. Ha recentemente curato la lettura scenica di Blues in sedici – ballata della città dolente , ultimo testo di Benni. Collabora dal 1996 con D. Pennac, dalla cui opera letteraria ha adattato e messo in scena: Monsieur Malausséne , interpretato da C. Bisio e L’occhio del lupo , Blu cielo (1998). Dal 1993 è attivo anche nel teatro d’opera dove ha curato la regia de I quattro rusteghi di Wolf-Ferrari, L’amico Fritz di Mascagni, La visita meravigliosa di N. Rota, Candide di Bernstein, Don Procopio di Bizet, La rondine di Puccini, Street Scene di K. Weill, Il gatto con gli stivali di M. Tutino, Tamerlano di Handel. Nell’ambito del teatro musicale ha diretto Trois Poèmes de Mallarmé di Ravel e Una volta c’era un re di C. Boccadoro e F. Del Corno. Ha inoltre diretto l’opera rock Backstage di G. Minà e S. Shapiro. Molto intensa anche la sua attività nell’ambito del Teatro Ragazzi (ultima regia Pimpa, Kamillo e il libro magico di Altan).

Greco

Dopo gli studi con Madame Veola e con la Quica e la Argentinita, della quale è l’ultimo partner (1943-45), dal 1946 al 1948 si esibisce con Pilar Lopez e nel 1949 fonda una propria compagnia con la quale danza in tutto il mondo. Prestante e fascinoso si è imposto come una delle più amate personalità del teatro flamenco del suo tempo, grazie anche a numerose partecipazioni televisive e cinematografiche.

Govi

Formatosi nelle compagnie parrocchiali e nei circoli filodrammatici della natia Genova, Gilberto Govi si trovò nel 1913 a capeggiare la Dialettale genovese di cui era primattrice Rina Franchi Gaioni (1889 – 1970), sposata qualche tempo dopo. Suoi cavalli di battaglia furono all’inizio le commedie di Nicolò Bacigalupo (Genova 1837 – 1904), considerato il padre del teatro genovese moderno, di cui allestì quasi tutta la produzione dialettale, a cominciare da I manezzi pè majà ‘na figgia. Il crescente successo ottenuto anche fuori dalla Liguria – in particolare al Carignano di Torino e al Filodrammatici di Milano – lo indusse, a partire dal 1925, a chiedere nuove commedie, particolarmente adatte alla sua peculiarità interpretativa, ad autori non necessariamente genovesi. Scrissero per lui, tra i tanti, E. Canesi (I Gustavin e i Passalaegna , da un romanzo di De Marchi), A. Varaldo (Quando a rocca a çerca o fuso e Scacco matto), E. Valentinetti ( Pignasecca e Pignaverde ), A. Acquarone (Quand’ o gatto ne gh’è), G. Orengo (Sotto a chi tocca), E. La Rosa (In guardia!, Colpi di timone, O vaso de Pandora), S. Lopez (Parodi & C .). Iscrisse contemporaneamente nel suo repertorio commedie tratte dal veneziano (I recini de festa di R. Selvatico, Per la regola! di D. Varagnolo, Sior Felice che cuccagna , Impresa trasporti e Metallurgiche Triscornia di V. Moruccio) e dal fiorentino (Quando la pera è matura di A. Novelli e Il trabocchetto di V. Palmarini). Dotato di una mimica di immediata capacità comunicativa, di una ricerca perfezionistica del trucco, di una simpatia immediata a dispetto del carattere schivo, riuscì a rendere pienamente intelligibile un dialetto particolarmente ostico, vincendo battaglie memorabili per imporlo anche a pubblici inizialmente refrattari. Inesausto creatore di maschere che nulla avevano a che spartire con gli eponimi della commedia dell’arte, si preoccupò, come ebbe a notare Simoni fin dal 1923, «non tanto di procurare il riso con una battuta, quanto di servirsi delle battute per colorire con finezza i tipi». Pippo Manezzi, Felice Pastorino, Bartolomeo Pittaluga, Giovanni Bevilacqua, Giustin, Tognin, Pellegro, «o sciô Steno», furono tra i suoi personaggi più riusciti, resi universalmente popolari dagli allestimenti televisivi iniziati nel 1957 con la messa in onda di “I manezzi”, alfieri di una ventina di riprese in teatro o di realizzazioni in studio. Si congedò dalle scene nel 1960, rinunciando per la prima volta al trucco per impersonare Pietro Burlando nel Porto di casa mia di E. Bassano. L’anno seguente prese parte a Lui, lei e l’altro , quarto e ultimo dei suoi film.

Gravina

Dopo un precoce esordio con la partecipazione nel film di Lattuada Guendalina (1957), Carla Gravina interpreta come protagonista Esterina (1959) di Lizzani, che ne mette in risalto le doti di attrice dallo sguardo inquieto e dal fascino personale e aggressivo. Altre buone prove cinematografiche in Jovanka e le altre (1959), Un giorno da leoni (1961), I sette fratelli Cervi (1968), Cuore di mamma (1969) e nel film francese Senza movente (1971). Intensa anche la sua attività teatrale a partire da un’edizione di Romeo e Giulietta di Shakespeare a Verona nel 1960. Recita in seguito allo Stabile di Napoli, allo Stabile di Torino e al Piccolo Teatro di Milano nelle Baruffe chiozzotte di Goldoni (1964) e nel Marat-Sade di P. Weiss (1967). Da ricordare anche le sue partecipazioni al Teatro greco di Siracusa ( Elettra di Sofocle, 1970) e al Teatro di Roma ( Giochi nella notte di F. Gilroy, 1975). In seguito lavora in Sei personaggi in cerca d’autore (1980), La gatta sul tetto che scotta (1983), con la regia di G. Sbragia. Nel 1984 recita ne La governante di Vitaliano Brancati con la regia di Squarzina, nel 1987 in Santa Giovanna dei macelli di Bertolt Brecht e l’anno dopo è al festival Taormina Arte nel Faust diretto da G. Sbragia. Ultimamente ha recitato in La marchesa di O… (1990) per la regia di E. Marcucci e Nostra Dea (1992) di M. Bontempelli (regia di M. Missiroli). In televisione appare per la prima volta come valletta nello storico programma Il musichiere a fianco di Mario Riva, per interpretare in seguito tormentate figure femminili, in numerosi sceneggiati: Katia in Padri e figli (1958), Polina Alexandrova ne Il giocatore di Dostoevskij (1965).

Groppali

Nel 1977 esordisce con Il teatro di Trionfo, Missiroli e Cobelli , studio organico dei rapporti tra l’intellettuale approdato alla regia e le contraddizioni della scena italiana del dopoguerra. La sua attività di traduttore teatrale (cura versioni di Wedekind e Schiller, di Shakespeare e Sartre), getta le basi del futuro drammaturgo: nascono Hotel des ames (1990), Don Sand Don Juan (che rappresenta l’Italia all’Expo di Siviglia del 1992), A mosca cieca nel 1994. Nel ’97 scrive Misteri , incursione nell’Irlanda dei bardi, e Billy Budd , tratto dall’opera di Melville.

Grand Union

Il Grand Union viene fondato nel 1970 a New York, proseguendo nella linea d’azione multiartistica del Judson Group, ed è attivo fino al 1976. Il gruppo opera ponendo un particolare accento sulla performance, nel clima contestatario tipico di quegli anni, ma è molto attento anche alla strutturazione geometrica e rigorosa della danza, specie in rapporto alla modularità della musica minimale. Composto da personalità di spicco come Douglas Dunn, David Gordon, Trisha Brown, Steve Paxton, Yvonne Rainer, ha svolto un ruolo di primo piano nel movimento postmoderno americano.

Galavotti

Interprete icastico, carico di sgomenti e reticenze, con la voce perentoria, ricca di risonanze baritonali, Gianni Galavotti ha portato sulle scene decine di personaggi grotteschi e caricaturali. Lo si ricorda soprattutto con lo Stabile di Genova ne I rusteghi di Goldoni, in uno straordinario signor Canciano (1969-71); in Spettri di Ibsen nelle vesti di Engstrand (1972); in un istrionico Malagna in Il fu Mattia Pascal di Pirandello (1975). Ma la sua pienezza di attore la si scopre nel Minetti di Thomas Bernhard, dove con lo Stabile di Bolzano e la regia di Marco Bernardi (1984) rivela una temeraria autobiografia, integrandosi in assoluto nel personaggio. Negli anni ’50 e ’60 ha interpretato parti in sceneggiati televisivi, come il maggiordomo di casa Epancin in L’idiota di Dostoevskij facendo parte della compagnia Proclemer-Albertazzi in ruoli sempre importanti e resi con finezza interpretativa. La sua lunga carriera artistica si conclude allo Stabile di Bolzano, dove interpreta parti non prive di caratterialità: Arlecchino educato nell’amore di Marivaux (1988), Il barbiere di Siviglia di Beaumarchais (1989), La rigenerazione di Svevo, Le smanie della rivoluzione di Siro Ferrone (1990), tutte con la regia di M. Bernardi.

