Canetti

Nato da genitori ebrei sefarditi, Elias Canetti trascorre la sua adolescenza e prima maturità in Svizzera, Germania e soprattutto in Austria; dal 1938 si trasferisce a Londra. La produzione di Canetti è varia e comprende un romanzo (Auto da fé), un’autobiografia intellettuale, numerosi saggi (tra cui Massa e potere ), raccolte di aforismi e tre opere teatrali: Nozze (Hochzeit, 1932), La commedia della vanità (Komödie der Eitelkeit, 1934), Vite a scadenza (Die Befristeten, 1952). Nel 1978 viene rappresentata con successo a Basilea La commedia della vanità , allestita da Hans Hallmann, lo stesso regista che successivamente mette in scena gli altri drammi, a Vienna e a Stoccarda. Nel 1981 gli viene conferito il Premio Nobel per la letteratura. In tutte e tre le opere teatrali viene rappresentato un soggetto che, costruendo difese contro tutto ciò che può minacciare la propria precaria esistenza, si vota però all’autodistruzione. In Nozze il crollo per terremoto di una casa rappresenta l’apparente liberazione dai divieti, ma tale situazione spinge i personaggi ad abbandonarsi a un distruttivo e anonimo furore erotico. In La commedia della vanità, al decreto che mette al bando specchi e fotografie, che proibisce ogni compiacimento della vanità, segue il mortifero intreccio tra rabbia autopunitiva, rigore puritano e narcisismo e amore di sé ingigantito e pervertito dalla proibizione. In Vite a scadenza l’angoscia prodotta dalla minaccia della morte viene eliminata facendo credere a ciascuno che la data della propria morte sia già scritta in una capsula che ciascuno porta al collo; tuttavia essa si rivela vuota, e tale certezza effimera.

Court

Alfred Court nasce da famiglia aristocratica ma, durante gli studi presso i gesuiti, scopre la propria vocazione per la ginnastica e fugge di casa per unirsi a un piccolo circo. Nel 1914 è in America come acrobata; agisce anche come imprenditore circense e nel 1917, in Messico, inizia la propria carriera di ammaestratore. Tornato in Francia, usa l’esperienza acquisita per formare, con il fratello Jules, numeri di animali feroci, specializzandosi in gruppi misti; nel contempo dirige complessi circensi di una certa fama, apportando importanti innovazioni logistiche come il trasporto via strada. Nel 1940 viene ingaggiato da Ringling Bros. and Barnum & Bailey, dove avviene la sua definitiva consacrazione come ammaestratore di belve. In opposizione allo stile americano aggressivo di Clide Beatty, presenta i propri animali in un sofisticato stile `europeo’, facendoli posare in spettacolari tableaux. È fra i pochi domatori a non aver subito alcun incidente nel corso della carriera. L’ultimo numero da lui presentato, nel 1945, è un misto di tre orsi polari, due orsi bruni, otto leoni, due leopardi, due tigri, un giaguaro, due lupi e due cani. Nel 1974, al festival di Montecarlo, gli viene consegnato il Clown d’oro alla carriera.

Chladek

Dal 1921 al ’24 Rosaria Chladek ha studiato alla scuola euritmica fondata da E. Jaques-Dalcroze a Hellerau, debuttando con il gruppo di danza libera di Vera Kratina e in recital solistici nel 1924. Negli stessi anni ha avviato l’attività di insegnante a Hellerau, Laxenburg e Basilea, cui hanno fatto seguito gli incarichi viennesi alla direzione del dipartimento di danza del Conservatorio (1942-52) e dell’Accademia di musica e dello spettacolo (1952-70). A partire dagli anni ’30 è interprete di oltre settanta assolo da lei stessa creati, ma ha allestito coreografie anche per il suo gruppo (tra l’altro al festival di Salisburgo e alla Staatsoper di Vienna); spiccano tra queste le molte partecipazioni a spettacoli classici nei teatri di Siracusa e Agrigento. Considerata una delle personalità di maggior spicco della danza moderna centro-europea, ha rielaborato in modo personale l’insegnamento della danza libera, dando vita a una tecnica incentrata sulla fusione tra la forza dinamica e l’armonia muscolare.

Carraro

Unanimemente considerato l’attore nel quale maggiormente si rispecchiano l’idea e il modo di recitare del Piccolo Teatro, Tino Carraro, figlio di un tipografo, fin da ragazzo recita nelle compagnie amatoriali, facendo molti lavori, fra i quali il venditore di pezzi di ricambio per auto. Intanto si diploma all’Accademia dei Filodrammatici: entra nelle maggiori compagnie di giro dell’epoca, accanto ad attori come Evi Maltagliati e Luigi Cimara (con loro interpreta il personaggio di Vronskij in un’ Anna Karenina, 1941, andata famosa), Laura Adani e Ernesto Calindri. Il dopoguerra lo vede ancora recitare in spettacoli di compagnie primarie con il nome in ditta e, per qualche anno, partecipare anche all’esperienza del Piccolo Teatro di Roma (dal 1951 al ’52) diretto da Orazio Costa, dove interpreta fra l’altro Le colonne della società di Ibsen e Così è (se vi pare) di Pirandello. Dal 1952 al ’62 è primo attore al Piccolo Teatro di Milano, con Giorgio Strehler (che lo ha già diretto nel 1946 nella compagnia Maltagliati-Randone-Carraro e nel 1948 in Romeo e Giulietta a Verona, nella regia a quattro mani con Renato Simoni). Al Piccolo Carraro, che prende il posto lasciato libero da Gianni Santuccio, interpreta in questo decennio spettacoli memorabili, nei quali può realizzare pienamente un modo di essere attore poco divistico, molto legato agli spettacoli d’ensemble (perfetto per il teatro di regia, al quale lo avvicinano le sue grandissime qualità interpretative), ma anche un’idea dell’essere attore come artigianato, disciplina estrema, scavo interiore mai soddisfatto di sé.

In questi anni Carraro interpreta ruoli classici e contemporanei, dall’ Ingranaggio di Sartre (1952) al ruolo di Bruto in un Giulio Cesare di Shakespeare in chiave psicologica (1953), alla Trilogia della villeggiatura di Goldoni (1954); dal primo Giardino dei ciliegi diretto da Strehler, dove accanto a Sarah Ferrati è un magnifico Lopachin, a uno strepitoso Togasso, dalla camminata sghemba a piccoli passi, nel mitico Nost Milan di Bertolazzi (1955), a Coriolano di Shakespeare, in cui interpreta il ruolo del protagonista visto come una sanguinaria macchina di guerra (1957). Sempre diretto da Strehler interpreta quello che sarà, eccezion fatta per alcuni recital, il suo unico Brecht: un insuperabile Mackie Messer in una memorabile Opera da tre soldi (1956) con Milly e Mario Carotenuto; sempre accanto a Sarah Ferrati è un Platonov (1959) malato di male di vivere. Il sodalizio con Strehler si rompe dopo la prova estrema di L’egoista di Bertolazzi (1960), uno dei suoi ruoli più grandi, quando il regista gli preferisce per Vita di Galileo di Brecht (1963) Tino Buazzelli (cedendo come Brecht che, per la prima edizione di questo testo, era stato preso dal fascino dell’attore grasso e lo aveva fatto recitare a Charles Laughton).

Allontanatosi dal Piccolo, Carraro entra alla corte di Luchino Visconti; il ritorno al teatro milanese avviene proprio nel momento in cui Strehler se ne è allontanato, quando, diretto dal giovanissimo Patrice Chéreau, interpreta accanto a Valentina Cortese una memorabile Lulu di Wedekind (1972). Ma è al ritorno di Strehler al Piccolo come direttore unico che restano legate le sue interpretazioni maggiori, da Re Lear (1972) al Prospero nella Tempesta di Shakespeare (1978), dal Peppon, il padre della Nina, nel secondo Nost Milan messo in scena da Strehler (1979) al capolavoro assoluto del Signore vestito di bianco, protagonista del Temporale di Strindberg (1980). Il suo addio al pubblico avviene con I giganti della montagna di Pirandello («qui si interrompono I giganti della montagna , qui finisce il teatro delle maschere nude») nel 1994: per qualche recita, perché la sua salute ormai precaria non gli permette di seguire tutto lo spettacolo, ha il compito di dire l’ultima parte dei Giganti , così come Pirandello la raccontò a suo figlio Stefano sul letto di morte.

Censi

Figlio della danzatrice futurista Giannina Censi, Cristiano Censi inizia la sua carriera di attore comico, grazie anche al suo viso dai lineamenti fortemente marcati, con la compagnia di Dario Fo e Franca Rame. Alla fine degli anni ’70 si dedica, con Isabella del Bianco, all’allestimento di testi contemporanei, compresi i fumetti antimilitaristi americani di J. Feiffer. Con S. Satta Flores e I. Del Bianco ha fondato il gruppo «I compagni di scena».

