Anton

Figlio del giornalista e autore teatrale Luigi Antonelli. Edoardo Anton esordì giovanissimo con il fortunato dramma poliziesco Il serpente a sonagli (Milano, 1935) da cui R. Matarazzo avrebbe tratto un film. Ad esso seguirono Mulini a vento (Milano, 1938), Un orologio si è fermato , interpretato da Emma Gramatica, Non è ancora primavera (Milano, 1943). È del 1960 La fidanzata del bersagliere (Roma, 1960, protagonista Ornella Vanoni). A. fu inoltre sceneggiatore, autore e critico radiofonico e televisivo. In veste di regista, portò in scena diversi lavori di Pirandello, Barry e Synge.

Aviotte

Ha studiato al conservatorio di Nizza sotto la guida di L. Darsonval e poi a Cannes con R. Hightower. Nel 1979 è stato scritturato dal Ballet de Marseille dove R. Petit lo ha voluto, fra l’altro, protagonista de Lo schiaccianoci e de Il matrimonio del cielo e dell’inferno (Milano 1984) nel ruolo di James Dean. Successivamente ha avuto anche esperienze in veste di coreografo. Ha collaborato al Tout Satie dello stesso Petit e nel 1990 ha creato Birdy (musica di P. Gabriel), pure da lui danzato con A. Ferri.

Awerino

Considerato uno dei maggiori illusionisti del Circo di Mosca. Di famiglia circense inizia il proprio apprendistato come acrobata, giocoliere e clown. Nel 1966 passa all’illusionismo distaccandosi dal tipico stile russo dei fratelli Kio per crearne uno proprio senza per questo rinnegare alcune componenti del folklore tipico russo. Numerose le tournée in paesi stranieri. Nel 1991 in Italia con il Circo sul ghiaccio di Mosca.

Appia

Musica, tridimensionalità, spazi ritmici, luce sono le vere e proprie scoperte che fanno di Adolphe Appia uno dei padri del teatro novecentesco e uno dei più tenaci assertori della necessità del primato di uno spazio scenico che sfugga alle secche del naturalismo. L’approccio al teatro di questo grande teorico che in palcoscenico ha lavorato pochissimo a causa di una gravissima nevrosi che lo rendeva balbuziente, e che lo farà morire alcolizzato in una clinica per malattie nervose, avviene attraverso l’esperienza musicale. Che per Adolphe Appia prende corpo soprattutto in quella forma di `teatro totale’ che l’opera di Wagner suggerisce. Proprio la visione de L’anello dei Nibelunghi gli fa comprendere come una realizzazazione piattamente realistica rischi di impoverire la straordinaria forza della musica wagneriana. Ma l’antipatia di Cosima Wagner, vedova del compositore, gli impedisce di vedere realizzate le scene create per L’oro del Reno e per La Valchiria. Partendo da queste scenografie e dalla necessità che la musica si rispecchi in uno spazio che ne esalti la forte caratteristica di Wort-Ton-Drama, A. scrive La messinscena del dramma wagneriano (1895) in cui si gettano le basi di una visione del teatro che verrà compiutamente espressa in L’opera d’arte vivente (1921).

La novità del suo modo di intendere il teatro musicale si realizza dal vivo ben poche volte e con scarso successo: in due regie, per Manfred e Carmen e nelle scenografie di Tristano e Isotta per la Scala nel 1923 e de L’oro del Reno e La valchiria al Teatro di Basilea. In questi stessi anni conosce e collabora con Jean Jaques Dalcroze, fondatore della danza ritmica. Insieme a lui, anche in spettacoli studiati per la `città sperimentale’ di Hellerau, analizza il rapporto fra la tridimensionalità del corpo umano e quella dello spazio in cui il corpo si muove. Anzi è proprio la plasticità corporale a suggerirgli l’importanza dell’uso di un’illuminazione in grado di esaltarla. Il legame musica-forma, plastica-luce, lo spinge a creare i celebri `spazi ritmici’: progetti di scene scandite da pilastri e da gradinate, da luce e da buio, di una rara e classica purezza (racconterà, in proposito, di essere stato folgorato dall’affresco di Puvis de Chavannes Santa Genevieve veglia su Parigi addormentata). Questi spazi ritmici costituiranno la base per studi sul movimento ma si ritroveranno anche nell’invenzione di scenografie per testi scespiriani come Re Lear e come Sogno di una notte di mezza estate . Con la sua idea di un’illuminazione atemporale e di una realtà vista attraverso gli occhi dell’eroe, si confronteranno più tardi il teatro espressionista e le avanguardie futuriste e costruttiviste, ma anche registi come Max Reinhardt e musicisti come Gustav Mahler.

Akimov

Dopo aver frequentato a Pietrogrado la scuola per scenografi diretta da M. Dobuzinskij e A. Jakovlev, Nikolaj Pavlovic Akimov lavora in vari teatri di Pietrogrado (dal 1924 Leningrado) firmando scenografie di grande originalità e di nitida precisione. Nel 1929 debutta nella regia con un dissacrante e contestatissimo Amleto (Teatro Vachtangov a Mosca), ricco di soluzioni grottesche e inattese. Dal 1935 al 1949 dirige a Leningrado il Teatro della Commedia, orientandosi verso un repertorio di qualità, con intelligente equilibrio tra classici e contemporanei (La dodicesima notte di Shakespeare, 1938; Il cane sul pagliaio di Lope de Vega, 1939; L’ombra di Švarc, 1940; L’isola della pace di Petrov, 1947). Dal 1951 al 1954 dirige il Teatro Lensovet, per poi tornare nel 1955 al Teatro della Commedia che dirige fino alla morte, continuando, accanto al lavoro di regista, quello di scenografo e di disegnatore (i suoi affiches sono nei maggiori musei teatrali della Russia): i suoi spettacoli hanno uno stile inconfondibile, dove la leggerezza si fonde con l’intelligenza e l’ironia; le sue scelte di repertorio, in anni di pesante reazione e di grigia uniformità, si segnalano per coraggioso anticonformismo (le ripetute messinscene di un autore emarginato come Švarc, o le riprese, sorprendenti per freschezza e attualità, di classici come Cechov, Suchovo-Kobylin, Saltykov-Šcedrin).