Gramatica

Sorella maggiore di Emma, Irma Gramatica fu già a tre anni in palcoscenico per poi studiare alle Dorotee di Firenze. Scritturata dalla Duse-Rossi, fu primattrice giovane con la Vitaliani, con Emanuel-Reiter e con la Marchi-Maggi, affermandosi in un frizzante repertorio francese (Beaumarchais, Dumas, Sardou, Meilhac, Halévy) ma trovando consacrazione definitiva sull’opposto versante drammatico, a cominciare dalla Teresa Raquin di Zola, accanto alla Pezzana nel ruolo della suocera paralitica. Donna tormentata e inquieta, segnata per sempre dalla morte del figlioletto avuto dal breve matrimonio (1887) con l’attore A. Cottin, fu talvolta criticata per un’essenza interpretativa scambiata per scarso coinvolgimento, mentre era sempre ricerca di profondità interiore nel voluto contrasto tra la dizione tagliente e l’economia gestuale. Suoi grandi maestri furono Emanuel, la Reiter, Zacconi, soprattutto Talli con cui fu la prima Nennele in Come le foglie di Giacosa, Paolina-Lidia in Sperduti nel buio di Bracco, Lisa in Dal tuo al mio di Verga. Nel 1904 tenne a battesimo La figlia di Iorio di D’Annunzio nel ruolo di Mila di Codra che sembrava destinato alla Duse. Fu poi con Andò, con Garavaglia, con la Benelliana, con la Stabile del Manzoni di Milano e ripetutamente in coppia con la sorella Emma, protagonista di commedie e drammi di Niccodemi, Praga, Zorzi, Rosso di San Secondo, Pirandello. Angosciata da suggestioni masochistiche e da reiterate delusioni sentimentali, si ritirò inaspettatamente dalle scene nel 1938, dopo essere stata Lady Macbeth accanto a Ruggeri. Il suo isolamento fiorentino e per qualche anno veneziano, fu interrotto soltanto da alcune interpretazioni cinematografiche, tra cui Le sorelle Materassi (1943) di Poggioli e Il fu Mattia Pascal di Chénal (1937).

Gelli

Ha la sua prima parte di rilievo nel leggendario musical Rugantino di Garinei e Giovannini (1963), cui segue l’interpretazione di Pandolfo nella Bottega del caffè di Patroni Griffi. Partecipa all’ Orlando furioso di Ronconi (1969), con cui reciterà in altri cinque spettacoli, tra cui Il candelaio. Nel 1970 inizia una assidua collaborazione con M. Missiroli che durerà fino al 1998. Di quel periodo gli spettacoli significativi sono La locandiera (nella parte del Conte d’Albafiorita, 1970) e Molto rumore per nulla (nel ruolo di Don Giovanni, personaggio cattivo e un po’ ambiguo, un carattere che gli verrà assegnato sempre nella sua carriera). Ha lavorato inoltre con M. Parodi, U. Gregoretti, Gassman, F. Enriquez, S. Sequi.

Grupo Corpo

Fondata a Belo Horizonte nel 1975 dalla famiglia Pederneiras, i cui componenti svolgono le principali funzioni organizzative, è diretta da Emilio Kalil e ha come coreografo principale Rodrigo Pederneiras, il cui stile, che unisce varie discipline della danza, dalla classica alla libera espressionista, al folklore sudamericano, caratterizza tutti i lavori della compagnia. Impostasi all’attenzione internazionale grazie alla presentazione alla Biennale della danza di Lione 1994, si segnala per la brillantezza esecutiva e la coinvolgente e accattivante comunicativa in lavori molto originali anche nelle scene e nei costumi, come: Nazareth , Ventuno , Sette o otto pezzi per balletto , Bach e Parabelo .

Giachetti

Lavorò in teatro dal 1927, prima con la compagnia Ricci-Bagni, poi con quella di Tatiana Pavlova, suscitando l’interesse e l’apprezzamento della critica, in particolare per l’interpretazione elegante e anticonvenzionale del macellaio in Un giorno d’ottobre di G. Kaiser. Dal 1934 si dedicò al cinema. Grazie alla sua espressione accigliata, al volto segnato e alla recitazione sobria, si affermò, già nel 1936 con Squadrone Bianco di A. Genina, come interprete di personaggi drammatici, virili, dal piglio spesso militaresco. Vanno ricordati tra i suoi film di maggiore successo: L’assedio dell’Alcazar (1940) di A. Genina, Giuseppe Verdi (1938) e Casa Ricordi (1954) di C. Gallone, Un colpo di pistola (1942) di R. Castellani e I fratelli Karamazov (1948) di G. Gentilomo. Tornò più tardi al teatro ( La nuova colonia di Pirandello con Marta Abba (1958) al Teatro Stabile di Napoli e fu anche attore televisivo: La signora Rosa (1960) di S. Lopez, L’ammutinamento del Caine (1962) di H. Wouk e La giustizia (1964) di G. Dessì.

Gerolamo

Il Teatro Gerolamo prende il nome dalla marionetta piemontese Gerolamo della Crina e nasce nel 1806 con l’attività del burattinaio G. Fiando. Dedito esclusivamente a spettacoli di marionette, la sua storia è segnata, nel 1885, dall’arrivo della celebre dinastia dei Colla che ne assume la direzione dal 1910 al 1957, organizzando spettacoli per intere stagioni. Tra gli allestimenti di questo periodo va ricordata la tradizione milanese di riproporre con le marionette gli spettacoli della Scala, per il pubblico dei bambini. Nel 1957 con Gerolamo e gli antropofaghi e il ballo Cenerentola , i Colla abbandonano il teatro. Lo stesso anno, dopo una minaccia di demolizione elusa grazie all’interessamento di P. Grassi, il teatro diviene pubblico; viene restaurato e ammodernato e, nel 1958, viene inaugurato da uno spettacolo di Eduardo De Filippo (L’opera del pupo e Pulcinella vedovo e disgraziato… di A. Petito). Nel suo primo periodo di attività ospita noti interpreti di prosa, di lirica, di canzoni, quali F. Valeri, L. Brignone, Rascel, P. Borboni, D. Modugno, O. Vanoni, G. Gaber, W. Osiris, Milly. Dal novembre del 1960 il teatro diviene sede della compagnia stabile del Teatro dei Milanesi diretta da Carlo Colombo. La compagnia propone un repertorio di commedie in dialetto meneghino contrassegnando di uno spirito comico e popolaresco l’attività del teatro. Da un lato `restaura’ le commedie più antiche con l’intento di ridurre le distanze fra l’epoca in cui furono composte e quella contemporanea, dall’altro presenta opere coeve con il proposito di intrattenere divertendo. Tra le commedie allestite ricordiamo: Il focolare domestico di C. Bertolazzi, Ou colp de fulmin di E. Ferravilla, La lengua de can di D. Guicciardini, Arabella di De Marchi. Nel 1978, quando la compagnia del Teatro Milanese abbandona il Teatro Gerolamo per sistemarsi in spazi più ampi, il teatro passa alla direzione di U. Simonetta, il quale mantiene nei suoi intenti il clima umoristico delle passate stagioni, ma con un occhio attento ai mutamenti della società sotto il punto di vista linguistico e culturale. Il proposito di Simonetta è infatti quello di rappresentare un repertorio comico satirico di un certo interesse attuale, recitato in una nuova lingua italiana creata dalla fusione di dialetti regionali diversi e dalla contaminazione di termini stranieri. Gli spettacoli presentati nelle nuove programmazioni del G. sono principalmente scritti e diretti da Simonetta: Mi voleva Strehler (1978), C’era un sacco di gente soprattutto giovani (1979), Italiani si muore (1979); L’Adalgisa da Gadda (1980); Il figlio sorridente (1981); Caro Tognoli (1982); ma il teatro dà spazio anche ad altri autori: Livia Cerini ( In metrò lo escluderei , 1982), Sandro Bajini ( Triangolo equilatero , 1980), M. Micheli ( Né bello né dannato , 1981 ). Gli spettacoli si susseguono fino al 1983 quando un’ordinanza del Comune costringe il teatro a chiudere per ragioni di sicurezza.

Gaskell

Dopo aver lavorato con Diaghilev, dal 1936 a Parigi si è dedicata all’insegnamento. Stabilitasi in Olanda (1939), nel dopoguerra ha dato vita alla compagnia Ballet Recital. Fondatrice della Netherlands Ballet Academy all’Aja (1954), è stata poi nominata direttrice del Netherlands Ballet e del Balletto di Amsterdam (1959), poi diventato Nazionale (1961), che si è avvalso della sua direzione artistica fino al 1969. La sua opera è stata fondamentale per la crescita di una forte scuola di danza classico-moderna, ben radicata nella realtà olandese.

Gadda

Marginale e globalmente di scarso rilievo risulta l’impegno teatrale di Carlo Emilio Gadda, circoscritto alle tre pièce Il guerriero, l’amazzone, lo spirito della poesia nel verso immortale di Ugo Foscolo (messo in scena a Roma, Teatro di via Belsiana, nel 1967), Un radiodramma per modo di dire e Gonnella buffone (ripreso da Bandello, allestito nel 1952) , in cui sono evidenti le sue tradizionali propensioni all’irriverente e demistificante satira, perseguita attraverso un rocambolesco rimpasto del linguaggio. D’altro canto, la teatralità è, a ben vedere, una delle componenti forti della sua narrativa. In tale direzione ha creato non pochi consensi l’operazione di adattamento al palcoscenico di Quer pasticciaccio brutto de via Merulana effettuata da Ronconi e rappresentata a Roma, presso il Teatro Argentina nel 1996. Tra le altre opere ridotte per il teatro, ricordiamo Eros e Priapo e La cognizione del dolore e L’Adalgisa .