Ceroli

Progetto scientifico-architettonico e modularità sono i termini che hanno caratterizzato lesculture di Mario Ceroli in legno e le sue scenografie, dal debutto nella prosa ( Riccardo III di Shakespeare diretto da L. Ronconi, Torino 1968) e nella lirica ( Norma di Bellini alla Scala, 1972; regia di M. Bolognini). Ricordiamo, tra l’altro, le sue scenografie per le opere di Verdi – Aida all’Opera di Roma (1978), Il trovatore all’Arena di Verona (1985) e Don Carlos alla Fenice (1992) – e Puccini, con La fanciulla del West (1980) e Tosca (1990) all’Opera di Roma.

Chopinot

A cinque anni Regine Chopinot inizia a studiare danza classica a Lione città che diventeà la base di partenza della sua carriera di coreografa. Acquisita una solida formazione con Marika Besobrasova, scopre la danza contemporanea attraverso Marie Zighera la cui compagnia `Le Blateau basculé’ rappresenta l’avanguardia coreutica a Lione. Nel 1978 dà vita ad un suo gruppo, la Compagnie du Grèbe, e per tre anni esplora nuovi sentieri della danza. Nel 1981, vinto il secondo premio al concorso di Bagnolet con Halley’s Comet, viene invitata a tenere corsi a Parigi. Nel 1982 nasce la Compagnia Chopinot. Lo stile e il cammino ormai fissati, crea una serie di spettacoli importanti e impertinenti che destano la curiosità del pubblico. Nascono Grand écart, Simone Popinot, Swim one e Délices che segna il suo interessante incontro con il fantasioso stilista e costumista Jean-Paul Gaultier. Seguono Via e Les rats.

Nel 1985 stupisce con Rossignol, coreografia in cui i danzatori si esibiscono a un trapezio appeso a una forca. Dello stesso anno è Le défilé, balletto sul mondo della moda cui Gaultier continua a prestare il suo estro creativo e che l’anno successivo verrà anche presentato a Firenze a Palazzo Pitti. Il 1986 è anche l’anno che vede la C. installarsi al Centre chorégraphique de La Rochelle e prendere la successione del Théâtre du Silence di Jacques Garnier e Brigitte Lefèvre. Sempre ricca di idee, con fantasia bizzarra, incessante continua a produrre. Fra i molti titoli: A La Rochelle, il n’y a pas que des pucelles (1986), KOK (1988), Feu (1988), Transport (1989), Eté 90 (1990), Ana (1990), Saint-Georges (1992), Façade (1993), Végétal (1995).

CRT

Il CRT si configura in breve tempo come il più importante centro italiano nel campo della sperimentazione e della ricerca teatrale, testimoniando la coscienza di un teatro come ‘possibilità radicale di comunicazione’. L’attività ufficiale inizia nel 1975 nel periferico salone di via Ulisse Dini, uno spazio flessibile in grado di comprendere un universo di forme e di esperienze artistiche differenti che oscillano da eventi teatrali tradizionalmente riconosciuti, fino ad esperienze performative dei gruppi e compagnie più inedite e progettuali. Da quel momento la storia del CRT è stata attraversata da protagonisti della ricerca contemporanea internazionale: dall’Odin Teatret al Living Theatre, al Bread and Puppet, da Bob Wilson a Jerzy Grotowski a Meredith Monk, da Tadeusz Kantor a Richard Foreman, da Yoshi Oida a Stuart Sherman, Joseph Chaikin, Andrzej Wajda, Bolek Polivka, Thierry Salmon, David Warrilow. Sono passati, inoltre, per il salone di via Dini e per le diverse sedi che il CRT ha occupato nel corso degli anni – tra cui il Teatro Poliziano, quello della Quattordicesima e il Palazzo dell’Arte, sede attuale -, alcuni tra i nomi più prestigiosi del teatro di ricerca italiano degli anni ’70 e ’80: dai lavori di Pier’Alli a quelli di Leo de Berardinis, di Carlo Cecchi, dei Magazzini Criminali fino a Giorgio Barberio Corsetti, Mario Martone, Gabriele Vacis, Alfonso Santagata, Claudio Morganti, Marco Baliani.

Un’attenzione è rivolta anche ai gruppi più giovani, da sempre coraggiosamente collocati in cartellone o all’interno di iniziative mirate a promuovere le compagnie del nuovo teatro. In un’ottica di apertura e di confronto con le altre realtà culturali, il CRT ha dato luogo inoltre a progetti speciali dedicati alla tradizione teatrale eurasiatica (Alle radici del sole , 1983, dedicata al Giappone), alle manifestazioni sul Vietnam, sull’Islam e sull’India. La ricerca di nuovi linguaggi comunicativi ha portato anche all’apertura di spazi dedicati alla danza, ospitando spettacoli di Carolyn Carlson, Paul Taylor, Lucinda Childs, Twyla Tharp, Merce Cunningham, Raffaella Giordano. Un dialogo aperto con tutte le arti, dalla pittura alla musica, è stato una caratteristica costante del centro che è divenuto nel tempo un grande laboratorio aperto a tutte le espressioni artistiche. È grazie al CRT che è stato rivitalizzato il patrimonio del teatro di figura della famiglia Colla (che con i suoi burattini incanta ancora larghe fasce di spettatori) e recuperata l’idea e la pratica del teatro come luogo di festa, fortemente legato alla cultura popolare. Teatro e festa, un binomio che ha trovato felice espressione nella partecipazione attiva da parte del pubblico all’evento teatrale, opera aperta dentro cui identificarsi e trovare, all’interno della manifestazione collettiva, spazi individuali di fruizione. Dal 1986 Laera e Zenoni hanno abbandonato il centro (il primo ha fondato il CRT Artificio e la Change Performing Arts, il secondo l’APPI), e del nucleo fondatore originario è rimasto soltanto Sisto Dalla Palma, attorniato da numerosi giovani studiosi e collaboratori legati alla scuola di comunicazioni dell’Università Cattolica. Dal 1997 il CRT è ritornato nella sua sede storica del Teatro dell’Arte nel palazzo della Triennale, lo spazio pensato da Giovanni Muzio proprio per costituire un luogo aperto all’interscambio delle varie arti.

Champs-Elysées

Ballets des Champs-Elysées è una compagnia nata nel 1945, con alterne vicende agì nell’omonimo teatro parigino fino al 1951. Spettacolo di debutto fu Les forains di R. Petit (che fu anche il primo direttore), il quale ebbe a presentare altri suoi titoli storici (Déjeuner sur l’herbe, Le rendez-vous, Les amours de Jupiter, Le bal des blanchisseuses e il più famoso Le jeune homme et la Mort). Nel fervore seguito alla Liberazione, altri coreografi di talento, presto invitati, presentarono le loro opere. Così la Charrata (Jeux de cartes), Babilée (L’Amour et son amour, Till Eulenspiegel), Milloss (Le portrait de Don Quichotte). Altro titolo famoso apparso, La création du monde di Massine. L’obiettivo che la compagnia si era prefisso era del resto quello di creare un luogo sperimentale per i nuovi talenti che non trovavano spazio ed aperture nella troppo tradizionalista Opéra. Furono proprio le novità mandate in scena, insieme alla freschezza giovanile di molti danzatori, che determinarono il successo della compagnia, impostasi come una delle più importanti e significative del dopoguerra. Dopo Petit, rimastone alla guida fino al 1948, la direzione passò a J. Robin e B. Kochno. Sulla ribalta sfilarono nomi illustri quali quelli di Z. Jeanmaire, C. Marchand, N. Viroubova, N. Philippart, L. Tcherina, M. Fonteyn e, fra quelli maschili, di M. Miskovitch, J. Gilpin e J. Babilée.

Cortés

Dopo aver studiato flamenco e danza classica, negli anni ’80 Carmen Cortés fonda la propria compagnia di ballo, con cui mette in scena alcune sue coreografie. Dal 1990 al 1995 porta in tournée in Spagna e all’estero alcune creazioni: Cantes de ida y vuelta; El amor brujo e A Federico. Nel 1996 raggiunge il successo con Yerma, spettacolo che crea in collaborazione con l’attrice Nuria Espert e il compositore Gerardo Nuñez, basato sul testo di Federico García Lorca (è stato riproposto nel 1998 in occasione della celebrazione del centenario del poeta andaluso). Nel 1997 elabora la Salome di Oscar Wilde facendone uno spettacolo di flamenco, scelto per l’apertura del Festival di teatro di Merida.