Arbalete

Fondata a Genova nel 1983 dal coreografo Claude Coldy e diretta dal 1987 da Giovanni Di Cicco e Claudia Monti, dopo essere stata parte di un centro di produzione con i gruppi Sosta Palmizi e Vera Stasi, dal 1990 al 1993, opera autonomamente e ottiene dal 1997 una residenza presso il Teatro Gustavo Modena di Genova. Fin dalla fondazione collabora con compositori di musica contemporanea (Echo Art, Alipuli , 1989; Ferdinando Mencherini, Operai , 1993; Claudio Lugo Voci di Sheherazade , 1994), muovendosi anche nell’ambito del teatrodanza ( Tanto per cominciare , regia di Mario Jorio, 1994) e in quello della videodanza ( Stabat , 1995).

Appaix

Diplomatosi all’École national supèrieure d’arts et métiers, Georges Appaix intraprende studi musicali come sassofonista al Conservato d’Aix-en-Provence e di danza con O. Duboc. Con la stessa collabora dal 1978 al 1981 per l’allestimento di diverse creazioni in cui figura anche come musicista. In questo stesso ruolo partecipa agli spettacoli di D. Larrieu, J. Baiz e S. Aubin. Artista assai estroso, con Nouvelles antiquittés vince, nel 1986, il secondo premio al Concorso di Parigi. Tra i suoi lavori sono da segnalare Jeux de stages (1978), il `progetto di strada’ Allons voir (1982-83), La bel été (dal romanzo di Pavese, 1984), Agathe (1985). E ancora, il raffinato e poetico Gauche-Droite (1994) e, in collaborazione con il compositore J. Rebotier, Clic (1996).

Arova

Dopo gli studi a Londra, ha danzato con numerose compagnie in Europa e negli Usa, fra cui l’English International Ballet (1946) e il Metropolitan (dal 1947). Direttrice del corpo di ballo a Oslo (1966-70), dove ha contribuito alla formazione del Balletto nazionale norvegese, e presso l’Opera di Amburgo (1970-71), si è dedicata in seguito all’insegnamento presso l’Alabama School of Fine Arts.

An-ski

Zainwil Rappoport; Casniki, Bielorussia, 1863 – Varsavia 1920), autore drammatico polacco di lingua russa e yiddish. In giovinezza studia approfonditamente il Talmud, per poi legarsi al movimento dell’ `Haskalah’, diretto contro l’oscurantismo religioso, e spostarsi progressivamente su posizioni atee. Influenzato dal programma dei narodniki , i populisti russi, lavora come fabbro, operaio di fatica, rilegatore di libri, e rompe in modo drastico con le autorità rabbiniche. Obbligato a lasciare la Russia, risiede in Germania, in Svizzera e a Parigi. Fino al 1904 scrive in russo; a partire dal 1905, data del suo ritorno in Russia, inizia a scrivere in yiddish leggende popolari e favole hassidiche. Tra il 1911 e il 1914 prende parte alla spedizione etnografica compiuta dal barone Ginzburg in Volinia e Podolia. Gli studi sul folclore ebraico effettuati in quella circostanza trovano espressione artistica nel dramma Il Dibbuk (Tsvishn tsvey Veltn), rappresentato a Varsavia nel 1920. La storia dell’amore tra il povero studente talmudista Hanan e la ricca Lea è ritratta a tinte mistico-simboliche: il rifiuto del padre di Lea di acconsentire alle nozze provoca la morte di Hanan, la cui anima si reincarnerà nella fanciulla. Il `dibbuk’, infatti, nella demonologia ebraica è un’anima in pena, erratica, sospesa tra due mondi, uno spirito inquieto a causa di una morte violenta, che cerca di soddisfare la propria sete di vita entrando nel corpo di un vivo. Gli esorcismi praticati dai rabbini per permettere a Lea di sposare un ricco pretendente porteranno alla cacciata del dibbuk, ma anche alla morte della ragazza. Una novità assoluta per la scelta di rappresentare sulla scena il mondo degli hasidim e dei cabalisti, Il Dibbuk ha conferito ad A. un eccezionale successo postumo, ben esemplificato da un adattamento operistico (libretto di Renato Simoni, musica di Lodovico Rocca; Scala 1934) e due cinematografici (Polonia 1938 e Israele 1968), nonché dalle rappresentazioni annualmente effettuate a Tel Aviv dalla compagnia Habimah; minor fortuna ha conosciuto la seconda – e incompiuta – opera teatrale di A., Giorno e notte (Tog un Nacht, 1920), giunta a noi soltanto in forma di frammento.

Amiel

Allieva dell’Opéra di Parigi, Josette Amiel ha debuttato all’Opéra-Comique per poi passare a Palais Garnier, dove è diventata prima ballerina nel 1955 ed étoile nel 1958. Artista dalla linea tecnicamente perfetta, ha interpretato sia i grandi ruoli classici sia quelli moderni. È apparsa particolarmente perfetta in Il lago dei cigni , dove il suo cigno nero al terzo atto era a giudizio di molti un capolavoro di magica seduzione. Di rilievo anche la sua interpretazione in Symphonie de Gounod di F. Flindt (1964). Ha danzato sovente anche fuori del grande tempio parigino, nei massimi teatri d’Europa, dal Covent Garden alla Scala.