Graziosi

Diplomato all’Accademia d’arte drammatica `S. D’Amico’, Paolo Graziosi si afferma subito dopo nel ruolo di Mercuzio in Romeo e Giulietta diretto da F. Zeffirelli (1963). Scritturato dal Teatro Stabile di Torino è interprete applauditissimo ne L’anconitana del Ruzante diretta da G. De Bosio. Dal 1971 è con la cooperativa del Granteatro diretta da Carlo Cecchi con il quale stringe un rilevante sodalizio artistico che lo porta in circuiti teatrali alternativi con spettacoli come Le statue mobili e `A morte dint’o lietto’e don Felice di A. Petito, Tamburi nella notte di Brecht, L’uomo, la bestia e la virtù di Pirandello. Nella stagione ’89-’90 è diretto da P. Stein nel Tito Andronico di Shakespeare; nel ’94 è in Timone d’Atene dello stesso autore con la regia di W. Pagliaro. Nel 1995 impersona il diavolo in Histoire du soldat di Pasolini: lo spettacolo, diretto da Dall’Aglio-Barberio Corsetti-Martone, approda quindi al festival d’Avignone. L’anno successivo è Giasone al fianco di V. Moriconi in Medea a Siracusa. Definito dalla critica “attore di distaccata e incisiva chiarezza”, nella stagione ’97-’98 è protagonista di Sangue dello svedese L. Noren, al fianco di M. Malfatti e con la regia di W. Schroeter.

Gdaniec

Ha studiato a Danzica e ha vinto una medaglia al Prix Lausanne; si è perfezionata a Monte Carlo con la Besobrasova. Entrata nel 1985 al Ballet du XXéme siècle, dopo lo scioglimento dello stesso darà vita, insieme a Rouben Bach, a un piccolo gruppo destinato a continuare la straordinaria esperienza vissuta accanto a Béjart. La compagnia nel 1992 diventerà il Linga Lausanne danse project, formazione capace di esprimersi con un linguaggio forte e innovativo. Linga è insegna che ha vari significati, tra i quali, in russo, «linea diritta o immaginaria che può attraversare il ritmo». Tra le coreografie firmate dalla G., Alma Mahler (su musica di Zemlinsky e Mahler), Le tems des cerise , Terra incognita , Le voyage (1993) e, con Marco Cantalupo, Synocek .

Galin

Dopo aver fatto vari mestieri fra cui l’attore, comincia a scrivere testi teatrali nel 1975; ottiene un clamoroso successo internazionale con Retro (1980, rappresentato anche in Italia), storia di pensionati che hanno ancora voglia di vivere e di amare. Seguono molti lavori rappresentati con grandissimo successo soprattutto al teatro Sovremennik di Mosca (negli anni ’70 uno dei più innovatori), nei quali G. riesce con abilità, anticonformismo, leggerezza a rappresentare le varie fasi della vita del suo Paese: prima la difficile realtà sovietica degli anni brezneviani, poi l’euforia non sempre autentica della perestrojka, e infine l’attuale contorta situazione in cui si intrecciano crisi economica, corruzione, `nuovi ricchi’, mafia e resti del vecchio sistema ( Alluvione , 1978; La tribuna est , 1982; Tamada , 1985; Gianna e Stelle al mattino , 1987, sull’emarginazione sociale a Mosca durante le Olimpiadi; Il buco , 1988; La parete , 1988; Il titolo , 1993; Anomalia , 1997, di cui è stato anche regista e interprete; Sirena e Vittoria , 1998, scritto per l’attrice Inna Surikova, interprete di molti suoi lavori).

Genée

Ha studiato con lo zio Alexander, che ha molto influenzato la sua carriera. Ha cominciato a danzare in pubblico già da bambina. Dopo essersi esibita a Oslo e in Germania, è arrivata, nel 1897 all’Empire Theatre di Londra, dove è stata particolarmente ammirata per freschezza, leggerezza, bella presenza ed espressività (è rimasta celebre la sua Swanilda in Coppélia ). G. è stata tra i fondatori della Camargo Society (1930), oltre che prima presidente (1920) dell’Association of operatic dancing (poi divenuta Royal academy of dancing).

Grass

I primi lavori teatrali di Günther Grass, all’inizio degli anni ’50, sono di stampo surrealista e avanguardista. Evidente è la volontà di rinnovare la scena teatrale tedesca, allacciando un dialogo soprattutto col pubblico giovanile. Il debutto avviene in un teatro di studenti a Francoforte sul Meno, dove viene rappresentato il suo dramma Acqua alta (Hochwasser) con la regia di Karlheinz Braun. Sempre nel 1957 si ha la prima del balletto Resti di materia presentato ad Essen. L’anno dopo G. sperimenta i toni comici e satirici nella commedia Zio, zio (Onkel, Onkel) allestita a Colonia. Nel 1959 a Berlino si svolge la prima dell’atto unico A dieci minuti da Buffalo (scritta nel 1957). In Italia viene rappresentato a Roma nel 1967 a cura di Virginio Gazzolo. Contemporaneamente G. continua a seguire itinerari diversi: va in scena il balletto Cinque cuochi (Funf Köche) e viene allestito O Susanna, Ein Jazzbilderbuch, uno spettacolo costituito da blues, ballate, spirituals e jazz, con testi dell’autore. Il dramma I cuochi malvagi (Die bösen Köche), scritto a Parigi nel 1956 e allestito a Berlino nel 1961, conclude la prima parte della sua attività teatrale.

Nel 1964 l’adattamento della terza parte di Anni di cani (Hundejahre, romanzo della Trilogia di Danzica), proposto a Monaco col titolo di Una discussione pubblica , spinge G. a far ritorno alla drammaturgia, con un’opera destinata a diventare evento, espressione della volontà dell’autore di andare oltre le calcificazioni ideologiche: si tratta del trauerspiel (vocabolo che indica il genere teatrale, di ascendenza barocca, in cui tutti sono sconfitti) I plebei provano la rivolta (Die Plebejen proben den Aufstand), allestita a Berlino nel 1966. Protagonista è un Brecht preoccupato soltanto dell’allestimento del Coriolano di Shakespeare, che viene accusato di comportamento contraddittorio in un momento storicamente delicato come la sommossa operaia a Berlino il 17 giugno 1953. Là davanti (Davor) è il dramma messo in scena nel 1969 a Berlino. Diventerà poi il nucleo centrale del romanzo Anestesia locale. Nel 1970 viene messo in scena, sempre a Berlino, il balletto Gli spaventapasseri (Die Vogelscheuchen).

Gore

Ha studiato alla scuola Italia Conti e da Massine. Ha fatto parte del Ballet Rambert dal 1930 al 1935, entrando poi per un anno nel Vic-Wells Ballet. Danzatore di carattere, si è distinto in ruoli sia drammatici sia comici, ideandone di notevoli anche per la moglie, Paula Hinton. Ha diretto diverse compagnie in Australia, Germania e altrove in Europa, nonché il proprio London Ballet.

Goss

Laureato in antropologia a Londra e formato alla danza moderna a New York, dopo essersi trasferito a Parigi, fonda la propria compagnia (1973) e, come docente, è tra i favoriti dagli esponenti della nouvelle danse. In Italia crea per il Teatro Nuovo Torino e per la Savignano Oltre (1992). Il suo stile nasce dalla sintesi di componenti moderne, etniche e jazz.

Gioi

Interpretò per il cinema del periodo bellico numerose commedie sentimentali, conferendo con la sua bellezza bionda e slanciata, un vago alone hollywoodiano alla produzione nazionale. Quasi sempre legata a ruoli brillanti, le riuscì tuttavia di far emergere le proprie qualità di attrice drammatica. Dal 1944 recitò anche in teatro, dando vita dapprima a una compagnia con De Sica e Besozzi e nel 1949-50 fondando una nuova compagnia con C. Ninchi e A. Tieri. Diretta da Visconti lavorò in A porte chiuse di Sartre (1945) e Un tram chiamato desiderio di T. Williams (1951); si ricordano anche le sue interpretazioni a fianco di Gassman nella compagnia del Teatro Nazionale diretto da G. Salvini ( Anna per mille giorni di Anderson, Peer Gynt di Ibsen).

Gafner

Formatosi con la madre ballerina e alla scuola estiva dell’American Ballet, a diciotto anni vince il Prix de Lausanne e il Jackson Prize. Entra poi nel Balletto di Stoccarda, dove rimane tre anni. Nel 1990 si reca a New York presso la scuola di Cunningham e, dopo sei mesi di tirocinio, entra nella compagnia danzando il repertorio e partecipando in posizione di spicco alle nuove creazioni, tra cui Ocean , presentato anche alla Fenice di Venezia (1995), Ground Level Overlay , Scenario . Dal 1998 si attribuisce il soprannome dadaista di `Foofwa d’Immobilité’.

Gelpi

Formatasi alla danza contemporanea con Traut Faggioni, Julien Hamilton, Andie Peck e Katie Duck, nel 1983 fonda con Virgilio Sieni e Julie Ann Anzillotti la compagnia Parco Butterfly, partecipando alla realizzazione di tutti i lavori ( Momenti d’ozio , 1984; Shangai Neri , 1986; Inno al rapace , 1988); negli stessi anni collabora con il gruppo teatrale I Magazzini. Nel 1989 crea con il soprano Francesca Della Monica la compagnia Encanto, con la quale sviluppa una ricerca coreografica basata sul rapporto tra gesto e voce. Tra i titoli più suggestivi del suo teatrodanza minimalista e delicato She’s asleep (1990), Gertrude (1994), Ombre leggere (1996), I re non toccano le porte (1997).