Carlson

Carolyn Carlson studia presso la scuola del San Francisco Ballet e all’università dello Utah. Alta e flessuosa, le sue peculiari capacità di isolare ogni singolo segmento del corpo, evidenziando tutti i dettagli del movimento, ne fanno un’interprete ideale per Alwin Nikolais, nella cui compagnia danza dal 1966 al 1971. Inizia intanto a coreografare i propri assolo e, per le sue caratteristiche di creatrice che ama ispirarsi alla natura, alla spiritualità, all’Oriente, viene etichettata come la `Isadora Duncan di fine secolo’. Nel 1968 è premiata come miglior ballerina al Festival international de la danse di Parigi; lasciato Nikolais, entra nella compagnia francese di Anne Béranger ( Rituel pour un rêve mort , 1972), insegnando alla London School of Contemporary Dance e collaborando con il Ballet du XXème siècle di Béjart, fino a ricevere nel 1974 l’inedita nomina di Chorégraphe étoile all’Opéra di Parigi, dove guida per sei anni il Gruppo di ricerca teatrale. Scoperta in Italia con Trio, danzato insieme a Larrio Ekson e Jorma Uotinen (Scala 1979), viene chiamata da Italo Gomez a Venezia, dove fonda il gruppo Teatro Danza La Fenice e crea Undici onde (1981), Underwood (1982), Chalk Work (1983), lavorando anche al suo Solo (1983), che diventerà poi Blue Lady (1985), una sorta di autobiografia sulle stagioni della vita di una donna. Torna poi in Francia, dove produce numerosi titoli: Still Waters (1986), Dark (1988), Steppe (1990), Commedia (1993). Crea anche Don’t Look Back per Marie-Claude Pietragalla, étoile dell’Opéra di Parigi (1993). Allestisce diversi brani in Finlandia: Maa (1991) per il Balletto nazionale, Elokuu e Syyskuu (1992) per l’Helsinki City Ballet. Dal 1993 al 1995 dirige il Cullberg Ballet svedese, per il quale crea Sub Rosa (1995). Ritorna all’assolo con Vu d’ici (1995) e alla coreografia di gruppo con Dall’interno (Parigi 1998), su canzoni di Bob Dylan. Danzatrice-improvvisatrice carismatica, sa trasmettere le sue emozioni attraverso la poesia del corpo, proponendo immagini affascinanti, legate ai sogni e ai ricordi, in ambienti di nitida luminosità. Come docente, sa valorizzare il talento espressivo spontaneo dei danzatori; la sua attitudine, più che strettamente coreografica, è di stimolo alla fantasia e all’inventiva dei ballerini, di regista dei loro contributi artistici.

Celiberti

Ruben Celiberti studia danza classica alla Scuola del Teatro Colon di Buenos Aires e debutta nell’omonima compagnia per poi passare nella compagnia dei Ballets de Marseille di Roland Petit e in Danza Prospettiva di Vittorio Biagi. Versatile e brillante showman, accanto alle belle doti di ballerino sfodera abilità nel canto e nel pianoforte nello spettacolo recital El Baul e in Amor y Tango.

Codona

Bello e talentoso, è considerato il re del trapezio volante. Debutta a cinque anni nel numero del padre. Dal 1909 al 1912 viene scritturato con un numero di trapezio solista per la pista centrale di Barnum & Bailey, mentre i fratelli Victoria e Lalo eseguono un numero di funambolismo. Nel 1911, con il fratello Lalo, Steve Outch e Ruth Harris, forma una troupe al trapezio volante, I Codonas. Nel 1920 entra nella storia del circo: è il primo artista al mondo a eseguire il triplo salto mortale in maniera costante durante lo spettacolo; ma non è solo il virtuosismo fisico a permettergli di stagliarsi sopra tutti, bensì il suo stile e la sua eleganza, ritenuti unici. Nel 1927 sposa Lillian Leitzel, altra celebre arealista. Il 13 febbraio 1931, a Copenaghen, Lillian cade; Alfredo si precipita da lei, che però lo rassicura e lo prega di tornare a Berlino al lavoro. Due giorni dopo Lillian muore. Nel 1937 Alfredo si ritira dall’attività per un problema ai legamenti delle spalle, derivato da una brutta caduta in rete. Lo stesso anno la nuova moglie, Vera Bruce, chiede il divorzio; il 31 luglio, nell’ufficio dell’avvocato, Alfredo spara prima alla moglie e poi a se stesso. Lascia una nota: «Non ho casa. Non ho una moglie che mi ama. Me ne torno da Lillian, l’unica donna ad avermi mai amato». I Codonas hanno preso parte al capolavoro del cinema muto Varieté , diretto nel 1925 da E.A. Dupont.

Colombo

Dopo aver lavorato a l'”Avanti!”, dal 1960 si dedicò alla direzione del Teatro Gerolamo di Milano, riportando ad antichi fasti il repertorio dialettale ambrosiano e costituendo la Compagnia stabile del teatro milanese con capocomico P. Mazzarella. Nell’arco di alcuni lustri mise in scena un centinaio di lavori, proponendo autori italiani (Greppi, Fontana, Pensa, Medetti) accanto ai classici della tradizione: tra i tanti, La lengua de can di D. Guicciardi, L’eredità del Felis di L. Illica, El matrimoni de la Lena di L. Bertolazzi. Fortunatissimo anche il recital Milanin Milanon , interpretato da Milly e T. Carraro (poi sostituito da C. Hintermann).

Caracas

Il Ballet Internacional de Caracas, fondato nel 1975 a Caracas dalla prima ballerina dell’American Ballet Theatre Zhandra Rodriguez e dal coreografo Vincente Nebrada, nominato suo direttore artistico, e composta per lo più da membri del disciolto Harkness Ballet ha inizialmente presentato molti lavori dello stesso Nebrada pronti ad evidenziare il virtuosismo atletico dei suoi ballerini ( Percussions for six , Gemini ). Scioltasi dopo una decina di anni, la formazione ha dato sua volta origine al Ballet Nuevo Mundo diretto dalla Rodriguez, con un repertorio di autori moderni, come Ailey, Balanchine, Hans van Manen ( Five Tangos ), Elisa Monte, Judith Jamison, Ulysses Dove, e per il temperamento latino degli interpreti.

Colbert

Emigrata con i genitori negli Usa a soli cinque anni, Claudette Colbert inizia giovanissima a lavorare in teatro, dapprima come scenografa, poi come attrice. Esordisce in The Wild Westcotts di A. Morrison (1923) al Frazee Theatre di New York; nel 1925 interpreta Ginette in A Kiss in a Taxi di C. Gray, ma il successo più autentico le deriva dall’interpretazione di Lou in The Barker di K. Nicholson (1927), presentato al Baltimore Theatre di New York: un ruolo destinato a garantirle il consenso del pubblico anche a Londra l’anno seguente. Nel 1929 delude in parte le aspettative di O’Neill che aveva pensato per lei la parte di Ada Fife in Dynamo , messo in scena l’11 febbraio al Martin Beck Theatre. È il cinema tuttavia a consacrare ufficialmente la vocazione artistica dell’attrice, che nel 1934 conquista l’Oscar come migliore attrice protagonista in Accadde una n otte di F. Capra. Al teatro torna sporadicamente nel 1951 e nel ’55 in Island Fling di N. Coward e in A Mighty Man Is He di A. Kober, preferendo alla scena le suggestioni del grande schermo. Fra i volti più noti della sophisticated comedy anni ’50, con alcuni isolati sconfinamenti nel cinema d’azione, è stata protagonista di numerosissime pellicole fra le quali It’s a Wonderful World (1939), Thunder on the Hill (1951 ), Texas Lady (1955) e Parrish (1961).

Cerami

Di grande talento come autore sia di romanzi (Un borghese piccolo piccolo, 1976; Tutti cattivi, 1981; Ragazzo di vetro, 1983; La lepre, 1988) sia di racconti (L’ipocrita, 1991; La gente, 1993; Fattacci, 1997), si avvicina al teatro attraverso la mediazione del cinema. Come sceneggiatore, infatti, Vincenzo Cerami collabora con Pasolini (Uccellacci e uccellini, 1966), Amelio (Porte aperte, 1990), Monicelli (cui si deve la trasposizione del romanzo d’esordio di Cerami), Bellocchio e G. Bertolucci; ma è soprattutto scrivendo per Benigni che raggiunge il successo: Johnny Stecchino (1991), Il mostro (1994) e La vita è bella (1997). Come autore di teatro la sua attività, solo apparentemente più marginale, inizia negli anni ’80 sia con l’adattamento per le scene del romanzo di Volponi Il sipario ducale (allestito al festival di Arles col titolo L’enclave des Papes) sia con una stretta collaborazione con il centro di drammaturgia di Fiesole: in questo ambito nascono Le tre melarance , libera rielaborazione della fiaba di Gozzi, Casa fondata nel 1878 , una sorta di saga mitico-aziendale, e Sua maestà (1986), che ripropone con sguardo contemporaneo il tema del sovrano deposto, del suo buffone e dell’isola deserta. Negli anni ’90 ha trovato un interprete ideale in Lello Arena e un musicista congeniale in Nicola Piovani; sono nate così Le cantate del fiore e del buffo, Il Signor Novecento, Canti di scena e La casa al mare. Acuti e istruttivi commenti su come scrivere per il teatro e per il cinema sono disseminati nel felice libretto di istruzioni Consigli a un giovane scrittore (1996).

Cuzzani

Autore e promotore del teatro indipendente degli anni Cinquanta e Sessanta, è stato anche sceneggiatore per il cinema, la radio e la televisione. Il suo è un teatro divertente e paradossale su un fondo di critica sociale a volte spietata. L’autore ha coniato per i suoi testi l’appellativo di `farsátiras’. Ecco alcuni titoli significativi: Il centravanti morí all’alba (El centroforward murió al amanecer), 1955; Sempronio , 1960; Perché si compiano le scritture. Vangelo in due atti (Para que se cumplan las escrituras. Evangelio en dos actos), 1965. Agli anni Ottanta risalgono: Pítágoras go home , 1983; Sparano alla volpe grigia (Disparan sobre el zorro gris), 1985 e Se è gentile non vuol dire che sia caldo (Lo cortés no quita lo caliente), dello stesso anno.