attore

La loro scomparsa segnò la fine di un’epoca, dominata dalla figura del `grande attore’, protagonista assoluto delle scene europee ottocentesche. A renderlo `grande’ non erano soltanto le straordinarie qualità istrioniche, ma la personalità che si serviva di interi repertori (molto Shakespeare ma anche moltissimi melodrammi), come di occasioni per esprimere soprattutto se stesso, preoccupandosi in genere più del personaggio che stimolava la sua immaginazione che dell’eventuale complessità del testo. Furono per il loro tempo e per i luoghi nei quali si esibirono (l’Europa e le Americhe) degli autentici divi, che univano al magnetismo personale un’impressionante capacità di comunicare, anche oltre le barriere linguistiche, sentimenti forti e passioni squassanti. Della loro lezione, soprattutto di alta professionalità e di perfetta padronanza tecnica ed espressiva, avrebbero fatto tesoro nel XX secolo gli innovatori che affrontarono come mai in passato la figura dell’a. in tutte le sue implicazioni. Il primo, e il più significativo, fu Stanislavskij, le cui idee rimasero, anche per chi le contestava, l’inevitabile punto di riferimento di ogni riflessione sull’arte istrionica. Di quest’arte l’a. e regista russo scrisse insieme la grammatica e la sintassi, elaborando le esperienze fatte sul palcoscenico in quello che, non per caso, definì un `sistema’. Prima di lui c’erano stati i trattatisti della Commedia dell’Arte, il discorso ai comici di Amleto, le Regole per gli attori di Goethe, e poco altro, se si eccettua il geniale e provocatorio Il paradosso dell’attore di Diderot che apriva un dibattito destinato a durare: deve il commediante far prevalere la propria emotività o non piuttosto la tecnica, deve insomma immedesimarsi nel personaggio o fingerne le emozioni? Stanislavskij fece qualcosa di assolutamente nuovo, elaborando la prima e più compiuta analisi del processo creativo dell’a. Studiò dapprima «il lavoro dell’attore su se stesso», fondato sull’esplorazione, attraverso esercizi d’improvvisazione, delle proprie risorse psicologiche e immaginative (fu poi questa la base della versione americana del `sistema’, il cosiddetto `metodo’), poi «il lavoro dell’attore sul personaggio» nel quale assumeva particolare importanza la scoperta e l’espressione del `sottotesto’ cioè di quanto di significativo si nasconde sotto la superficie di un’opera drammatica, e concluse la sua indagine, iniziata intorno al 1906 e interrotta soltanto dalla morte, teorizzando l’importanza determinante delle azioni fisiche. La lezione di Stanislavskij, tuttora fondamentale per quanto concerne la didattica della recitazione, era soprattutto valida per un repertorio di tipo realistico, quale era venuto a svilupparsi a partire dalla metà dell’Ottocento. L’a. era visto come un interprete che doveva dar corpo ai personaggi ideati da un drammaturgo identificandosi in loro. Ma non lo facevano, per esempio, gli attori di varietà, e neppure i mimi, riportati sulle scene, un secolo dopo i trionfi di Deburau, dall’appassionata predicazione di Decroux. Non lo facevano insomma quei teatranti che, estranei per cultura e tradizioni ai canoni del realismo, consideravano il corpo e i suoi gesti, e anche la voce e le sue tonalità, non soltanto strumenti espressivi, ma l’essenza stessa della loro professione. Come i comici dell’arte e come gli a. dei teatri orientali che cominciavano a farsi conoscere anche in Occidente, esercitando un’influenza determinante sui teorici e sugli artisti che cercavano di trasferire sui palcoscenici il messaggio di quella rivoluzione antinaturalistica già avvenuta nelle altre arti. Il primo fu Gordon Craig, che elaborò il concetto di Übermarionette , auspicando un a. che non imitasse ma indicasse e una recitazione impersonale e simbolica, con l’impiego di maschere e con gesti e movimenti fortemente stilizzati. Le sue idee influirono sulla `biomeccanica’ di Mejerchol’d (una tecnica per suscitare emozioni attraverso l’attività fisica) e, indirettamente, sulla teoria brechtiana dell’a. epico che, rifacendosi esplicitamente alle idee di Diderot oltre che alle tecniche del teatro cinese, doveva approdare a uno stile freddo e oggettivo in grado di isolare e comunicare determinati comportamenti sociali senza coinvolgimenti emotivi. Tutti questi innovatori, da Stanislavskij in avanti, continuavano sostanzialmente a vedere nell’a. soprattutto un interprete di testi. Un’alternativa radicale venne proposta da Artaud, in scritti teorici redatti negli anni Trenta e considerati stimolanti ma fondamentalmente utopistici fin oltre la metà del secolo. Il teatro da lui auspicato non si basava sul testo ma sulla messinscena, e richiedeva che l’a. si servisse della propria corporeità e dei propri fantasmi per recuperare quella violenta e sconvolgente verità metafisica che il mondo moderno aveva perduto e per entrare in comunicazione non con la razionalità dello spettatore ma con i suoi nervi e il suo cuore. In questi teorici, ma anche negli apporti delle arti figurative e della danza, si possono trovare le radici delle esperienze teatrali più avanzate degli ultimi decenni del secolo. Con Grotowski e con Kantor, con Barba e con Wilson, col Living Theatre e con Brook, per citare soltanto alcuni nomi, un certo tipo di a. occidentale si staccò completamente dai modelli precedenti per diventare autore a pieno titolo dello spettacolo, la cui creazione passava per la sua fisicità, divenuta espressiva attraverso un lungo lavoro di improvvisazione e approdava a un teatro la cui ragione d’essere si esauriva in se stesso, cancellando il testo scritto o riducendolo a un mero punto di partenza da elaborare autonomamente per suscitare nello spettatore turbamenti ed emozioni.

Almirante

Figlio d’arte, ebbe una rapida ascesa accanto ad alcuni fra i più importanti attori del primo Novecento (A. Sainati, C. Dondini, G. Tumiati). Fu caratteristica la sua recitazione sillabata. A partire dal 1921 entrò nella Compagnia diretta da D. Niccodemi, dove si distinse soprattutto nel ruolo del Padre nei pirandelliani Sei personaggi in cerca d’autore , ma anche in ruoli minori quali quello di Succianespole ne Gli innamorati di Goldoni. Nel 1928 diede vita con la Rissone e Tofano a una sua formazione, nella quale recitò anche la sorella Italia Almirante Manzini. Svolse per la stessa compagnia anche attività di regista o di `inscenatore’ come si diceva allora (Marco Praga lo definì: «maestro di disciplina scenica»). Fu successivamente nella Tofano-Pagnani-Besozzi, e di Tofano fu il brillante interprete delle sue pièce legate al personaggio del Signor Bonaventura. Vasto il repertorio di A.: fra i classici recitò anche Volpone di Ben Jonson; spaziò dagli autori francesi (Sardou, Capus, Aimée, Achard) ai nuovi autori italiani, ivi compresi Fausto Maria Martini, Luigi Antonelli, Sabatino Lopez, Luigi Chiarelli ( Fuochi d’artificio ). Più che sul versante drammatico fu buon interprete nel genere comico, al quale recò grande duttilità. Al sorgere a Roma dell’Accademia d’arte drammatica tenne la cattedra di recitazione. Nel 1948 fu nel cast, tutto grandi nomi, di Rosalinda (Come vi piace) di Shakespeare con la regia di Visconti. Soprattutto negli anni a cavallo del periodo bellico si dedicò anche al cinema (fra gli altri: Batticuore , Il cappello da prete , Scampolo ).