Guglielminetti

Eugenio Guglielminetti si forma all’Accademia Albertina di belle arti di Torino, dove entra in contatto con la scuola pittorica di Felice Casorati. Esordisce in teatro nel 1946, con spettacoli a carattere sperimentale presso il circolo culturale `La giostra’ di Asti. La sua attività professionale ha inizio nel 1953, progettando le scene per l’ Antigone di Alfieri in collaborazione con il regista G. De Bosio, con il quale continuerà a sviluppare e ideare nuove forme sceniche per le tragedie di Alfieri. Ricordiamo anche, nelle sue produzioni per il Centro nazionale studi alfieriani di Asti, il Saul con la regia di F. Enriquez (1954). Influenzato dalle concezioni teoriche di scenografi tedeschi degli anni ’30 e dalle esperienze sceniche costruttiviste e dadaiste, Eugenio Guglielminetti usa lo spazio del palcoscenico con un estremo rigore di ritmi espressivi architettonici: prediligendo l’impianto fisso, interviene con strutture mobili-dinamiche e praticabili, sino a coinvolgere l’intera gabbia scenica. L’attività artistica d iEugenio Guglielminetti si divide tra la ricerca pittorica e la ricchissima produzione di scenografie e costumi per prosa, lirica, balletto e televisione.

Per il teatro di prosa citiamo l’ Elettra di Sofocle per la regia di E. Fenoglio (Teatro Olimpico di Vicenza, 1961), dove i bozzetti dei costumi, impreziositi da una ricerca fra cromatismo e materia (un mélange di carta, stoffa e tempera), costituiscono un esempio di qualità autonoma della pittura, e il Macbeth di Shakespeare con la regia di T. Buazzelli (Teatro San Babila, 1966). Elabora la messinscena televisiva per Le uova fatali di Bulgakov con la regia di Gregoretti, memorabile produzione del 1976. La sua evoluzione pittorica ha sempre influenzato le sue scelte scenografiche, come nell’ Italiana in Algeri di Rossini con la regia di U. Gregoretti (Torino, Teatro Regio 1969), dove allestisce il gioco della macchina scenica come fantasiosa invenzione, o nella Forza del destino di Verdi con la regia della Wallmann (Berlino, Deutsche Oper 1970). Anche nell’interessante progetto per il balletto La boutique fantasque di Respighi con la coreografia di L. Furno (Torino, Teatro Nuovo 1982) vi è l’influenza artistica del neodadaismo alla Tinguely, nell’assemblare materiali e forme inconsuete usate con fantasia ed estro creativo. G., un pittore a teatro, esterna la sua creatività mediante forme espressive pittoriche, con il timbro dei suoi colori quasi metafisici e la policromia astratta dei suoi collage per i bozzetti.

Griffiths

Con la satira e la forza retorica dell’ironia si confronta con la filosofia marxista e propone un teatro impegnato. Negli anni Settanta aderisce alla Compagnia 7:84, fondata da John McGrath. Nel trattare temi come la divisione in classi, i limiti insiti nel riformismo e nella rivoluzione, le lotte della classe operaia, G. usa la comicità come arma politica, restando così drammaturgo di frontiera tra coloro che praticano il genere comico (Orton, Barnes), e gli autori di teatro più propriamente politici (Brenton, Edgar). Ottiene un certo riconoscimento con Occupations (1970), nella produzione della Royal Shakespeare Company, mettendo in scena uno sciopero degli anni venti alla Fiat in Italia che gli permette di esplorare le teorie ideologiche di Gramsci, in particolare il ruolo marxista del teatro nella società borghese. Tra i suoi lavori si ricordano The party (1973); il lavoro metateatrale Comedians (1975) il più apprezzato della sua produzione (visto in Italia nell’adattamento del Teatro dell’Elfo, adattato da Gino e Michele, con la regia di Gabriele Salvatores); Real dreams (1984) opera specificamente designata per un pubblico americano; e Piano (1990) che sfrutta personaggi e situazioni cecoviane. Dopo gli esordi, G. ha spostato il suo talento dal teatro alla televisione, trovando quest’ultima più adatta a raggiungere una audience popolare.

Gordon

Si rivelò soltanto nel 1936 recitando La moglie di campagna di Wycherley, all’Old Vic di Londra, e facendosi apprezzare per l’indomabile vivacità e il perfetto senso del ritmo. Fu poi Nora in Casa di bambola , Nataša in Tre sorelle e soprattutto la protagonista di La sensale di matrimoni (1954), che Wilder aveva scritto per lei. Fu anche, in coppia col marito G. Kanin, una brillante sceneggiatrice cinematografica e diede alle scene alcuni copioni, nel migliore dei quali, Anni fa (Years Ago, 1946), evocava briosamente gli ostacoli incontrati in famiglia quando, adolescente, aveva deciso di diventare attrice.

Garrani

Ivo Garrani esordì nella compagnia di C. Tamberlani a Roma nel 1943, ma due anni dopo lavorava già con Morelli-Stoppa. Ebbe una breve parentesi nel 1948-49 con Diana Torrieri, nello stesso anno fu con la compagnia Pagnani-Cervi dove recitò la parte di Raimondo ne La regina e gli insorti di U. Betti. La galleria di personaggi di opere classiche (Il lutto si addice ad Elettra di O’Neill), contemporanei e brillanti (La pulce nell’orecchio di G. Feydeau, 1951-52 con G. Tedeschi) che Garrani interpreterà con uno stile recitativo scarno e incisivo si arricchirà con Cristiano in Amici per la pelle di P. Barillet a fianco di E. Merlini. Importante anche l’interpretazione di nel Giulio Cesare di Shakespeare con la regia di Strehler al Piccolo Teatro nel 1954. L’anno successivo fece parte della compagnia del Nuovo Teatro (protagonista in Sacro esperimento di F. Hochw&aulm;lder). Degna di nota è anche la sua attività televisiva iniziata in ruoli di caratterista come, tra i tanti, Rodriguez ne L’alfiere (1956), il grande Silver John ne L’isola del tesoro (1959) e Porfirj Pètrovic in Delitto e castigo di Majano (1963). A contribuire notevolmente alla sua popolarità fu, negli anni ’60, la parte del padre di Giannino Stoppani nel Giornalino di Gian Burrasca di L. Wertmüller. La televisione gli offre anche nel ’70 interpretazioni interessanti come il protagonista dell’originale: Scandalo della Banca Romana. L’ultimo suo lavoro è del 1993 ne L’ispettore anticrimine. Di un certo spessore anche la sua attività cinematografica (Ragazze da marito, 1952; Il processo di Verona, 1963; L’amante di Gramigna, 1969).

Gherardi

Collabora con diversi importanti registi italiani – Monicelli ( I soliti ignoti , 1958), Pontecorvo ( Kapò , 1960), Lizzani ( Il gobbo , 1960) – ma il suo nome resta legato innanzitutto alle scenografie che realizza per alcuni film di Fellini, di cui asseconda lo spirito visionario, condividendo con il regista una concezione emblematica dei luoghi. Ne sono straordinario esempio Le notti di Cabiria (1957), La dolce vita (1960), 8 e mezzo (1963) e Giulietta degli spiriti (1965). Tra le scenografie teatrali di cui è stato ideatore ricordiamo La mandragola di Macchiavelli, regia di M. Pagliero e L. Lucignani (1953).

Gallotta

Fantasioso affabulatore, performer irriverente, soprattutto autore di una scrittura coreografica d’ispirazione surrealistica che intrattiene stretti rapporti con la scrittura letteraria e si sviluppa attraverso figure retoriche e ambiguità di significato, Jean-Claude Gallotta è tra gli esponenti di spicco della cosiddetta `nouvelle danse’ anni ’80. A differenza dei colleghi e coetanei francesi (ad esempio Maguy Marin) si è avvicinato alla danza molto tardi (a vent’anni), convinto infine che il corpo sarebbe stato il suo vero strumento espressivo. Interrompe così gli studi di belle arti, condotti nella città natale, per allestire spettacoli amatoriali e saggi con danzatori. Apprende la tecnica del tip tap e studia danza classica e moderna (1976-78), mentre continua a creare eventi multidisciplinari di strada, in appartamenti e studi abbandonati. Di ritorno da un soggiorno a New York, dove scopre l’universo coreografico di Cunningham, il teatro di Wilson e le novità dei coreografi postmoderni, fonda a Grenoble il Groupe Emile Dubois‘ (1979). La compagnia ha il nome di un personaggio fittizio che consente al futuro creatore delle esilaranti Les aventures d’Ivan Vaffan (1984) di alimentare una leggenda attorno all’inesistente Dubois, inizialmente spacciato per un danzatore-coreografo di secondo piano e di scarsa fortuna nell’entourage dei Ballets Russes.