Casona

Rodríguez Alvarez; Besullo 1903 – Madrid 1965), poeta e autore drammatico spagnolo. Direttore del teatro ambulante delle Missioni pedagogiche durante la Repubblica, raggiunse il successo negli anni ’30 come autore di un teatro moderatamente innovativo, antinaturalista ed essenzialmente poetico: La sirena arenata (La sirena varada, 1934); La nostra Natascia (Nuestra Natacha, 1936). Esiliato in Argentina, dopo la guerra civile mantenne una popolarità che gli permise di far mettere in scena regolarmente i suoi testi, da Proibito suicidarsi in primavera (Prohibido suicidarse en primavera, 1937) a La dama dell’alba (La dama del alba, 1944), il suo testo più noto, ambientato nella regione natale delle Asturie e in cui si mescolano realtà e leggenda. Rientrato in Spagna nel 1962, le rappresentazioni delle sue opere scritte in esilio furono accolte con grande favore.

Cosimi

Dopo i primi studi di danza classica e moderna a Roma, Enzo Cosimi si perfeziona al centro Mudra di Bruxelles e a New York con M. Cunningham. Nel 1982 fonda la sua compagnia, per la quale crea numerose coreografie: Calore (1982); La fabbrica tenebrosa del corpo (1985); Sciame (1987), in collaborazione con F. Plessi; Tecnicamente dolce (1988), in collaborazione con il videoartista Giorgio Cattani; Quintetto blu (1990); Una frenetica ispezione del mondo (1991); Il pericolo della felicità (1992); La stanza di Aldo (1995); Sacrificio ritmico (1996); Super deluxe (1997). Collabora inoltre con MaggioDanza ( La giara, 1991; Il fruscio del rapace, 1993), con il balletto della Scala (Seminario sulla gioventù, 1994) e la Scuola d’arte drammatica `P. Grassi’ ( Studio , 1995). Strutturata e formale, ma ricca di una gestualità drammatica e passionale, la sua coreografia tratteggia con originalità racconti astratti carichi di idiosincrasia esistenziale e tensioni ancestrali.

Capodaglio

Dal nonno Luigi (1802-1860), capostipite di una dinastia di attori che dal Veneto ha proliferato in tutta Italia, da papà Tullio e dai quattro zii tutti `in arte’, ereditò, assieme ai quattro fratelli, una vocazione per il teatro che poté affinare ben presto oltre la cerchia parentale, scritturata via via da Andò, Ruggeri e Talli. Nel 1919 sposò l’attore Pio Campa assieme al quale costituì, con l’apporto del Palmarini, una compagnia che per una dozzina di anni – tranne qualche intervallo – si impegnò in allestimenti allora coraggiosi, facendo conoscere Zio Vanja di Cechov, Gli interessi creativi di Benavente, I falliti di Lenormand. Con una compagnia in proprio si cimentò con altrettanta audacia in Pirandello, Evreinov, Molnár, catturando i massimi riconoscimenti di pubblico con Topaze di Pagnol. Fondendo le doti naturali ereditate in famiglia con un’inesausta ricerca di affinamento, abbinando il temperamento generoso a una pertinace ricerca di novità, C. conseguì forse il massimo traguardo allorché nel 1933 si unì artisticamente al poliglotta e cosmopolita Moissi, tornato sui palcoscenici italiani dopo essere assurto ai vertici della scena tedesca. Scomparso troppo presto Moissi, riformò compagnia con Carini e Betrone per alternare, dal 1939, l’insegnamento di recitazione all’Accademia nazionale d’arte drammatica di Roma con la partecipazione a spettacoli di disparato segno (Goldoni, O’Neill, Betti, Simoni, Adami, García Lorca, Greene), assurti a specchio di una curiosità intellettuale che ha indotto taluni critici ad apparentarla in qualche modo alla Duse. Alla sua scuola crebbero attori come Gassman, Buazzelli, Santuccio, Volonté, Sbragia, la Vitti, la Padovani, la Falk, Franco Graziosi.

Checchi

La famiglia Checchi fu famiglia di attori: Tebaldo Checchi era figlio di Luigi e nipote di Candido. Primo amoroso in diverse compagnie, poi capocomico per diversi anni, recitò con Andrea Maggi, Cesare Rossi e Pia Marchi. Lavorò in compagnia con la grandissima Eleonora Duse, che sposò nel 1882 e dalla quale ebbe una figlia, Enrichetta. Ma il matrimonio non ebbe lunga vita e nel 1885, durante una tournée in Sudamerica, i due si separarono. Intelligente, colto, di aspetto e modi signorili, entrò nella carriera diplomatica abbandonando definitivamente il palcoscenico. Morì nel 1918 a Lisbona, dove era vice-console della Repubblica Argentina.

Colli

Debutta giovanissima, nel 1962, al Piccolo Teatro in Un cannone per Mari regia di Virgilio Puecher. Segue la compagnia di Puecher a Roma, e lì il gruppo si scioglie. Ma C. incontra il suo futuro marito, Giorgio Gaber che seguirà a Milano. Inizia una brillante carriera di cantante, passando presto dalla produzione più strettamente commerciale a brani impegnati anche politicamente. Dal sodalizio con Gaber nascono grandi pezzi di teatro come Gli ultimi viaggi di Gulliver, Una donna tutta sbagliata, Aiuto… sono una donna di successo!, A che servono gli uomini (1988) in cui affronta il tema dei figli in provetta. Talento spiritoso ed effervescente, C. ha dato delle buone prove di `femminismo teatrale’, imponendosi soprattutto nella commedia brillante prima di rinunciare allo spettacolo per darsi alla politica.

carcere, teatro e

In questo lento movimento dell’istituzione carceraria e del contesto sociale, che ancora stenta a farsi carico di problematiche che esso stesso ha generato, delegandone la tutela esclusivamente a forme di reclusione/esclusione, si alimentano le esperienze del lavoro teatrale in carcere. La prima e più generale caratterizzazione risiede nel riconoscimento del valore evolutivo che l’esperienza teatrale ha per la persona, della potenzialità educativa e terapeutica del teatro agito, attraverso le sue componenti di socializzazione, in quanto esperienza corale che instaura un clima collaborativo e interattivo, che mette in campo la dinamica fare/guardare, lo sguardo duplice di chi si osserva nell’agire espressivo, integrando corpo e mente, sentimenti, emozioni e consapevolezze, storie, biografie e volontà testimoniali. La persona ha la possibilità di recuperare la sua pluralità attraverso il lavoro sulla creatività e sull’immaginario, uscendo dalle stereotipizzazioni generate dall’istituzione totalizzante del carcere. In questa linea si muovono gli interventi laboratoriali di Giuseppe Errico (Napoli) e di Gianfranco Pedullà (Arezzo). Un elemento ulteriore, messo in campo dalle esperienze di Donatella Massimilla (Milano) e di Armando Punzo (Volterra), è lo sviluppo di processi formativi per la recitazione, con la relativa costituzione delle compagnie teatrali: La nave dei folli, presso la casa circondariale di San Vittore di Milano, e la Fortezza, presso il carcere di Volterra. Dunque il teatro come professione, come possibilità di riconoscersi attori, cioè capaci di un’azione significante e comunicativa, ma anche di sviluppare competenze negli altri «mestieri collegati al teatro», come cita il protocollo di intesa tra il Ministero di grazia e giustizia (Ufficio centrale per la giustizia minorile) e l’Ente teatrale italiano, che hanno promosso una sperimentazione nell’area minorile con Tam Teatromusica, Teatro Kismet opera e Gruppo teatro manipolazioni. L’obiettivo primario di molte esperienze è creare un ponte tra il mondo carcerario e quello esterno, un contatto comunicativo alternativo tra la città e il carcere attraverso la formazione professionale teatrale e la produzione di spettacoli, favorendo, quando possibile, la partecipazione del pubblico esterno.

Caubère

Dapprima alla scuola di André Benedetto e del suo Nouveau Théâtre («politico, popolare, romantico»), C. incontra successivamente Jean-Jacques Lebel. Dopo aver lavorato nel Lorenzaccio (Avignone 1981), decide di recitare esclusivamente i suoi stessi testi, al di fuori delle istituzioni e dei circuiti artistico-commerciali. Ha così inizio la serie degli spettacoli-confessione, in cui sono ripercorsi gli episodi della sua storia di uomo e di commediante: La danse du diable (1986), Ariane ou l’Âge d’or (1987), La trilogie amoureuse (1989), La Belgique (1992), Les Marches du Palais (1993). Del 1994 è Le roman d’un acteur , `epopea burlesca’ o `opera vivente’ (secondo le parole dello stesso C.) in undici episodi. Ancora una volta l’ one man show C. – sotto lo pseudonimo di Ferdinand Faure – ripercorre la storia della sua vita: dall’incontro con Claude Lelouch e Ariane Mnouchkine (animatrice della comunità del Théâtre du Soleil, e regista del capolavoro cinematografico Molière , nel 1978, di cui C. è grande protagonista) al lavoro di C. stesso presso il Théâtre du Soleil, dove il giovane compie il suo apprendistato, in un ambiente culturale permeato dalle utopie politiche degli anni Sessanta, fino alla composizione di questa autobiografia spettacolare, rappresentata con enorme successo, in sedici serate, nell’ambito del festival di Avignone. Per la grande comicità e la padronanza dell’arte del mimo e del racconto spesso C. è stato accostato a Dario Fo.