Achternbusch

Dopo un’infanzia trascorsa nella foresta bavarese presso la nonna, segue i corsi di pittura di Gerhard Wendland all’Accademia di Norimberga, guadagnandosi da vivere con lavori occasionali; apre quindi uno studio ad Ambach, sullo Starnbergersee. La sua produzione, che egli considera simile a quella di un poeta maledetto, comprende, oltre all’opera in versi, anche, teatro e sceneggiature cinematografiche. Mette in scena i suoi testi (autobiografici), dipinge, gira e produce i suoi film. Vince diversi premi, tra i quali, nel 1986, il Mühlheimer Dramatikerpreis per il testo teatrale Gust, col quale, nel corso dello stesso anno, viene invitato a Berlino nell’ambito degli Incontri Teatrali. Herbert Achternbusch, in opere quali Ella (1978), Susn (1980), Plattling (1982), Der Stiefel und sein Socken (1993), crea metafore di follia quotidiana abitate da figure insolite in un gioco antinaturalistico che fa emergere l’assurdità del reale.

Aldous

Iniziati gli studi di balletto a Sidney, dal 1955 al ’57 Lucette Aldous si perfeziona alla Royal Ballet School da cui passa direttamente al Ballet Rambert in veste di solista. Dal 1958 al 1963 è nominata prima ballerina, ruolo che mantiene in altre compagnie: il London Festival Ballet (1963-66), il Royal Ballet (1966-70), l’Australian Ballet (1971-77). Di temperamento vivace e tecnica agguerrita primeggia in ruoli brillanti come Swanilda in Coppélia e Kitri in Don Chisciotte , che interpreta anche nella versione filmata a fianco di Rudolf Nureyev (1973). Ritiratasi dalle scene nel 1983, diventa maître de ballet dell’Australian Ballet.

Antunez Roca

Fondatore storico del gruppo La Fura dels Baus (1979) e successivamente di `Error genetico’ e di `Los Rinos’ assieme a Sergej Jorda. Nel 1993 Antunez Roca Marcelli realizza Joan l’hombra de carne , una specie di Frankenstein o freak circense ricoperto interamente da pelle di maiale, munito di ricettori elettrici che permettono sotto stimoli acustici di muoverlo. Con Epizoo (da epizootia, malattia diffusa per contagio da parassiti su varie specie di animali) l’artista crea una performance-installazione interattiva in cui il suo corpo, sopra una piattaforma rotante, è un `bondage tecnologico’ fatto di meccanismi metallici e pneumatici, fili e pinze inseriti sui suoi glutei, sulle narici e orecchie. Tale apparato è connesso a un sistema di elettrovalvole e al computer, sulla cui tastiera il pubblico digita gli stimoli azionanti le leve che deformano parti del corpo di Antunez Roca Marcelli; su uno schermo alle sue spalle ci sono le infografie generate dal computer, con dodici differenti rappresentazioni virtuali del suo corpo. Epizoo pone tematiche molteplici e scottanti: la sessualità neutra, anonima e telematica; l’intrusione dell’inorganico come strumento di tortura e piacere sado-masochistico di una nuova mappatura antropologica del corpo umano; nuove forme di controllo bio-politico e amplificazione sensoriale.

Adret

Françoise Adret ha studiato con Susanne Kiss e Gorvski. Dal 1954 al 1958 ha lavorato con Petit all’Opéra di Parigi. Successivamente ha intrapreso una carriera internazionale esibendosi in vari teatri europei (Nizza, Zagabria). Con il Ballet Théâtre Contemporaine è stata eccellente protagonista di audaci e importanti lavori moderni (Aquathéme, Eonte, La follia d’Orlando). La sua carriera si è poi indirizzata su altri versanti: maître de ballet e direttrice di compagnia. Con energia e intelligenza, dal 1986, ha guidato per alcuni anni il balletto dell’Opéra di Lione. Come coreografa ha firmato varie opere su musiche di compositori contemporanei (Ligeti, Xenakis e altri).

Amboise

Allievo dell’American Ballet, Jacques d’Amboise ha debuttato nel 1947 in Pastorella di Christensen con il Ballet Society. Subito dopo passava al New York City Ballet, diventandone uno dei più prestigiosi danzatori. Dotato di una tecnica senza eguali, capace di straordinari virtuosismi, ha brillato soprattutto nei lavori di Balanchine (The Four Temperaments , Fanfare , Interplay); particolarmente apprezzato per la sua foga sicura e tranquilla in Western Symphony , dove è riuscito a evocare i movimenti indiavolati di un cowboy senza spezzare i delicati equilibri della danza classica. Fece sensazione anche la sua interpretazione, accanto a T. Leclercq, ne L’après-midi d’un faune (versione Robbins), celebrata per l’intensità drammatica e lo charme, a un tempo moderno e primitivo, conferito al personaggio.