Il progetto del `Groupe’, che nel 1981 si stabilisce alla Maison de la culture di Grenoble e nel 1984 diviene Centre chorégraphique national, è di riunire danzatori, attori, musicisti come Henri Torgue (compositore di gran parte delle coreografie anni ’80 di G.), scenografi e costumisti (come Jean-Yves Langlais, dal 1980 accanto a Jean-Claude Gallotta con lo pseudonimo di Léo Standard) e artisti visivi. Dopo Pas de quatre e Mouvements , l’opera rivelazione che tra l’altro dà il via alla `nouvelle danse’, è Ulysse (1981), un successo internazionale, ripreso e mutato non solo nel titolo ( Les variations d’Ulysse ), ma anche nella componente musicale (di Jean-Pierre Drouet) per il balletto dell’Opéra di Parigi nel 1995. Al primo Ulysse fanno seguito, nel 1982, Grandeur nature e Daphnis et Chloé – suggestiva versione intimista e in bianco e nero del celebre balletto di Ravel -, Hommage a Yves P. (pièce in quattro parti del 1983), Mammame I (1985) e Mammame II (1986). Sono coreografie dal linguaggio gestuale sgraziato, in cui le movenze quotidiane diventano parossistiche al limite della gag; Jean-Claude Gallotta stesso – sempre alla ricerca del movimento goffo e del difetto fisico – ne è il principale modello per i suoi ballerini. I temi suggeriti nascono dall’eterogenea tribù degli interpreti, dalle loro passioni e tensioni reciproche. Ma alle dinamiche creative di gruppo, basate anche sulle improvvisazioni, si aggiungono, specie in Les Louves et Pandora (1986), Docteur Labus (1988), Les mystères de Subal (1990), i racconti fantastici, mitologici e le leggende popolari che nutrono la danza a partire dalla parola come introduzione o citazione di una memoria.

I due lungometraggi Rei Dom ou La légende des Kreuls (1989) e Mémoires d’un dictaphone (1991) proseguono nella stessa direzione di ricerca che si arricchisce di nuovi paradossali e surrealistici racconti-mito: La légende de Roméo et Juliette (1991) e La légende de Don Juan (1992). Successive creazioni come La tête contre les fleurs (1995) e Rue de Palanka (1996) si contraddistinguono per la scelta di partiture musicali di Alfred Schnittke e con La rue e La chamoule ou L’arte d’aimer (1997) segnano un ritorno a una più libera, multidisciplinare e multietnica coreografia di strada. Grazie alla Petite Renard rusée di Leóš Janácek, di cui firma regia e coreografia, G. si avvicina al teatro d’opera nello stesso anno – il 1995 – delle creazioni La solitude du danseur per il Balletto di Lione e Lumières per il Théâtre national de Bretagne a Rennes. Direttore artistico della Maison de la culture di Grenoble (1986-90), dirige dal 1997 anche una seconda compagnia, Spac Dance, a Shizuoka (Giappone), che si è unita al `Groupe Emile’ Dubois in occasione della creazione Le songe d’une rue d’été (1997).

Gründgens

G., per le vicende della sua vita e, soprattutto, per la sua famosa interpretazione di Mefisto nel Faust , affascina un’intera generazione e ispira a Klaus Mann il personaggio centrale del suo romanzo Mefisto . Studia a Düsseldorf-Oberkassel ma a diciassette anni è già volontario sul fronte occidentale e nel 1917 fa parte di una compagnia teatrale di soldati a Saarlouis. Studia quindi recitazione a Düsseldorf sotto la direzione di L. Dumont e G. Lindemann e dal 1920 al 1921 ottiene la prima scrittura ad Halberstadt. Nel 1922 a Kiel interpreta per la prima volta il ruolo di Mefisto nel Faust di Goethe. Nel 1923 E. Ziegel lo chiama ai Kammerspiel di Amburgo, della cui compagnia fa parte sino al 1928, interpretando ben settantuno ruoli, spesso in spettacoli da lui stesso diretti come Leonce e Lena di Büchner nel 1925 e Risveglio di primavera di Wedekind nel 1926. Di K. Mann mette in scena Anja und Esther (1925) e Revue zu Vieren (1927); in entrambi, accanto a G., recitano P. Wedekind, Klaus e Erika Mann (che sposa nel 1926 e dalla quale divorzia due anni dopo). Nel 1928 viene chiamato da Reinhardt al Deutsches Theater di Berlino, e qui vi interpreta ruoli quali Ottfried nella prima rappresentazione assoluta di I criminali (Die Verbrecher) di Büchner, nel 1928, e Oreste nell’ Ifigenia in Tauride di Goethe nel 1930. In quel periodo G. ha successo anche come regista di commedie e interprete di cabaret e operette. A Berlino cura anche la regia di opere liriche: Le nozze di Figaro alla Kroll-Oper nel 1931 e, l’anno seguente, Così fan tutte di Mozart alla Staatsoper dove mette in scena anche Il cavaliere della rosa di Strauss. A partire dagli anni ’30 lavora anche come attore cinematografico con registi quali Fritz Lang (in M , nel ruolo di Scr&aulm;nker) e Max Ophüls (nel ruolo del Barone Eggersdorf in Liebelei ). Dirige anche alcuni film. Nel 1932, sempre a Berlino, si trasferisce al Teatro nazionale, dove ottiene un successo trionfale come Mefisto nella prima parte del Faust di Goethe, con la regia di Lothar Müthel, impressionando la critica del tempo per la demoniaca leggerezza con cui tocca un’infinità di corde diverse del personaggio, offrendone innumerevoli sfaccettature. L’anno dopo, con la regia di Lindemann, interpreta il ruolo anche nella seconda parte del Faust . Nel 1933 consegue un nuovo grande successo nel ruolo del dottor Jura in Das Konzert di Hermann Bahr, dove recita a fianco di E. Sonnemann, che diverrà moglie di Göring, presidente del Consiglio dei ministri e competente per il Teatro nazionale; questi affida a G., nel marzo del 1934, la direzione temporanea del Teatro nazionale e sei mesi dopo lo nomina intendente. Nel 1936 G. sposa l’attrice M. Hoppe da cui divorzia nel 1946. Nel 1937 ha le nomine di sovrintendente e attore nazionale. Al Teatro nazionale interpreta diversi ruoli shakespeariani ( Amleto , Giulio Cesare , Riccardo II ), il ruolo di protagonista in La congiura del Fiesco a Genova di Schiller e ancora Oreste nell’ Ifigenia in Tauride di Goethe. Cura anche numerose messe in scena in cui è anche attore, spesso a fianco di E. Sonnemann e M. Hoppe: di Lessing, la Minna von Barnhelm (1934) e l’ Emilia Galotti (1937), e poi ancora Shakespeare, il Faust in cui si ripropone come Mefisto e nel 1938 il Flauto magico di Mozart con l’orchestra diretta da Herbert Von Karaian. Come intendente evita sin dove possibile di far ricorso a politiche di partito e prende le distanze dalle opere di propaganda nazionalsocialista, convinto che la difesa e la cura del patrimonio classico della cultura europea sia compito principale di un teatro nazionale. Protegge gente di teatro `sposata con ebrei’ o `per metà ebrei’ e, a causa di ciò, dopo una detenzione di nove mesi, viene `denazificato’. Tra il 1946 e il 1947 lavora ancora al Deutsches Theater, poi torna a Düsseldorf dove nel 1948 assume la sovrintendenza dei teatri comunali con i settori opera, prosa, operetta e balletto. Qui, assieme ai classici, mette in scena anche numerosi contemporanei, per esempio Sartre con Le mosche , interpretato a fianco di M. Hoppe, e poi Eliot, con Riunione di famiglia e Cocktail party ; Il processo di Kafka nella versione teatrale di Gide nel 1950, e poi l’ Enrico IV di Pirandello e il Bacchus di Cocteau nel 1952. Nello stesso anno sottoscrive il Manifesto del Teatro di Düsseldorf contro l’interpretazione arbitraria dei classici; come lascia scritto nel suo saggio Verità del teatro «…la regia come forma di espressione teatrale non è nulla e non deve mai essere fine a se stessa, ma diretta a uno scopo. Regista è colui che, in modo naturale, mette in contatto il poeta con il pubblico». Nel 1955 si trasferisce ad Amburgo dove assume l’intendenza della Deutsches Schauspielhaus e si ripresenta nel ruolo favorito di Mefisto. La prima parte del suo Faust va in tournée all’estero e nel 1961 viene filmata. Nel 1963 muore durante un viaggio attorno al mondo.

G.R.C.O.P.

Fondato nel 1980 per volontà di Jacques Garnier, è nato dal desiderio e dalla necessità di formare all’interno del massimo teatro francese un nucleo di danzatori e coreografi pronti a stringere legami con le nuove tecniche, così anche da produrre lavori esteticamente più moderni e adatti alle giovani generazioni. Ad essere coinvolti nell’ambizioso progetto, esauritosi all’inizio degli anni ’90, sono stati artisti francesi ma anche stranieri di diversa scuola ed estrazione: dai nomi più affermati del post-modern americano (Childs, Armitage, Dunn, Gordon, Degroat e altri ancora) a quelli di Taylor e della Carlson; e, ancora, provenienti dal vasto serbatoio della `nouvelle danse’, capaci di una teatralità originale e aggressiva (Marin, Verret, Chopinot, Saporta, Découflé). Nel paesaggio coreografico di fine secolo il G.R.C.O.P. ha rappresentato il trait d’union tra l’Opéra vista e intesa come istituzione e la giovane danza proiettata nell’avvenire.

Grigorovic

Diplomato all’istituto coreografico di Leningrado, Jurij Nicolaevic Grigorovic dal 1946 al 1961 danza come solista al Teatro Kirov di Leningrado interprete soprattutto di ruoli di carattere. Dal 1961 al ’64 è coreografo al Teatro Kirov, dal 1964 al 1995 è direttore artistico e coreografo principale al Teatro Bol’soj. Riscuote il suo primo successo come coreografo nel 1957 con Il fiore di pietra di Prokof’ev al Teatro Kirov dove, successivamente (1961), mette in scena La leggenda dell’amore , rispettivamente allestite al Bol’soj nel 1959 e nel 1965. In questi due balletti, rimontati poi per molti altri teatri, il coreografo ha modo di mettere alla prova e far conoscere il suo stile saldamente ancorato alla danza accademica ma arricchito da altri stili, dove il gesto diventa espressivo senza bisogno di ricorrere alla pantomima ottocentesca, i caratteri dei personaggi sono tratteggiati con acume psicologico, la profonda unione di musica e danza dà luogo a complesse forme di sinfonismo coreografico.