Carbone

Formatosi alla scuola della Scala e perfezionatosi con G. Urbani e A. Dolin, Giuseppe Carbone dopo il debutto con il Balletto di Roma è (dal 1962) primo ballerino all’Opera di Bonn, dove diventa direttore del corpo di ballo nel 1968. Primo ballerino, coreografo e direttore del corpo di ballo alla Fenice di Venezia (1971-73) e al Regio di Torino (1973-75), dal 1975 al ’79 è alla guida del Cullberg Ballet di Stoccolma, dove collabora strettamente con Birgit Cullberg, firmando con lei alcune coreografie ( Pulcinella e Pimpinella , 1981). In seguito viene nominato a più riprese direttore del corpo di ballo della Scala (1979-81 e 1991-93) e dell’Arena di Verona (1983-85 e 1989-91), ottenendo lusinghieri risultati grazie a una oculata programmazione. Fondatore del Balletto di Venezia (1988) e direttore del corpo di ballo dell’Opera di Roma (1994-97), continua l’attività di coreografo con balletti di taglio drammatico, dove mette in evidenza il suo linguaggio, sintesi di balletto classico d’influenza nord-europea e danza moderna. Padre di Beatrice e Alessio (Stoccolma 1978), tra i pochi danzatori italiani accolti nel corpo di ballo dell’Opéra di Parigi (1997).

Caveagna,

Sembra che il capostipite della famiglia Caveagna sia un religioso, Rodolfo, che nella prima metà del secolo scorso getta la tonaca e intraprende la vita nomade (curiosamente, un’origine comune a molte famiglie circensi italiane ed europee). Emigrato in Ungheria, Rodolfo entra nell’orchestra di un circo itinerante e sposa la figlia del direttore, subentrando alla guida del piccolo complesso che, al rientro in Italia, prende il nome di circo C.; è però il primogenito di Rodolfo, Artidoro (1867-1932), a portare per primo il complesso a un certo livello. Il circo C. raggiunge il suo apice negli anni ’50, sotto la guida del figlio Secondo. I figli di quest’ultimo, Remo (1939-1967), Artidoro (1935), Liliana (1941) e Ugo Alberto (1955), lasciata l’attività di imprenditori, continuano a lavorare in importanti complessi italiani ed europei, distinguendosi nella clownerie e nell’acrobazia equestre. Recentemente i giovani Giordano e Ivano si sono distinti nella disciplina del verticalismo.

Cuticchio

Figlio di Giacomo (nato nel 1917), uno dei più attivi e importanti ‘opranti’ palermitani, Mimmo Cuticchio cresce e si forma entro la tradizione dei pupi palermitani. Opera fin da bambino nel teatro di famiglia, sotto la guida del padre e dello zio Girolamo, e con loro lavora, oltre che in Sicilia, in importanti occasioni anche internazionali (fra l’altro al festival di Spoleto e a Parigi). Continuando il lavoro di puparo, con un impegno che consente la sopravvivenza, nella crisi generale di questo tipo di spettacolo a partire dagli anni ’60, dell’opera dei pupi a Palermo, Cuticchio prende l’iniziativa di raccogliere l’eredità dell’ultimo contastorie siciliano, Peppino Celano, morto nel 1983, e di riproporre il ‘cunto’. Cuticchio aveva ben conosciuto Celano e nello stesso ambiente di Celano era cresciuto, ma per impadronirsi a fondo del mestiere di contastorie riunisce tutte le registrazioni sonore esistenti di Celano (realizzate da Roberto Leydi e da Antonio Pasqualino) per studiarle attentamente. Riesce così a proporsi con uno stile tradizionale perfetto e ad innestare, su quella tradizione ben assimilata, nuovi elementi, soprattutto per quanto riguarda l’argomento delle storie raccontate, non più soltanto desunte dall’epopea dei Paladini di Francia ma anche da fatti e situazioni contemporanee.

Capezio Award

Il Capezio Award è un premio istituito nel 1952 dalla casa produttrice di scarpette per danza, con l’intento di valorizzare «il progresso della danza negli Stati Uniti». È stato assegnato a ballerini, coreografi e critici, tra cui Lincoln Kirstein (1953), Doris Humphrey (1954), Ted Shawn (1957), Martha Graham (1960), Ruth Saint-Denis (1961), José Limón (1964), Agnes De Mille (1966), Paul Taylor (1967), John Martin (1969), Arthur Mitchell (1971), Robert Joffrey (1974), Jerome Robbins (1976), Alwin Nikolais (1982), Edward Villella (1989), Jacques d’Amboise (1990), Bruce Marks (1995).

Carbone

Formatasi alla Royal Ballet School e alla scuola di ballo della Scala, Beatrice Carbone si diploma nel 1994 ed entra immediatamente nel corpo di ballo scaligero, dove si mette in luce nell’accademico Etudes di Harald Lander. In seguito ricopre sempre più spesso ruoli solisti in balletti del repertorio classico (La bella addormentata) e neoclassico (Apollon Musagète).

Comediants

Fin dagli esordi, gli spettacoli di Els Comediants, costituita da quindici componenti, si fondavano su elementi popolari propri della cultura catalana, al fine di renderli vivi e attuali allo stesso tempo. Dal 1972 il gruppo si è dedicato con intento didattico-pedagogico al mondo dei bambini allestendo spettacoli che, avendo per tema il gioco nelle sue diverse forme e come protagonisti marionette, testoni di cartapesta, giganti e musiche popolari, cercano di scatenare e stimolare la fantasia dei loro piccoli spettatori, rendendoli il più possibile spontanei e attivi. Nel 1977 la compagnia si è recata per la prima volta all’estero e, giunta in Italia, ha realizzato una tournée attraverso tutte le regioni. Sol solet , lo spettacolo presente al carnevale del Teatro di Venezia del 1980, è stato realizzato dapprima in versione solo per esterni e, successivamente, adattato ad ambienti chiusi. Basandosi sulla capacità di suscitare emozioni attingendo dal mondo naturale, Sol solet racconta di un gruppo di persone che parlano di un viaggio fatto e che hanno intenzione di riprendere. Balli scatenati, sarabande indiavolate per Il volo del turco , lo spettacolo che inaugurò il `carnevale della ragione’ veneziano del 1981. Il simbolico corteo funebre, che percorre i canali e le strette calli, termina sul palcoscenico della piazzetta di San Marco. Tutti gli elementi drammatici (testoni, giganti, marionette), che erano coperti da drappi neri, si trasformano in elementi carnevaleschi. E, in un incalzare vorticoso di danze attorno alle ceneri dei simulacri carnascialeschi, la festa si conclude con scoppi di petardi e fuochi pirotecnici. La follia del carnevale si scontra con i valori razionali rendendoli ridicoli e scoprendo le loro contraddizioni con Settecento bugie tutte illuminate con allegro moto , spettacolo di favole, canzoni, mondi ordinati e fantastici che celebra il carnevale lagunare dell’anno successivo. Con Tauromachia la ripresa della tradizione catalana supera i confini nazionali, sposando il bisogno collettivo di sfogare, almeno in questa occasione, pulsioni irrazionali. Il toro di cartapesta, accompagnato da due carrettieri che distribuiscono agli spettatori verdure di scarto da lanciare contro l’animale dopo diversi percorsi per i canali, sarà bruciato tra la crescente frenesia generale.