Alloisio

Il primo spettacolo di successo di cui firma le musiche è Ultimi viaggi di Gulliver con la regia di Giorgio Gaber (1981). Poi vengono Una donna tutta sbagliata (1983-84) e Aiuto sono una donna di successo con Ombretta Colli e, nel 1987, In principio Arturo creò cielo e terra di e con A. Brachetti. Nel 1989 approda al Sistina di Roma con A che servono gli uomini per la regia di Garinei. Nel 1990 inizia la collaborazione come autore delle musiche per il Teatro della Tosse di Genova con Il Mistero dei Tarocchi, e nel 1991 Masque degli ultimi giorni dell’anno regia di Nicholas Brandon. Di seguito: Senti-mentale (1992) a Torino al Teatro Alfieri, Scena nuda (1992), Rossella e Manolito, L’albero del cacao anche questi del 1992. Nel 1994 è anche interprete di Giullarata sacra. Francesco, Dieu et rien d’autre ; compone poi canzoni e musiche di scena per Ubu chantant (1995), Shakespeare – Il sogno dentro un sogno (1996), Inferno, inferni (1996). Sempre del 1996 è il recital La rivoluzione c’è già stata (scritto e interpretato) e del 1997 sono Guerrieri felici e MaLaVita eterna , tutti e due con il Teatro della Tosse. Nel 1998 è impegnato in Disagio cosmico, disagio comico. Alloisio ha scritto, inoltre, sceneggiature per la radio e la televisione.

Adjani

Nata da padre algerino e madre tedesca, dimostra fin da giovanissima una naturale inclinazione alla recitazione. A quattordici anni compare nel suo primo film ( Le petit Bougnat ) e nel 1975 viene scelta da F. Truffaut come protagonista di Adele H., una storia d’amore , dove fornisce una straordinaria interpretazione che le vale una nomination all’Oscar. Seguono, fra gli altri: L’inquilino del terzo piano di R. Polanski (1976), Nosferatu, il principe della notte di W. Herzog (1979), Possession di A. Zulawski (1981), con il quale vince la Palma d’oro a Cannes; più di recente ha interpretato La regina Margot di P. Chéreau (1994) e Diabolique (1996) a fianco di S. Stone. Tra le sue rare apparizioni teatrali è da segnalare il debutto alla Comédie-Française con La scuola delle mogli di Molière (regia di P. Dux, 1972) e il ritorno, due anni dopo, con Port-Royal e nel 1983 con La signorina Giulia di Strindberg.

Archaos

Fondata nel 1986 dall’artista di strada Pierric `Pierrot Bidon’ Pillot e da una costola del Cirque Bidon, con l’aiuto del regista belga Franco Dragone. Il circo A. si caratterizza per ricreare i numeri classici di acrobati, giocolieri e trapezisti in un’estetica post-industriale, tra auto demolite, esplosioni, motociclisti, personaggi alienati e orchestre dal vivo che vanno dall’hard-rock al rap. Gli spettacoli, di proporzioni considerevoli e concepiti per grandi spazi, affrontano tematiche legate al quotidiano metropolitano degli anni ’90, ispirandosi con ironia anche alla violenza urbana e all’estetica pulp. Gli artisti provengono da scuole di circo di tutto il mondo. Il circo A. enfatizza lo spirito di gruppo e respinge i riferimenti a qualunque tipo di tradizione. Seppur puramente circensi, gli spettacoli hanno una struttura drammaturgica definita. Tra i più celebri spettacoli di A.: Metal Clown (1991), Game Over (1995). Il circo A. è uno dei più popolari del mondo. Compie regolari tournée in Francia, Regno Unito, Germania, Spagna, Australia, e Brasile, dove nel 1997 ha creato una scuola di circo.

Annecchino

Tra i più attivi autori di musiche per il teatro e la danza, Annecchino Arturo ha lavorato per le maggiori compagnie (la Comunità, Cooperativa Attori e Tecnici, compagnia Glauco Mauri) e per gli Stabili (Piccolo di Milano, Genova, Roma). Per Sosta Palmizi ha scritto le musiche di scena de Il cortile (Premio Ubu 1985). Ha musicato e registrato per la Rai i poemi di García Lorca e, con il musicista S. Rendine, ha composto l’opera radiofonica Alice (1987), tratta da L. Carroll, sulla quale Lindsay Kemp ha creato lo spettacolo omonimo. Sempre del 1987 è l’opera Una notte di gioia (libretto di Ubaldo Soddu) che è andata in scena al Cantiere d’Arte di Montepulciano. Peter Stein, nel 1989-90, gli ha commissionato le musiche di scena per Tito Andronico. Ha scritto poi le musiche per lo spettacolo Le quattro porte del deserto , regia S. Tessitore (1992). Partecipa nel 1994 al Festival del cinema ritrovato di Bologna, accompagnando al pianoforte alcuni film d’inizio secolo, rimasti per decenni negli archivi. Nel 1997 compone le musiche per Le dame de chez Maxim di G. Feydeau, regia di A. Arias, con M. Melato e La trilogia della villeggiatura di C. Goldoni, regia di M. Castri.

Agus

Considerato ‘spalla ideale’ da tutti i comici con cui ebbe occasione di lavorare, spesso fu accanto a Wanda Osiris che ne lodava il tratto signorile, Gianni Agus forse si raccomanda alla memoria collettiva per l’interpretazione televisiva del sadico capufficio di Fracchia-Villaggio in bilico su una poltrona-cuscinone. Ma nel corso della sua lunga carriera Agus seppe fornire ragguardevoli prove nel teatro `leggero’, dalla rivista al varietà alla commedia musicale, attraversando i vari generi e adattandovisi con talento. In Si stava meglio domani , rivista sontuosa del primo dopoguerra (1946-47) con Wanda Osiris che cantava “Ti parlerò d’amor”, Agus, in duetto con la soubrette, affrontava audaci non sense a doppio senso come «Voglio fare come fanno al Mississippi/dove ognuno va diritto ai propri scopi». Nella stagione 1948-49 fu accanto alla Osiris in Grand Hotel di Garinei e Giovannini, con la Wandissima che scende le scale più lunghe della sua carriera intonando “Sentimental”; nella stagione successiva (1949-50) in Sogni di una notte di questa estate con Rascel e la Osiris, Agus duetta, applauditissimo, con Dolores Palumbo. Nella stagione 1950-51, sempre per Garinei e Giovannini, è in Il diavolo custode, con Wanda Osiris, senza scale, nel ruolo di Elena di Troia. Nel cast, Enrico Viarisio, Raffaele Pisu e, per la prima volta dall’Inghilterra, il balletto delle Bluebell. In quello spettacolo, Agus era Renzo in una parodia dei Promessi sposi . Nella stagione 1951-52, sempre con la Osiris, è in Galanteria di Michele Galdieri. Nella stagione seguente, 1952-53, ancora una rivista di Galdieri La gioia con Carlo Dapporto. Nel 1961 s’era distinto in un bel ruolo del film Il federale di Luciano Salce, con Ugo Tognazzi alla sua prima impegnativa prova cinematografica.