La sua prova successiva è Spartaco (1968, su musica di Aram Chacaturjan, premio Lenin nel 1970) dove raggiunge la completa maturità espressiva. Il balletto, che racconta la rivolta degli schiavi nella Roma imperiale, è stato cavallo di battaglia per i grandi danzatori del Bol’soj: V. Vasil’ev, I. Muchamedov, E. Maximova, N. Bezmertnova. Oltre a riallestire per il Bol’soj i tre balletti di Petipa e Cajkovskij ( Bella addormentata , 1963, Schiaccianoci , 1964, Lago dei cigni , 1969), crea Ivan il Terribile (1975); Angarà (1976), ambientato fra pionieri siberiani lungo il fiume Angarà; Romeo e Giulietta (prima redazione all’Opera di Parigi 1978, seconda redazione al Bol’soj 1979); L’età dell’oro (1982) su musica di Sostakovic; Raimonda (1984); seguono La Bajadere (1991); Corsaro , Don Chisciotte (entrambi del 1994). Nel 1994 dà vita a una troupe indipendente dal Bol’soj intitolata Jurij Grigorovic Ballet. Nel 1995, dopo anni di lotte intestine all’interno del teatro, che avevano visto M. Plisetskaja e V. Vasil’ev contrastare la sua carica di direttore artistico della compagnia, viene dimesso e prosegue la sua attività di direttore e coreografo dello Jurij Grigorovic Ballet.

Gruppo ’63

Del Gruppo ’63, tra gli altri, fecero parte: Nanni Balestrini, Luciano Anceschi, Renato Barilli, Alberto Arbasino, Angelo Guglielmi, Alfredo Giuliani, Umberto Eco, Edoardo Sanguineti, Gillo Dorfles e Marina Mizzau, promosse la produzione di forme espressive avanzate rispetto a quelle tradizionali (con smembramenti linguistici, sarcastici collages, procedimenti asintattici, frammentazione del senso, sparizione del soggetto lirico tradizionale); organizzò convegni con letture pubbliche; si sperimentò con esempi di poesia visiva, elettronica e virtuale già in parte espressa, tra l’altro, nell’antologia poetica I novissimi (1961), mentre l’elaborazione teorica di questi contenuti avveniva principalmente tra le pagine della rivista Il Verri . In questo clima si mosse il Teatro Gruppo ’63 portavoce di un teatro di parola, un teatro scritto, in cui, mediante il lavoro sulla sostanza acustica, veniva privilegiato il significante. I pezzi teatrali del gruppo erano, infatti, scritti in prevalenza da poeti che raramente si erano già cimentati con lo specifico teatrale.

Il Gruppo ’63, facendo proprie le caratteristiche tipiche delle avanguardie, modernizzazione e di scardinamento-azzeramento dei presupposti teorici tradizionali, trasse profonde suggestioni dalla fenomenologia, dallo strutturalismo critico-linguistico, dalla psicanalisi. In ciò sta la ragione del severo mentalismo del Teatro Gruppo ’63. Un teatro caratterizzato da una serie di apporti eteronomi, sollecitato dalla nuova musica (Luciano Berio, Henri Pousseur, Karlheinz Stockhausen) e dalla pittura (New Dada, Nouveau Réalisme e Ready-Made), ma dove la parola aveva sempre la meglio. Una parola disgregata, degradata, sempre in bilico tra il registro del banale e quello ieratico della pronuncia fenomenologica; la parola di un testo a disposizione, un testo partecipe della koinè a cui la scrittura scenica lo avrebbe portato. Tra gli allestimenti è da ricordare lo spettacolo Teatro Gruppo 63 (1963), articolato in tre parti, di cui la prima, con la regia di Luigi Gozzi, presentava: Qualcosa di grave di Luigi Malerba, La prosopopea di Francesco Leonetti, Iperipotesi di Giorgio Manganelli, Quartetto su un motivo padovano di Germano Lombardi; la seconda parte, con la regia di Ken Dewey, presentava: Serata in famiglia di Giordano Falzoni, Lo scivolo di Michele Perriera, Lezione di fisica di Elio Pagliarani, Povera Juliet di Alfredo Giuliani e la terza parte infine, ancora con la regia di Luigi Gozzi, presentava: Imitazione di Nanni Balestrini, Mister Corallo XIII di Alberto Gozzi e K di Edoardo Sanguineti; mentre un allestimento del 1964, per la regia di Piero Panza, comprendeva Traumdeutung di Edoardo Sanguineti e Povera Juliet di Alfredo Giuliani.

Girola

Figlio d’arte (i suoi genitori sono Felice Girola e Adalgisa Rossi) debutta nell’aprile del 1947 al Teatro comunale di Guastalla. Nel 1949 dà vita con la moglie Nada Fraschi al teatro mobile La Baracca con cui attraversa la penisola. La sua recitazione, che tende a porre in evidenza il recondito significato del pensiero di ogni autore che rappresenta, riesce a dare al personaggio una caratterizzazione personalissima. Da annoverare sono le sue interpretazioni in Il berretto a sonagli di Pirandello, nell’ Urlo di De Stefani-Cerio e in Mister Wu di Vernon e Ohwen.

Gambaro

Dopo i successi nella pittura, Niente per amore di O. del Buono (regia di F. Enriquez, Milano, Teatro Manzoni, 1962 ) è il debutto di Maria Antonietta Gambaro nel teatro: una passione che diventa prevalente, orientandosi infine verso la lirica e il balletto. Tra il 1969 e il 1973 (con gli allestimenti per la Norma di Bellini, regia di F. Enriquez, Catania, Teatro Bellini, 1969; Pelléas et Mélisande di J. Sibelius, regia di B. Menegatti, Milano, Teatro alla Scala, 1970; Le notti egiziane di Prokof’ev, regia di B. Menegatti, Milano, Scala, 1971; Daphnis et Chloé di M. Ravel, regia di U. dell’Ara, Palermo, Teatro Massimo, 1972; La tragedia di Salomè di F. Schmitt, regia di B. Menegatti, Firenze, Teatro Comunale, 1973) alleggerisce le atmosfere sfruttando di frequente effetti prospettici accostati a uno specifico uso delle luci; più avanti (ad esempio con il balletto su musica di Vivaldi Ricercare a nove movimenti , Milano, Scala, 1975; Un sorso di terra di H. Böll, 1978; Oberto, conte di San Bonifacio di Verdi, regia di G. De Bosio, Bologna, 1979), lo spazio diviene funzione dei movimenti scenici, in uno stile che si sviluppa ulteriormente fino a immaginare strutture (come quelle a cubi del celebre Trovatore di Verdi, regia di G. De Bosio, Genova, 1980) che supportino con equilibrata emotività lo svolgersi delle vicende.

Gheraldi

Cesarina Gheraldi muove i primi passi sulla scena in Sesso debole di Bourdet (1931) e Quella vecchia canaglia di Nozière (1932) diretta dal grande Ruggeri . Dopo aver recitato a lungo nella compagnia di Gandusio, è negli anni ’50 che le sue interpretazioni assumono particolare rilievo drammatico: Il lutto si addice ad Elettra di `O Neill con Memo Benassi e Diana Torrieri, regia di Strehler, 1945, La casa nova (1951) e la Vedova scaltra (1953) di Goldoni, entrambi inscenati al Teatro La Fenice di Venezia. Ritorna poi in Il lutto si addice a Elettra di E. O’Neill (1951-1952) a cui seguono Non giurare su niente di De Musset (1953) e una memorabile Madre Coraggio e i suoi figli di Brecht, presentato per la prima volta in Italia al Teatro dei Satiri di Roma (1953); Così è (se vi pare) e Il berretto a sonagli di Pirandello (1954); Santa Giovanna dei macelli di Brecht (1970) diretto da Strehler.

Gassman

Figlia d’arte, la madre e stata Nora Ricci, prima moglie di Gassman, Paola Gassman si diploma all’Accademia d’arte drammatica `S. D’Amico’ di Roma nel 1968 e subito dopo debutta con lo Stabile dell’Aquila, recitando in un testo di Osborne tratto da Lope De Vega. Per tre anni lavora con L. Ronconi (1968-70), poi, il sodalizio artistico e umano (divengono marito e moglie) con Ugo Pagliai, che in quegli anni era in ditta con Lilla Brignone. Nel 1981 si forma la compagnia Pagliai-Gassman-De Santis, con cui nello stesso anno allestisce Il gatto in tasca , adattamento del testo di Feydeau di R. Lerici, con la regia di Proietti e l’anno dopo Il bugiardo di Goldoni, per la regia di A. Piccardi. Sempre con il marito recita nella compagnia Teatro e Società in Il piaceredell’onestà (1984) di Pirandello, regia di M. Castri, Giobbe (1985) di Karol Wojtyla, diretto da K. Zanussi e Domino (1987) di Marcel Achard, regia di L. Squarzina. Nell ’87 partecipa all’allestimento de Il mercante di Venezia , diretto da O. Costa e presentato a Taormina Arte. L’anno dopo si forma l’inossidabile compagnia Pagliai-Gassman che produce numerosi spettacoli tra i quali: Scene di matrimonio (1988) di I. Svevo, Sogno di una notte di mezz’estate (1991) di Shakespeare con la regia di Mauro Bolognini e Ifigenia in Aulide (1992) di Euripide, presentati entrambi al festival di Borgio Verezzi. E ancora, Giù dal monte Morgan (1993) di A. Miller, regia di M. Sciaccaluga, Vita col padre (1994) di H. Lindsay e R. Crouse e Federico e la luna (1995), omaggio a García Lorca ideato e interpretato dalla G. e Pagliai. Nel ’98 recita nel testo del padre O Cesare o nessuno, sulla vita e il mito di Edmund Kean, regia dello stesso Vittorio Gassman.