Crivelli

Attivo in campo nazionale e internazionale, Filippo Crivelli da anni collabora con i maggiori enti lirici in Italia e con importanti teatri stranieri. Ha collaborato a lungo con la Rai, realizzando trasmissioni dedicate a cantanti come Milly e Milva, radiodrammi, sceneggiati e programmi radiofonici. Tra gli spettacoli di prosa si ricorda L’Orestea di Gibellina di Emilio Isgrò (1983-85), da Eschilo, con le macchine sceniche di Arnaldo Pomodoro, realizzata all’aperto sulle rovine di Gibellina; ha inoltre riproposto, dopo anni di oblio, i testi teatrali di Achille Campanile (Manuale di teatro , 1976). Il suo nome è legato alla ripresa del Ballo Excelsior di Manzotti e Marenco (Firenze, Maggio musicale 1967), con la coreografia di Ugo Dell’Ara e le scene e i costumi di Giulio Coltellacci; lo spettacolo, dopo la ripresa scaligera del 1975, si replica ancora oggi nei maggiori teatri italiani. Al Teatro alla Scala ha recentemente curato la regia di La fille du régiment di Donizetti (1996), restituita in tutta la sua preziosa verve; del compositore bergamasco ha allestito ben diciannove titoli, ricevendo nel 1993 il premio Donizetti e, precedentemente, il premio Illica per la sua attività nel teatro d’opera. È considerato tra i più eleganti registi d’operetta (sei edizioni di La vedova allegra di Lehár, e Al Cavallino bianco di Benatzky, Parata di primavera di Stolz, Il pipistrello di Strauss, The Mikado di Gilbert e Sullivan). Firma la regia di numerosi spettacoli di canzoni, di cabaret e recital per Milly, Laura Betti, Ornella Vanoni, Maria Monti, Rosalina Neri, Valentina Cortese, Tino Carraro, Milva. A C. sono inoltre legate le diverse e numerose edizioni di Milanin Milanon , spettacolo dedicato a Milano attraverso le sue poesie e le sue canzoni, scritto con Roberto Leydi (1963). Sempre con Leydi ha scritto Bella ciao, spettacolo di canzoni popolari presentato al festival di Spoleto nel 1964. Collabora da anni con il Teatro della Tosse di Genova, per cui ha curato la regia di Dodici Cenerentole (adattamento da Dodici Cenerentole in cerca d’autore di Rita Cirio e Emanuele Luzzati; 1991), Gilbert & Sullivan & Company , Il conte Chicchera di Goldoni (1993) e Voilà Labiche (1995), riduzione da Il cappello di paglia di Firenze di Labiche. Nel 1993 ha realizzato per la Rai i Mémoires di Goldoni in edizione integrale radiofonica. È tra quei registi della scena italiana che si sono misurati con ogni forma di teatro, dai monologhi all’opera lirica, dalla tragedia all’operetta, dagli spettacoli di canzoni popolari alla commedia brillante. Esperienza e creatività, tecnica e precisione formale fanno di Crivelli una presenza importante del teatro in Italia.

Cantagalli

Di professione notaio, Giuseppe Cantagalli scrisse più di cento opere fra commedie, farse e monologhi, principalmente in dialetto romagnolo, con intento pedagogico. I suoi personaggi sono tratti dall’ambiente popolare e fanno della comicità la loro caratteristica. Rappresentato da filodrammatiche locali, raggiunse la notorietà con la trilogia Pancrèzi in cuntravenzion, Pancrèzi in carnuvèl, E fiol d’Pancrèzi in ti suldè. Creò poi la fortunata macchietta del signor Lovigi, tipico rappresentante del faentino, saggio e prudente.

Chiesa

Diplomata alla scuola di ballo della Scala nel 1983, l’anno successivo entra in compagnia segnalandosi in titoli di A. Ailey e L. Falco; parallelamente studia danza contemporanea con J. Uotinen, L. Ekson, M. Monnier, L. Casiraghi, S. Beltrami e composizione coreografica alla Guilford University di Londra. Come coreografa firma Dietro lo specchio (1990), Moto perpetuo (1991), Sono, sognando (1992), Amori sommersi (1993) con la compagnia scaligera, oltre a Estasi dal romanzo di Stefano Zecchi (1995), tutti ispirati a tematiche legate alle problematiche esistenziali e ai conflitti interiori dell’individuo.

Curti

Autodidatta, esercitò molti mestieri: fu giornalista, storico, cantante, conferenziere e pittore di buone qualità. L’esperienza acquisita in questi molteplici campi lo aiutò nel costruire vivaci scene di vita quotidiana, che tradusse in monologhi, bozzetti e commedie in dialetto, contribuendo a rinnovare il repertorio del teatro milanese soprattutto attraverso l’interpretazione di Gaetano Sbodio. Tra le sue opere più significative sono da ricordare: Trani e Barletta , El poresin negher , El decoro , La muffa .

Caiti

Formatosi con M. Besobrasova e S. Oussov, nel 1988 Orazio Caiti entra a far parte dell’Aterballetto, dove interpreta ruoli solisti e di protagonista nei balletti di A. Amodio Coppélia (1993), Carmen (1995) e Lo strano caso del dottor Jeckyll e del signor Hyde (1996). Coreografo dal 1994, crea per l’Aterballetto Circus (1997), su musica computerizzata, e Nove ritratti (1997), su partitura originale di Paolo Castaldi.

Chipperfield

Creato nel dopoguerra dai fratelli James, Richard e John, il circo Chipperfield è tra i più grandi complessi britannici degli anni ’50 e ’60, distinguendosi soprattutto per il grande zoo viaggiante. I C. hanno aperto sette safari-park in Inghilterra, Australia e Sudafrica. I più celebri domatori della famiglia sono stati Richard, Mary, Sally, Dick jr. e Graham-Thomas, vedette del circo Ringling-Barnum negli Usa fino al 1997.

carnevale

è certo l’evento rituale più complesso di tutto il ciclo annuale. Sul significato del c. esiste un’amplissima bibliografia, ma volendo semplificare al massimo potremmo dire che il c. è comunque un rito di `liberazione’ che si è venuto configurando, in molti casi, quale una sorta di `spazio franco’, di `spazio (relativamente) libero’ nel quale far confluire riti espulsi dalle loro sedi calendariali tradizionali. Ricettacolo, quindi, di frammenti rituali i più diversi, `ospitati’ e integrati entro la rappresentazione fondamentale di un’occasione eccezionale, ma annualmente ricorrente, di `libertà’. Se anche ogni c. si presenta con tratti propri e caratteristici, osservando sotto le apparenze non è difficile cogliere un forte tratto unitario. In Italia abbiamo c. che diciamo `tradizionali’, ma anche quei c. che ci appaiono turisticizzati o apparentemente `inventati’ conservano visibile il loro antico significato. La trama carnevalesca è intessuta di simboli che esprimono `liberazione’. Liberazione da un dominatore storicamente individuato in quei c. (per esempio del Piemonte) dove ha agito l’opera condizionante del regime napoleonico, offrendo al c. l’occasione per esprimere la liberazione dagli antichi sovrani assoluti, con la venuta dell’esercito rivoluzionario. Ma più spesso liberazione dalle regole gerarchiche dell’esistenza, con il rovesciamento dei ruoli sociali e la configurazione del `mondo alla rovescia’. Chi è subordinato o emarginato tutto l’anno (per esempio l’omosessuale nei c. della Campania, che diviene re della festa) diviene il dominatore, se pur per pochi giorni. Ma anche un altro elemento è fortissimo nel rito carnevalesco ed è quello sessuale. Questo elemento è così resistente da conservarsi persino nei più addomesticati e borghesi c. urbani, con le mascherine femminili che gettano coriandoli a quelle maschili, mentre i giovanotti utilizzano la più realistica schiuma da barba. La forza del c. e il suo radicamento nella coscienza si esprimono anche nei c. `inventati’, quale quello turistico di Venezia che celebra la libertà nella sfrenatezza, nell’esibizione e talora nella trasgressione.

Cova

Formatasi alla Scuola di ballo della Scala con E. Mazzucchelli, nel 1954 Fiorella Cova entra in compagnia e nel 1962 viene nominata prima ballerina. Espressiva ed elegante, interpreta molti ruoli del repertorio ottocentesco (La Sylphide) e del ‘900 (Serenade di Balanchine). Riprende inoltre il ruolo di Gelsomina in La strada, nella coreografia del marito M. Pistoni. Si è ritirata dalle scene nel 1980.

Campanini

Carlo Campanini esordì a diciannove anni nella quotata compagnia piemontese di prosa Casaleggio, che aveva un repertorio sterminato di commedie, drammi, vaudeville. Andò subito in tournée, a Buenos Aires, e vi rimase sei mesi. «Si cambiava spettacolo ogni sera – ricordava – e la sera il capocomico mi dava il copione da imparare per il giorno dopo. Prove dalle 10 alle 12 e dalle 14 alle 17, poi in scena… Fu una bella scuola». Tornato in Italia, andò nella compagnia di Antonio Maresca, rimanendo quattro anni accanto alla soubrette Isa Bluette. Un po’ di avanspettacolo nel 1930, poi in compagnia Navarrini-Bluette. Dotato di bella voce tenorile (avrebbe voluto fare lirica), spesso alternava a brani recitati intermezzi musicali. Interprete di operette, in gioventù fu il tenore Mario in Addio giovinezza di Pietri; nella versione televisiva di molti anni dopo, gli toccò il ruolo del padre di Mario. Nel 1939 venne scritturato per tre anni dalla compagnia di Vivienne D’Arys, e allora, ricorda, «tenni a battesimo un nuovo comico che faceva il ballerino a Riccione e imitava Stanlio. Era Carlo Dapporto. Io imparai a imitare Ollio, e la coppia ebbe uno straordinario successo». Nello stesso anno esordì nel cinema in Lo vedi come sei? accanto a Macario. Avrebbe poi girato un centinaio di film.