Nel dopoguerra, la gente fatica a mettere insieme i soldi per pranzo e cena e allora le riviste in teatro dovevano essere sontuose, doviziose, kolossal, per offrire tre ore di evasione. Nella stagione 1947-48, Garinei e Giovannini realizzarono Domani è sempre domenica, un allestimento da quarantacinque milioni, con la Osiris che usciva come Venere da una conchiglia di madreperla, con Enrico Viarisio, Enzo Turco e Agus che arrivavano in palcoscenico su un’auto Volpe e due Vespe fiammanti. Nel 1954-55, A. partecipò alla commedia musicale di Garinei e Giovannini Giove in doppiopetto, con Dapporto, la rivelazione Delia Scala e la soubrettina Franca Gandolfi applaudita nel quadro “Quanto è buono il bacio con le pere”, soubrette e `seconda donna’, Lucy D’Albert, in coppia con la Scala. Lo spettacolo venne replicato per due stagioni consecutive, un primato. In Gran baldoria, stagione 1952-53, con la Osiris, il Quartetto Cetra, Enzo Garinei, Agus era impegnato in uno sketch intitolato “ra il sì e il no c’è il ma”: accolto freddamente dal pubblico, venne `tagliato’ dopo il debutto. Dopo i successi in teatro, Agus passò stabilmente in televisione, partecipando a molte trasmissioni di successo; nel 1967 accanto a Peppino De Filippo `Pappagone’ nella Canzonissima definita Scala reale; e toccò a lui presentare il Festival di Sanremo nel 1958, l’anno di Domenico Modugno e di “Volare”. Concluse la sua carriera da dove era partito, dalla prosa, memore degli esordi nella compagnia di Elsa Merlini e, per cinque anni, di Ruggero Ruggeri. Da ricordare il ruolo di Tiger Brown in L’opera da tre soldi di Brecht al Piccolo Teatro, regista Giorgio Strehler, nella riedizione, del 1973, con Domenico Modugno e Lamberto Laudisi in Così è (se vi pare) di Pirandello diretto da G. Sepe (1983). Aveva conosciuto e sposato, nel 1952, la soubrette austriaca Lilo Weibel, avendone un figlio, Davide, nel 1959.

ammaestratori di animali

L’ammaestramento si è sviluppato nel Novecento da semplice esibizione di animali a un codice completo di esercizi e figure coreografiche tali da permettere la composizione di numeri organici. Nella prima metà del secolo la filosofia dell’a. è quella di stampo coloniale, del dominio dell’uomo sulla natura, con l’enfasi della pericolosità delle belve e della temerarietà del domatore, con il tipo di addestramento detto `in ferocia’ enfatizzato da schiocchi di frusta e spari a salve. In tale stile si distinguono negli anni ’30 gli americani Clyde Beatty e Frank Buck o gli europei Court, Krone e Schneider. Per quanto riguarda invece animali non feroci, fino a poco tempo fa gli a. puntavano sull’umanizzazione di specie come cani o scimmie con abiti umani, strumenti musicali, uno stile popolarizzato già ai primi del secolo dal russo Durov, vedette delle Folies-Bergère. Nel dopoguerra, grazie soprattutto alla scuola di Gilbert Houcke (a cui fanno capo talenti come Chipperfield, Steibner, Baumann, Michon, Gebel e più di recente Strickler, Jenny, Campolongo, Smith), emerge l’addestramento detto `in dolcezza’, in cui con pazienza e psicologia e spesso in collaborazione con etologi, si sviluppa il rapporto di fiducia tra uomo e belva non più catturata ma nata in cattività e quindi un tipo di esibizione più naturale e artistica. Sullo stesso stile, ma nel campo dell’addestramento di elefanti emerge il talento dello svizzero Rolf Knie, caposcuola del genere. I migliori addestratori contemporanei di elefanti sono Louis Knie (figlio di Rolf), Gunther Gebel-Williams, Flavio Togni e Patricia Zerbini. Gli svizzeri Gasser e Duss hanno fatto invece notevoli progressi nell’ultimo ventennio nello sviluppare il rapporto pacifico tra l’uomo e le otarie, con risultati importanti. Sacha Houcke jr. è invece considerato tra i migliori specialisti per animali delicati come zebre o giraffe. Dall’addestramento moderno sono invece in via di sparizione esibizioni di animali come gli scimpanzé (vietati in Italia) e in generale gli esercizi lesivi della dignità animale. Nell’ultimo ventennio la tendenza dei proprietari di circo europei è quella di acquistare animali propri e quindi la maggior parte di tali impresari e delle loro famiglie si dedica direttamente all’addestramento di più specie animali. I migliori in Italia sono: Mario e Roberto Bellucci, Vinicio Canestrelli-Togni, Dario e Heros Casartelli, Paride Orfei, Stefano Orfei-Nones, Livio e Davio Togni, il già citato Flavio Togni.

arena

Popolare soprattutto in Italia fino agli anni ’50, l’a. permette a famiglie circensi di dare spettacolo all’aperto nei mesi estivi, senza dover acquistare un tendone, per poi rifugiarsi nei teatri di varietà o aggregarsi a circhi maggiori nei mesi freddi. Generalmente l’a. presenta numeri ginnici, comici e spesso equestri nella prima parte, ed una farsa comica o drammatica nella seconda. Questa variata giornalmente visto che le a. soliti ripetere le stesse piazze dove si trattengono a lungo. Per questo motivo sono radicate nei territori d’origine delle famiglie che compongono il gruppo di artisti. L’a. può essere chiusa da un pannello circolare per poter vendere posti a sedere o essere di libera fruizione dietro pagamento di una mancia. L’a. si rivela particolarmente congeniale per numeri spericolati a grande altezza: la più celebre in questo senso è l’Original Palmiri, fino alla prima metà del secolo. Ma anche altre grandi famiglie circensi italiane, come i Casartelli o i Nones, iniziano gestendo un’arena la propria attività. Forma embrionale dell’a. (e del teatro di strada) è il `postone’ o `posteggia’, in cui gli artisti `posteggiatori’ si esibivano in piazza per poi passare per la mancia, immagine immortalata da Fellini ne La strada (1954). L’a. è oggi una pratica quasi scomparsa grazie anche alle agevolazioni che lo Stato fornisce ai circhi per l’acquisto ed il rinnovo di attrezzature e tendoni adeguati. Ultimi esempi in Italia sono l’a. Colombaioni ed il Circo Bidone.