Giacobbe

A soli vent’anni Gabriella Giacobbe entra a far parte della compagnia del Piccolo di Milano dove lavorerà per quasi tutta la carriera, a parte due piccole parentesi professionali: una in cui lavora con Visconti al Teatro stabile di Torino e l’altra che la vede impegnata al fianco di Eduardo De Filippo fino al 1966. Il debutto con Strehler è in La sei giorni (1953), seguito immediatamente nella stessa stagione da La folle di Chaillot e La mascherata. Tra i tanti allestimenti tutti importanti ricordiamo L’anima buona di Sezuan (1957-58), Vita di Galileo (1962-63), Platonov e altri (1958-59), La visita della vecchia signora (1959-60), Ricordo di due lunedì (1961-62), Il gioco dei potenti (1964-65), Enrico IV (1961-62), L’anitra selvatica (1962-63), Mercadet l’affarista (1958-59), Come nasce un soggetto cinematografico (1959-60), La storia di Pablo (1960-61) e La Maria Brasca (1959-60), diretta anche da M. Missiroli, V. Puecher, O. Costa, G. Sbragia. Nel 1968 porta ancora sulla scena Mercadet l’affarista allo Stabile di Catania e nel 1969 è con T. Buazzelli in Tutto per bene di Pirandello. Infine torna al Piccolo durante la stagione 1971-72 per il raffinato e particolare allestimento de La passione del regista polacco Kazimiers Dejmek. Nel 1972 inoltre è al Vittoriale per La figlia di Iorio con la regia di G. Cobelli. Nel 1975 interpreta a Roma per la regia di G. Guerrieri Morte di un commesso viaggiatore di Miller.

Grassi

Primo ballerino alla Scala in coreodrammi di Ippolito Monplaisir, ne ha tramandato il gusto in alcuni balli grandi quali Teodora (1889) e Rhodope (1892). Direttore della scuola di ballo scaligera dal 1911 al 1917, l’anno successivo ha messo in scena il suo più famoso balletto, Il carillon magico (musica di Riccardo Pick Mangiagalli), allestito poi, in numerose riprese, fino al 1949.

Gatti

Studia danza, teatro orientale e commedia dell’arte con Philippe Decroux, Kiro Nehara, Ferruccio Soleri, Diana Dei e Hal Yamanouchi, con il quale nel 1977 fonda a Roma la compagnia Mimo danza alternativa, che nel ’90 diviene Compagnia Mda produzioni danza e accoglie le formazioni di Roberta Garrison, Nicoletta Giavotto, Roberto Pace, Marianna Troise, Sandra Fuciarelli e Fabrizio Monteverde. Come coreografo collabora per i movimenti scenici agli allestimenti dei registi T. Russo ( Masaniello ), A. Calenda ( Irma la dolce ) e E. Marcucci ( Dyskolos ).

Glaspell

Fu tra i fondatori dei Provincetown Players, che allestirono alcuni suoi atti unici, fra i quali Desideri repressi (Suppressed Desires, 1916, scritto col marito George Cram Cook) e soprattutto Inezie (Trifles, 1916, dove alcune donne, cercando di capire per quale motivo una vicina avesse ucciso il marito, finivano per scoprirlo quando trovavano un canarino cui era stato torto il collo). È a questa lucida commedia che si deve la fama della scrittrice, la quale diede al teatro anche il dramma simbolico Il limite (The Verge, 1921) e la commedia La casa di Alison (Alison’s House, 1931), basata sulle vicende biografiche di Emily Dickinson.

Gemelli Ruggeri

Gemelli Ruggeri è duo formato da Eraldo Turra (Bologna 1955) e Luciano Manzalini (Bologna 1952). Coppia comica dal 1979, anno in cui i due si incontrano e danno vita al loro sodalizio che dura fino ad oggi. Iniziano col gruppo Gran Pavese Varietà assieme a Vito, Patrizio Roversi e Syusy Blady con cui fanno la prima incursione sul piccolo schermo nel 1982, in Blitz , in onda su Raidue. Dagli anni ’80, il loro percorso si snoda parallelamente attraverso il teatro, il cinema e la televisione a partire da Tarzan delle scimmie , proseguendo con numerosi spettacoli tra cui L’assassino (1994) di Michele Serra e Massimo Martelli, I figli del Dott. Jekyll e Gemelli Ribelli entrambi con Stefano Nosei del 1996. Sul grande schermo li vediamo in Notte italiana (1987) di C. Mazzacurati, Sposi (1988) di Luciano Mannuzzi, Pupi Avati e Felice Farina e, nel ’92, in Per non dimenticare , di Massimo Martelli. La loro comicità espressiva passa anche attraverso la tv, firmata da A. Ricci (ricordiamo le loro acrobazie nella sigla di Lupo Solitario ), da Carlo Massarini ( Non necessariamente 1986, Tam Tam Village 1990) fino alle ultime Saxa Rubra , 1994 e Quelli che il calcio , dove collaborano dal 1995 al 1998.

Guzzanti

Dopo essersi diplomata all’Accademia nazionale d’arte drammatica ‘S. D’Amico’, nel 1987 Sabina Guzzanti esordisce giovanissima in teatro con un monologo comico, Il tempo restringe (premio Idi 1987), in cui emergono immediatamente le sue straordinarie doti parodistiche. Nel corso della sua carriera scrive e dirige alcuni spettacoli; si ricordano Il fidanzato di bronzo (1989, con David Riondino e con il fratello Corrado, alla sua prima uscita teatrale), Con fervido zelo… (1990) e Non io (1994). Accanto all’attività teatrale annovera numerose partecipazioni televisive in trasmissioni umoristiche che le permettono di valorizzare le sue divertentissime imitazioni (citiamo almeno Avanzi, Tunnel e Pippo Chennedy Show ). Per il cinema scrive e dirige un film sperimentale e un cortometraggio per bambini. Nel 1998 interpreta L’assoluto naturale di Parise, con Sandro Lombardi, per la regia di Tiezzi. Alcuni suoi monologhi sono pubblicati nel libro Mi consenta una riflessione (anche se non è il mio ramo).

gestuale

Se per gesto intendiamo un’azione che sottolinea i significati del testo al quale fare riferimento, magari anche solo una postura verosimile o mimica dell’attore e del performer, il teatro gestuale, invece, fa riferimento a un linguaggio fisico che assume una precisa funzione comunicativa indipendente dalla parola, perché rivolta a esprimere, attraverso un codice di segni cinetici e iconografici, le immaterialità e le evocazioni simboliche dello spettacolo. E storicamente questi segni hanno dato il senso dei valori e delle tensioni espresse dalla società, le cui regole da infrangere hanno riguardato sia l’estetica che l’etica dei comportamenti (si pensi al `naturalismo’ e al `libero movimento’ del Living Theatre), e intorno ai quali il teatro ha applicato le sue modalità di intervento, almeno a partire dagli anni ’50. La ricerca in questa direzione raccoglie i contributi di grandi maestri della scena del ‘900: dalle geometrie coreografiche di Oskar Schlemmer, al corpo di Decroux, fino a Barrault e Lecoq come soluzioni che recuperano il teatro; tenendo conto di quelle azioni concertate del teatro futurista, e prima ancora le azioni mute dei saltimbanchi girovaghi del ‘500, corpo allusivo e musicale rielaborato nel teatro contemporaneo da Fo. Nel novero del teatro gestuale, ma con sfumature implicite alla autodisciplina dell’attore, si ricollegano i percorsi di Grotowski e di Barba. Dunque il teatro gestuale irrompe con la sua portata irriverente negli anni in cui l’arte informale raccoglie intorno a sé quelle diverse tendenze che vanno a indagare le «possibilità espressive ed emozionali della materia», esaltandone le ambiguità e l’affastellamento della percezione, in questo modo cercando di raggiungere «la misura della propria finitezza» attraverso l’interpretazione del non riconoscibile nell’immediato.

Se è l’arte a influenzare il teatro o viceversa, e come questa influenza riassuma, all’interno di un’esperienza scenica, tutta una serie di pulsioni vitalistiche, da una parte, e politiche, dall’altra, è un dato ormai assodato: sono in effetti i singoli accadimenti, ognuno rappresentanti del proprio emisfero di umanità e di pedagogie improvvisate, a resocontare nei primi anni questa esplosione partecipativa di pubblico, pittori, poeti e attori, lì a condividere strategie comuni. Strategie che rispondono alle istanze dell’arte di farsi veicolo di un immaginario collettivo, senza cadere nella trappola della retorica o dell’impegno realizzato con soluzioni più o meno istituzionalizzate. Non che il teatro (e l’arte) si avventuri in clandestinità rivoluzionarie passando per una violenza esplicita, di certo però si infrangono regole sino ad allora assolute. Al gesto come attitudine liberatoria fanno riferimento gli artisti Pollock, Fautrier e De Kooning, la stessa indeterminatezza compositiva che il musicista compositore John Cage propone nei modi di una creazione interdisciplinare, spesso casuale e in spazi teatrali che non prevedono divisioni tra pubblico e il luogo dell’azione. In quanto alla danza, è M. Cunningham (collaboratore dello stesso Cage) ad avvertire nella gestualità pura, nel segno proprio della danza, un linguaggio che è già un significato di per sé. Il Living offre la catarsi per mezzo di una fisicità vietata ai minori, l’Open Theatre di Joseph Chaikin, parte dalle `azioni fisiche’ di Stanislavskij per misurare nell’improvvisazione collettiva degli attori la sua ‘reazione fisica’.