Nel 1950 ci fu l’importante incontro con Walter Chiari; ne divenne la preziosa spalla in scenette oramai `storiche’: l’imitazione dei fratelli De Rege («Vieni avanti, cretino!») e il ‘Sarchiapone’, ambientato in un vagone ferroviario. Carlo Campanini asseriva d’avere in una scatola un sarchiapone, animale selvaggio e pericoloso. Chiari, con l’aria del `so tutto’, tentava disperatamente di indovinare di che bestia mai poteva trattarsi. Si scopriva alla fine che era solo un trucco, adottato da Carlo Campanini commesso viaggiatore, per spaventare i compagni di viaggio e restare da solo nel vagone: avrebbe viaggiato più comodo. Quello sketch, ripreso sempre puntualmente nel corso di decenni, alla fine s’era dilatato sino a diventare un atto unico. Carlo Campanini ‘segue’ Walter Chiari in tv e al cinema, guadagnandosi attestati di stima dei critici e vibranti applausi del pubblico: il suo personaggio, si disse, era «il calco negativo di quello di Walter Chiari: timido, goffo, balbuziente, dimostra più anni di quelli che ha, è pesante, ha scarsa dimestichezza con le donne, conserva un candore di fondo». Negli anni ’70, quando ormai considera giunto il momento della pensione, viene richiamato alla ribalta a Torino, in una compagnia stabile (al Teatro Carignano) di commedie un po’ in lingua un po’ in piemontese, scritte su misura per Macario da Amendola e Corbucci. Ma Macario aveva improvvisamente deciso di riaffrontare le tournée nazionali, accanto a Rita Pavone (in Due sul pianerottolo ), la compagnia era rimasta senza primattore e Carlo Campanini, sino al 1980-81, continuò a far divertire il ‘suo’ pubblico.

Christensen

Dopo gli studi con Peter Christensen e alla School of American Ballet e i primi lavori nel varietà, entra nell’American Ballet, dove interpreta Apollo di Balanchine (1935) e viene acclamato come il primo, vero ballerino statunitense del ventesimo secolo. Dopo la collaborazione con L. Kirstein e il Ballet Caravan (1936-41), per cui firma Pocahontas (1936) e Filling Station (1938), nel 1946 diviene maestro alla School of American Ballet e al New York City Ballet; cinque anni dopo assume la guida del San Francisco Ballet, che dirige con Michael Smuin fino al 1979 e per il quale cura le coreografie di vari lavori in stile neoclassico ( Con amore , 1953; La bella e la bestia , 1958; Scarlatti portfolio , 1979).

Coltellacci

L’inizio artistico è diviso tra i diversi interessi per la moda, la grafica, l’arredamento e la pittura, stimolato anche dai viaggi compiuti fin da giovane in Europa e negli Usa. Il debutto in teatro risale al 1945, quando realizza per Guido Salvini le scene di Rebecca , dal romanzo di Daphne Du Maurier. Nei primi anni del dopoguerra è a Parigi, dove disegna copertine per la rivista “Vogue”. Rientrato in Italia nel 1950 firma scene e costumi per La Bisarca , legandosi subito al genere della rivista-commedia brillante. Il suo stile è ricco di colori vivaci, interni lussuosi, echi di Broadway, abbigliamenti stravaganti, citazioni colte e concessioni al gusto popolare. Garinei e Giovannini lo associano ben presto alla loro ditta: per oltre trent’anni firma le scenografie di tutti gli spettacoli più importanti, tra cui Rugantino , Enrico ’61 , Rinaldo in campo , Ciao Rudy , Alleluja brava gente , Aggiungi un posto a tavola , Felicibumta , Bravo! Tra il 1948 e il 1953 è attivo al Piccolo Teatro di Milano, dove è tra i collaboratori di Strehler per La famiglia Antropus , La bisbetica domata , Riccardo III , Il misantropo ; negli stessi anni partecipa ad alcune `prime’ musicali di grande rilievo, da Il cordovano di Petrassi (Scala 1949, regia di Strehler) a Orfeo ed Euridice di Haydn (Firenze 1951). Al cinema lavora al fianco di Camerini in Ulisse (1953), di Mastrocinque in Alvaro piuttosto corsaro (1954), di Patroni Griffi in Metti una sera a cena (1968), nonché di Petri, Rosi e Monicelli. Nel suo curriculum figurano anche opere liriche come Aida (Arena di Verona, 1971, regia di S. Bolchi) e La Traviata che, nel 1979, rivisita in forma di romanzo d’appendice della Belle Epoque. Tra i suoi ultimi lavori va ricordata anche la riedizione di Il Ballo Excelsior di Marenco-Manzotti, con la regia di F. Crivelli (Scala 1975).

Cecchetti

Fin da bambino Enrico Cecchetti partecipò a spettacoli accanto ai genitori; adolescente, fu allievo di Giovanni Lepri a Firenze. Dopo un tirocinio in teatri minori, debuttò alla Scala nel 1870 nella Dea del Walhalla di Borri, mettendosi in luce per le sue doti di forte virtuosismo. Nel 1874 debuttava a Pietroburgo, città che sarà teatro di molti suoi grandi successi. Presente alla creazione di Amor di Manzotti alla Scala (1885), portò balletti del maestro del ‘ballo grande’ in Inghilterra e in Russia, riunendo compagnie italiane appositamente costituite. Nel 1890 era nominato secondo maître de ballet dei Teatri imperiali di Pietroburgo accanto a M. Petipa, restando contemporaneamente interprete e insegnante di ballo alla Scuola imperiale. Ha partecipato a molti spettacoli di rilievo, come La bella addormentata nel bosco di Petipa (1890) dove impersonava `en travesti’ il ruolo di Carabosse e creava la famosa variazione dell’Uccello azzurro, probabilmente da lui stesso coreografata. La sua permanenza in Russia terminò nel 1902, quando Enrico Cecchetti venne in disaccordo con la direzione dei Teatri imperiali, passando a Varsavia come direttore della scuola di ballo.

Tra le sue allieve a Pietroburgo figurano la Egorova, la Vaganova, la Kschessinska, la Karsavina e Anna Pavlova, che restò sua allieva privata per molti anni; tra gli allievi, Legat, Fokine, Nijinskij e, più tardi, Massine e Lifar. Scritturato da Diaghilev nel 1910 per i Ballets Russes, restò nella compagnia fino al 1918, come maître de ballet e mimo in lavori di Fokine e Massine. Trasferitosi a Londra, aprì con la moglie Giuseppina De Maria (pure attiva come mimo da Diaghilev) una scuola di danza che formò alcuni tra i più importanti danzatori inglesi: tra gli altri, Marie Rambert, Ninette de Valois, Alicia Markova, Anton Dolin. Nel 1925 Toscanini lo chiamò alla Scala alla direzione della scuola di ballo, incarico che C. tenne fino alla morte; tra le sue allieve scaligere figurano Cia Fornaroli, Attilia Radice, Ria Teresa Legnani e Gisella Caccialanza. Il famoso `metodo Cecchetti’ di insegnamento fu codificato da C.W. Beaumont in un trattato; successivamente il manoscritto fu edito a cura del nipote, Grazioso Cecchetti, in altro volume. In Inghilterra è stata fondata la Cecchetti Society per divulgarlo; analoghe istituzioni sono sorte negli Usa, Canada e altri Paesi. La tecnica di C. deriva direttamente, attraverso l’allievo Giovanni Lepri, dalla scuola italiana di Carlo Blasis, ma con arricchimenti pratici acquisiti in teatro e nei lunghi anni di insegnamento; più che un teorico dogmatico fu un insegnante pragmatico, che si confrontava sempre col palcoscenico. Il suo monito agli allievi era: «Io ti insegno tutto quanto può servire; dovrai poi arrangiarti da te in teatro con quanto vorrai o saprai fare».

Cavallini

Il trio formato da Rodolfo, Emilio e Goberto è applaudito nella prima metà del secolo in Italia e all’estero, sfociando in altri gruppi con figli e nipoti; negli anni ’60 diviene noto come solista Gigi. I Cavallini si sono anche esibiti in teatro con Dario Fo.

Capelli

Lavora con le tecnologie elettroniche, prediligendo un rapporto di tipo teatrale con il pubblico. Il teatro quindi sembra il suo naturale punto di riferimento, e al teatro infatti dedica le sue maggiori energie, scrivendo musiche di scena e realizzando spettacoli. Ha commentato una trentina di spettacoli teatrali, collaborando tra gli altri con Drusiani, Schirinzi, Brachetti, Bene, Luporini, Gaber (dal 1985 al ’90), con il Teatro del Buratto (dal 1987 al ’93) e con Dario Moretti (dal 1995). Lavora a progetti di didattica musicale nelle scuole, e conduce seminari sulla musica elettronica ed elettroacustica, sull’ecologia musicale, sulle tecnologie applicate alla musica.