animazione, teatro di

o `di figura’ – come sempre più spesso negli ultimi anni lo si è definito, per distinguerlo dall’animazione teatrale – accomuna tutte quelle forme di spettacolo in cui i personaggi sono rappresentati da `figure’ o oggetti, costruiti con diversi materiali, anche attraverso congegni meccanici. Tale forma teatrale si perde nella notte dei tempi ed è diffusa in tutte le civiltà (ombre cinesi, `wayang kulit’ balinesi, bunraku giapponesi, marionette birmane); in quella europea le forme di a. più conosciute sono il burattino e la marionetta, spesso confuse tra loro, ma nettamente distinte per concezione, storia, repertorio e tecniche. Il burattino, più semplice da usare, è mosso direttamente dal braccio, mentre la marionetta è azionata dall’alto, grazie a fili o stecche fissate a volte al capo o agli arti dell’animatore, spesso situato su una specie di ponte in legno. Talora questo tipo di teatro è stato, in modo alquanto arbitrario, accomunato tout court con il teatro per ragazzi. Il teatro dei burattini, molto radicato nella tradizione popolare, si è incarnato in figure rappresentative, che in Italia variano di regione in regione e che possono essere divise in tre grandi zone: la tradizione bergamasca, l’emiliana e quella napoletana, anche se personaggi, spesso legati a maschere tipiche, sono presenti in molte altre località. Il teatro delle marionette, che ebbe grande successo soprattutto nell’Ottocento, ha stentato nel nostro tempo a radicarsi in modo autonomo, limitandosi spesso a copiare in piccolo il teatro d’attore; poche le eccezioni, tra cui esemplare è l’esperienza dei Colla. Un discorso a parte merita l’antico teatro dei pupi siciliani, che perdura ancora oggi e che porta in scena l’epopea del mondo carolingio seguendo stilemi ormai consolidati. Molta fortuna nello spettacolo contemporaneo ha anche il t. d’a. che usa i pupazzi, non solo per l’enorme impiego che ne ha fatto la televisione, ma anche per il diffondersi del teatro su nero, dove l’animatore, spesso a vista, muove i pupazzi come se fossero un proprio alter ego. Infine molti autori, gruppi d’avanguardia e non, hanno usato il teatro di figura, a volte con oggetti, in modo altamente espressivo: basterà citare Beckett, Kantor o il Bread and Puppet. Abbastanza numerosi sono i festival che in Italia si occupano di t. d’a.: il più antico e per certi versi il più importante è `Arrivano dal mare’, manifestazione che il Centro Teatro di Figura organizza dal 1975 a Cervia; altro festival internazionale di rilievo, sia pure più popolare, è quello delle `Figure animate’, nato a Perugia nel 1987 per merito di Mario Mirabassi del Teatro di Figura umbro. Al sud si svolgono invece a Castellammare di Stabia `Burattini nel verde’, ad opera della Compagnia degli Sbuffi, mentre a Palermo il maestro Mimmo Cuticchio organizza nel cuore della città la sua `Macchina dei sogni’. Piccoli per numero di spettacoli ma di grande interesse sono poi il `Festival dei grandi burattinai’ che Tinin Mantegazza anima al castello di Sorrivoli in Romagna, dove si incontrano grandi maestri e giovani allievi a imparare il mestiere, e `Assoli’, l’iniziativa che a Viguzzolo (vicino Tortona) riunisce ogni settembre i migliori operatori. Infine, di un certo rilievo è `Alpe Adria Puppet festival’, manifestazione diretta da Roberto Piaggio e organizzata a Udine a fianco del Mittelfest.

Avignone

L’idea di Jean Vilar – a cui è intitolata in città una casa che possiede tutti i copioni, gli scritti, i costumi, i cimeli, le lettere del maestro e che svolge un’intensa attività culturale per tutto l’anno – alla lunga risulta ancora quella vincente: sposare teatro e architettura, cercare nei luoghi all’aperto spazi privilegiati. All’inizio il Festival di Avignone ha come palcoscenico d’elezione la grande Corte d’onore del Palazzo dei Papi, dove ancora oggi si tengono gli spettacoli inaugurali e quelli più importanti preceduti da tre squilli di tromba. Ma nel tempo altri luoghi, come il celeberrimo Cloître des Carmes, sono diventati palcoscenici teatrali. Accanto al festival vero e proprio, che ha saputo trasformare l’intera città in un palcoscenico – basti ricordare le facciate delle case del centro che portano dipinti i ritratti dei maggiori attori che da A. sono passati, simili a personaggi affacciati a delle ipotetiche finestre – se n’è sviluppato un altro, off, il quale – una volta spontaneo, adesso con regole ferree di organizzazione, non ha nulla da invidiare a quello ufficiale. A tal punto che da qualche anno, in Place de l’Horloge, è nato addirittura un festival off-off che ruota attorno a quello che si può considerare il vero cuore pulsante della manifestazione. Come tutte le istituzioni anche questo festival, mentre è ancora direttore Vilar, subisce la contestazione del 1968. Anzi in questo caso la contestazione è duplice: ai giovani che chiedono un cambiamento, fa eco quello che sarà lo spettacolo-evento, lo spettacolo scandalo di quell’edizione, il Paradise now del Living Theatre con il suo messaggio rivoluzionario: il teatro deve lasciare i luoghi codificati e andare per le strade, fra la gente. Dalla morte di Vilar alla direzione del festival si sono succeduti diversi direttori, qualcuno magari migliore di lui dal punto di vista manageriale, ma nessuno con il suo carisma e la sua grandezza. Nel corso degli anni comunque il Festival di Avignone ha continuato a produrre grandi spettacoli, ospitando artisti da tutto il momdo. È qui, per esempio, che va in scena il Mahabharata di Peter Brook alla Cava di Boulbon. È qui che colgono significativi trionfi Béjart, Bausch e Carlson. È qui che Patrice Chéreau, allora direttore di Nanterre, presenta un Amleto destinato a girare mezzo mondo e recita in prima persona in Nella solitudine dei campi di cotone di Bernard Marie Koltès. Progettualità, capacità di pensare in grande, cospicui finanziamenti pubblici ma anche contributi privati, fanno ancora oggi del festival di A. un avvenimento di notevole ricchezza culturale malgrado l’evidente declino tipico di questo genere di manifestazione.