Giorgetti

Si diploma al Piccolo Teatro nel 1961. Fonda la Compagnia Informativa ’65 (1965), che scioglie nel 1967 dopo avere creato `La contemporanea’ di cui è direttore artistico, attore, regista e con la quale mette in scena classici contemporanei: Beckett, Ionesco, Camus, e nuovi autori meno conosciuti (Arrabal, Mrozek, Orton). Collabora da quindici anni con la televisione come regista e attore. Nel cinema ha lavorato con Lizzani in Mussolini, ultimo atto (1974); Storie di vita e malavita (1975); San Babila, ore 20 (1976). Dal 1984 è direttore della rivista “Sipario”.

Gide

L’esperienza drammaturgica di André Gide precede e affianca quella narrativa e raggiunge i risultati più convincenti soprattutto nelle tragedie, tutte ispirate al mondo classico e dedite a esplorare la vita interiore di personaggi percorsi da oscuri desideri, passioni evidentemente omosessuali e scrupoli di natura religiosa. Filottete, Trattato delle tre morali (Philoctète,Traité des tris Morales), scritta tra il 1894 e il 1898, è una tragedia incentrata sul tema caro ad André Gide della scelta del sacrificio come strategia per ottenere la propria libertà spirituale. Saul , realizzata tra il 1897 e il 1898, è invece tutta giocata sul contrasto tra la forza della mente e la debolezza dei sensi, tra decadenza fisica e eterna giovinezza del desiderio. Il re Candaule (Le roi Candaule), scritta dal 1899, si sviluppa attorno alla paradossale figura del ricchissimo re della Lidia che, sulla scorta di Erodoto, trova il suo massimo piacere nel dare tutto ciò che è suo agli altri, fino a donare la sua stessa bellissima sposa al pescatore Gygès e a trovare la morte. Con questa tragedia ha piena realizzazione la problematica della ricerca della felicità attraverso l’assurdo e il rischio. Ad un’altra fase dell’attività gidiana appartiene invece la tragedia scopertamente autobiografica Edipo (Oedipe), scritta tra il 1929 e il 1930. Ritornano ancora una volta i temi della rinuncia, della fine delle sicurezze e della conseguente rinascita. Le altre esperienze teatrali di G. sono sicuramente di portata minore. Tra queste si ricordino Persefone (Perséphone), libretto del 1934 realizzato per un balletto di Jacques Copeau e Ida Rubinstein; il divertimento Il tredicesimo albero (Le treizième Arbre; 1942), la commedia di carattere Roberto o l’interesse generale , (Robert ou l’intéret général) e i due adattamenti dal Processo di Kafka (1947, scritto con la collaborazione con Jean Louis Barrault ), e dai Sotterranei del Vaticano (Les Caves du Vatican) del 1950. In Italia il teatro di André Gide è stato conosciuto soprattutto grazie alla traduzione delle tragedie di Corrado Pavolini pubblicata nel 1950.

Gallizia

Allieva di Raffaele Grassi, Enrico Cecchetti e Nicola Guerra all’Accademia della Scala, Bianca Gallizia ha debuttato come prima ballerina al San Carlo di Napoli nel 1923, spostandosi poi, sempre col medesimo incarico, in molti teatri italiani come il Carlo Felice di Genova, la Fenice di Venezia, il Massimo di Palermo, il Comunale di Bologna, l’Arena di Verona. È stata inoltre ospite dell’Opera di Vienna, a Parigi, al Cairo, ad Atene, a Malta e in altri teatri europei. Nel 1933 ha partecipato alla prima edizione del Maggio musicale fiorentino nell’allestimento del Sogno di una notte di mezza estate di Shakespeare diretto a Boboli da Max Reinhardt. Tra i suoi importanti partner figura anche Aurelio Milloss al suo debutto italiano anche come coreografo, nel 1936, al San Carlo di Napoli in Aeneas di Roussel. Tornata alla Scala nel 1931-32, ha danzato in Rondò veneziano di Pizzetti, e in Vecchia Milano di Vittadini. Nello stesso teatro opererà anche come coreografa, a partire dal 1941, allestendo La giara di Casella e Il carillon magico di Pick Mangiagalli. Ma ha anche coreografato, in molti teatri europei, un centinaio di balletti e di divertissement operistici. Nel 1944 ha ricevuto l’incarico di ricostituire il Corpo di ballo del San Carlo di Napoli e nel 1950 di ripristinarne la scuola che, fondata nel 1812, è la più antica d’Italia. Ritiratasi nel 1974, Gallizia si è prodigata con entusiasmo e coraggio per il rilancio del balletto in Italia.

Giovampietro

Renzo Giovampietro frequenta l’Accademia nazionale d’arte drammatica, dove in occasione di un saggio viene notato da Paolo Stoppa che, a sua volta, lo segnala a Visconti. Sotto la direzione del grande regista, nel 1945, interpreta la parte del messaggero in Antigone di Anouilh. L’anno successivo è il ragazzo in Pick-up Girl di E. Shelley, per la regia di Strehler, che nel 1948 gli affida il ruolo dell’attor giovane in Arlecchino servitore di due padroni di Goldoni e nel 1950 quello di Sebastiano ne La dodicesima notte di Shakespeare. Nei primi anni ’50 fa parte della prima cooperativa teatrale italiana, interpretando, con Sergio Tofano, Madre Coraggio e i suoi figli di Brecht (primo allestimento italiano, nel 1952, al Teatro dei Satiri) e La mandragola di Machiavelli, entrambi per la regia di Lucignani. Nel 1955 recita in Valentina , commedia musicale di Marchesi e Metz, e in seguito si dedica a un repertorio a lui più congeniale, partecipando a Veglia d’armi di Fabbri e a Le notti dell’anima di Vasile, per la regia di O. Costa (1957). Collabora con il Teatro Stabile di Genova interpretando Kirilov ne I demoni di Fabbri da Dostoevskij (1954) e Lucio in Misura per misura di Shakespeare (1958), per la regia di Squarzina. Dal 1961 si avvicina agli autori greci e latini, dando vita a un teatro `didattico’ per la divulgazione del mondo etico e ideale dell’antichità: cura personalmente le messe in scena di Processo per magia da Apuleio, I discorsi di Lisia e Il governo di Verre da Cicerone (che nel 1963 gli valgono il Premio Idi), Atene anno zero dagli oratori attici (1963) e Agamennone di Alfieri (1965). Altri suoi allestimenti di impegno civile sono Azione scenica sull’opera e la figura di Don Milani (1970) e Processo a Socrate , elaborazione drammaturgica dei Dialoghi di Platone scritta con G. Prosperi (1984). Del 1987 è il Processo ideale a Giacomo Leopardi . Due anni dopo è regista e interprete del testo di R. De Monticelli Signori, il teatro deve essere rauco ; nel 1991 recita in La scoperta dell’America di C. Pascarella, con la compagnia Attori e Tecnici, e cura la regia del suo Incompatibilità elettive: Croce e Pirandello , scritto insieme a E. Moscarelli. Più di recente, ha diretto e curato scene e costumi di un altro suo lavoro (questa volta scritto insieme a M. Prosperi), I discorsi di Lisia (1994).

Gazzolo

Figlio d’arte, il padre era Lauro Gazzolo, fratello maggiore di Virginio, Nando Gazzolo inizia a recitare molto giovane alla radio e a soli vent’anni, nel 1948, debutta in teatro accanto a Gandusio. È del 1951 il primo ruolo importante nell’allestimento dell ‘Antonio e Cleopatra di R. Ricci. Contemporaneamente intraprende il lavoro di doppiaggio e un’ottima carriera televisiva, complice la sua voce intensa e particolare che arricchiva le sue ottime doti recitative e spesso gli faceva impersonare personaggi alteri, come l’ormai leggendario Duca di Vallombrosa in Capitan Fracassa . Altre parti di rilievo sono: Freddi Hamson nello storico sceneggiato La cittadella (1964), e quella da protagonista nella serie televisiva Sherlock Holmes . Nel 1971 è Thomas nei Buddenbrook e il narratore de Il mulino del Po . Parallelamente al suo lavoro in televisione ha continuato a recitare in palcoscenico soprattutto in un repertorio di teatro classico. Memorabile e contrastato è stato l’allestimento della pièce di D. Fo, Chi ruba un piede è fortunato in amore (1970). Interessante il lavoro con S. Sequi: Il grande statista , e Come vi piace . Degno di nota L’ Anfitrione di H.von Kleist con la regia di Pagliaro. È diretto da W. Manfrè in Non si sa come e Il giuoco delle parti di Pirandello (1996). Nel 1998 ha avuto un notevole successo nella parte di Shylock ne Il mercante di Venezia. Ha allestito un recital shakespeariano, un collage di brani tratti da numerose commedie e tragedie del drammaturgo inglese.