Catania

La carica di direttore artistico del Teatro Stabile di Catania è stata assunta, tra gli altri, da Pippo Baudo (1988-97). L’identità artistica e culturale del teatro ha sempre privilegiato la produzione drammatica italiana, con particolare attenzione per le opere dei drammaturghi siciliani. L’interesse vivo per l’attualità della scena contemporanea ha fatto affiancare alle messe in scena delle opere di Pirandello, Verga (fra gli adattamenti si ricorda soprattutto quello di Mastro don Gesualdo , e de I Malavoglia), Rosso di San Secondo e Vitaliano Brancati, le rappresentazioni e gli adattamenti di numerose opere di L. Sciascia, G. Fava, G. Bufalino e V. Consolo. Due sono le sale a disposizione dello stabile: quella del teatro intitolato a Giovanni Verga e quella del Teatro Angelo Musco. Accanto all’attività produttiva, lo stabile promuove una significativa attività di animazione culturale del territorio, soprattutto in collegamento con l’Università. La Scuola di avviamento al teatro, inaugurata nella stagione 1993-94, per la formazione, l’aggiornamento e il perfezionamento professionale dei giovani attori, si inserisce all’interno di tale contesto, unitamente alle lezioni-spettacolo promosse nelle scuole nel tentativo di sviluppare la letteratura drammatica nella formazione primaria dei ragazzi.

Chaplin

Quinta figlia di Charles (la madre è Oona O’Neill), Victoria Chaplin nei primi anni ’80 ha fondato con il marito J.-B. Thiérrée ‘Le cirque imaginaire’, realizzando spettacoli con numeri di acrobazia, illusionismo, burattini e marionette, maschere, mimi, misteri e animali di ogni tipo (oche, anatre, conigli, colombe). In tournée mondiale, dagli Usa al Giappone, sono stati portati gli spettacoli della compagnia – nei quali recitano tutti i membri della famiglia – tra cui spicca Le cirque invisible (1991). Nel 1997 l’ensemble è di nuovo in tour con il nome Il cerchio invisibile, perché «la parola circo è ormai vuota di senso, mentre il cerchio è una figura geometrica perfetta, recinto fatale di ogni rito e iniziazione».

Copperfield

Kotkin; Metuchen, New Jersey, 1956), illusionista statunitense. Considerato il più celebre illusionista di ogni tempo, diviene popolare grazie a special televisivi per la rete Cbs (quattordici diverse produzioni, dal 1977), per i quali crea o aggiorna centinaia di spettacolari illusioni poi portate in tournée nei teatri, ereditando un tipo di mercato creato negli anni ’70 dal collega Doug Henning. C. visita i cinque continenti con le sue tournée, esibendosi in centinaia di repliche all’anno e trovando il tempo di fidanzarsi con Claudia Schiffer. Tra le sue più celebri imprese televisive: `la sparizione della statua della Libertà’, `l’attraversamento della muraglia cinese’, `la fuga da Alcatraz’. Nel 1995 figura quinto tra i più ricchi entertainer del mondo (52 milioni di dollari). Nel 1996 si esibisce a Broadway nella creazione teatrale Dreams & Nightmares , battendo ogni record di affluenza. Collezionista di documenti sull’illusionismo, realizza a Las Vegas il più importante museo del mondo su tale soggetto.

Chéreau

Nato in una famiglia di artisti (il padre è un noto pittore, la madre disegnatrice), allievo al liceo Louis-le-Grand di Parigi, Patrice Chéreau si unisce subito alla compagnia formata dagli studenti di cui diventa, con Jean-Pierre Vincent (anche lui futuro regista), direttore. Per questo gruppo firma, a vent’anni, la sua prima regia, L’intervention di Victor Hugo, che lo rivela alla critica più attenta per «una vitalità teatrale che sembra inesauribile» (Bernard Dort). Inizia così il suo apprendistato registico, che culmina nel 1966 quando diventa direttore del Théâtre de Sartrouville, una città dormitorio a quindici chilometri da Parigi; qui nel 1967 mette in scena I soldati di Lenz, che lo fa conoscere anche a un pubblico internazionale e, fra l’altro, un Don Giovanni di Molière in cui il protagonista incarna la crisi dell’intellettuale moderno. Il grave deficit accumulato lo costringe ad abbandonare il teatro. Nel 1969 esce per la prima volta dai confini francesi, per dirigere un’opera di Rossini al festival di Spoleto (un’ Italiana in Algeri destinata a fare scalpore).

Subito dopo, nel 1970, firma Riccardo II di Shakespeare a Marsiglia, affiancato – come già a Spoleto – da quelli che diventeranno i suoi collaboratori fissi: lo scenografo Richard Peduzzi e il costumista Jacques Schmidt. In questo spettacolo – tutto giocato sul ruolo fatale di un re bambino omosessuale, incapace di rispettare le regole di una società che farà di tutto per liberarsi di lui – Patrice Chéreau, sull’onda di un’eccentrica colonna sonora che mescola Maria Callas a Janis Joplin, ritaglia un ruolo anche per sé. Sempre in quell’anno Paolo Grassi lo chiama al Piccolo Teatro, dove Patrice Chéreau dirige tre spettacoli: da uno sconcertante e sconvolgente Splendore e morte di Joaquín Murieta di Neruda (1970), in cui rappresenta, con un’evidenza carnale, la sua idea di `teatro politico’ come apoteosi, travestimento e derisione, al gelo brechtiano di Toller di T. Dorst, parabola di una rivoluzione fallita (1971), fino alla stupefacente Lulu (1972), il più bel Wedekind che si sia visto in Italia, dove – per raccontare la vita fatale e drammatica di una donna che porta rovina a sé e agli altri – riesce a raccogliere attorno a sé, con l’autorità di un maestro, attori come Renzo Ricci, Valentina Cortese, Tino Carraro, Alida Valli.

Intanto, fra uno spettacolo e l’altro al Piccolo, firma, sempre a Spoleto, La finta serva (1971), il suo secondo Marivaux (dopo una giovanile L’ereditiera del villaggio , festival di Nancy 1965): autore destinato a una continuità nella vita artistica di questo regista, che dirà su di lui cose definitive, fino alla strepitosa messinscena della Dispute (Parigi 1973). Intanto ha già messo in scena Massacro a Parigi di C. Marlowe (al Théâtre National Populaire di Villeurbanne, 1972), spettacolo claustrofobico giocato su di un palcoscenico invaso dall’acqua, elemento primigenio e apocalittico insieme. Sempre a Villeurbanne firma il suo unico Ibsen, Peer Gynt , con Gérard Desarthe. Dopo un periodo speso da Patrice Chéreau, fra l’altro, a rivoluzionare l’iconografia delle interpretazioni wagneriane con l’allestimento a Bayreuth de L’anello dei Nibelunghi (1976, direttore Pierre Boulez), visto come una parabola sull’ascesa e la caduta di una stirpe industriale, gli anni che seguono vedono l’ex enfant terrible dirigere, a partire dal 1982, il Teatro di Nanterre, con l’idea di farne, al tempo stesso, un’istituzione stabile e in movimento, aperta, dove si rappresenta un repertorio che si potrebbe definire eclettico, mescolando il prediletto Marivaux alla scoperta di un giovane talento – destinato a sparire troppo presto – come Bernard-Marie Koltès, di cui diventa il regista a partire dal 1983, con Negro contro cani protagonista Michel Piccoli. Un sodalizio che si sublima nelle tre edizioni di Nella solitudine dei campi di cotone , di cui due interpretate dallo stesso Patrice Chéreau.

Sempre a Nanterre mette in scena I paraventi di Genet (1983) poco prima della scomparsa dell’autore, che spesso assiste alle prove e pare condividere il lavoro del regista. Sempre a Nanterre – che apre a registi come Luc Bondy e Pierre Romans – monta il suo celebre Amleto freudiano (1988) con musiche di Prince, con Gérard Desarthe che trionfa ad Avignone e in mezzo mondo. Dopo le dimissioni dalla direzione del teatro questo artista geniale e inquieto si dedica essenzialmente al cinema dove, a partire dal 1975 con Un’orchidea rosso sangue (a cui partecipano alcuni attori della Lulu come Alida Valli, Valentina Cortese e Renzo Ricci), ha diretto con alterne fortune, fra l’altro, Judith Therpauve con Simone Signoret (1978), La regina Margot con Isabelle Adjani, Vincent Perez e Virna Lisi (1994), e il recentissimo Quelli che amano prendono il treno (1998).

Colón

Creata come compagnia stabile dell’omonimo teatro lirico di Buenos Aires nel 1925, Balletto del teatro Colón ha come suo primo direttore Adolph Bolm e come prime ballerine Ruth Page e Ana Ludmila, affiancate da un buon numero di artisti argentini che fin dagli anni ’30 iniziano a imporsi anche nei ruoli principali (Dora Del Grande, Leticia de la Vega, Lida Martinolli, Beatrice e Victor Ferrari). Fin dai primi anni presenta un ampio repertorio tradizionale, basato sui grandi classici dell’Ottocento e sui maggiori autori del balletto moderno (Balanchine, B. Nijinskij, Fokine, Massine, Nureyev, Tudor, MacMillan, Cranko), cui affianca opere di autori argentini, da Costantino Gaito (La flor de Irupe , 1929) a Oscar Araiz. Composta attualmente da ottantanove ballerini, per lo più provenienti dalla sezione danza dell’Istituto superiore delle arti di Buenos Aires (che dal 1959 forma la maggior parte degli artisti argentini), è diretta dal 1998 dal ballerino Ricardo Bustamante.