Ansaldi

Studia alla scuola di recitazione del Teatro stabile di Genova, con insegnanti Marco Sciaccaluga, Egisto Marcucci e Gian Maria Volonté. Nel 1980 è nel Processo della scrofa di Henri Deblue con la regia di Gino Zampieri e nell’ Opera assediata di Boris Stetka; ancora nel 1980 è tra i protagonisti di Happy End di Brecht, insieme ad Anna Nogara e Paolo Rossi, per la regia di Virginio Puecher. Nel 1981 è al Gerolamo di Milano nell’ Adalgisa di Gadda, in un adattamento e per la regia di Umberto Simonetta, autore che ne apprezza il talento e che lo dirige anche in Alcune domande di matrimonio . Parallelamente all’attività teatrale, le attitudini comiche lo portano in breve dal cabaret del Derby alla televisione ( Popcorn su Canale 5) e al successo cinematografico con Sapore di mare (1983) dei fratelli Vanzina. Lasciate le scene per un’altra professione nell’anno dei maggiori consensi, ha continuato comunque a recitare tornando al cinema nel 1992 con Portagli i miei saluti di Gianna Garbelli, presentato al festival di Venezia. Attore dall’ironia profonda ma non derisoria, è stato tra i primi a proporre una rivisitazione intellettuale dei luoghi comuni comici, interpretando un ruolo difficilmente sostenibile nel tramestio del cabaret nazionale.

Ananiašvili

Studia sino al 1974 all’Istituto coreografico di Tbilisi per poi passare a quello di Mosca, dove termina gli studi nel 1981, ed entrare nel corpo di ballo del Teatro Bol’šoj. Debutta nel ruolo della Fata nel Principe di legno e successivamente affronta tutti i ruoli del repertorio classico ( lago dei cigni , Giselle , Don Chisciotte , Raymonda , Romeo e Giulietta , La bella addormentata , Schiaccianoci ). Vince il primo premio ai concorsi internazionali di Varna (1980), Mosca (1981 e 1985), Jackson (1986). A partire dal 1988 è stella ospite delle principali compagnie internazionali: New York City Ballet, Balletto Reale Danese, Royal Ballet, Ballet National de Marseille Roland Petit. Ballerina dal temperamento lirico-romantico, la sua danza si distingue per la purezza e la bellezza esecutiva, per la leggerezza e l’ampiezza dei suoi jeté.

Annicelli

Di solida formazione tradizionale, dotato di uno stile e di una misura esemplari, Corrado Annicelli non riuscì mai a diventare un protagonista assoluto. E tuttavia arrivò, puntualissimo, all’appuntamento con alcuni degli spettacoli più emblematici del secondo dopoguerra napoletano dopo aver militato in compagnie primarie dalla Ferrari-Carini ( O di uno o di nessuno , 1930) alla Abba ( Come tu mi vuoi , 1953). Intanto, partecipò nel ’67 a quel Napoli: notte e giorno che, diretto da Patroni Griffi, può essere considerato, per parafrasare un’espressione corrente, come il `padre’ di tutti gli spettacoli su Viviani allestiti dopo la sua morte: A. v’interpretava il personaggio di Don Alfonso, l’accompagnatore e impresario del complessino di suonatori ambulanti de La musica dei ciechi . Fu poi un insinuante e ambiguo Giulio Genoino nell’altrettanto mitico Masaniello di Elvio Porta e Armando Pugliese. E, infine, mette conto di ricordare il personaggio del maestro di musica, marito in scena di Pupella Maggio, al quale diede vita – per la regia di Francesco Rosi – nella commedia dello stesso Patroni Griffi In memoria di una signora amica . Nel suo curriculum anche il teatro leggero, con alcune gustose caratterizzazioni al fianco di Nino Taranto.

Ari

Carina Ari ha studiato a Stoccolma e a Copenhagen con Fokine e ha danzato come ballerina principale nei Ballets Suédois dal 1920 al 1925. Autrice di alcuni balletti per l’Opéra-Comique (Valses di Brahms, 1933), ha interpretato la parte principale nel balletto di Serge Lifar Il Cantico dei Cantici (1938). La Fondazione istituita a suo nome è tuttora importante per la promozione e la divulgazione dell’arte della danza in Svezia, grazie alle creazione di borse di studio per giovani danzatori e riconoscimenti alla più importanti personalità del balletto internazionale.

Abatantuono

Diego Abatantuono nasce come cabarettista al Derby di Milano dove si impone a cavallo tra gli anni ’70 e ’80 con le sue irresistibili improvvisazioni e soprattutto nella Tappezzeria (assieme a Boldi, Porcaro, Faletti e altri), un originale spettacolo-contenitore scritto da E. Jannacci e B. Viola, poi portato anche in teatro.

Le sue due anime, quella pugliese delle origini e quella milanese della sua formazione, sono gli elementi fondamentali per la creazione dei suoi personaggi. Quello più popolare, il “terrunciello”, in cui convivono tradizionalismo e anticonformismo, ne decreterà il definitivo successo sia cinematografico (Fico d’India, I fichissimi e Eccezzziunale veramente; 1980, 1981 e 1982) che televisivo. Con una buona prova teatrale, che sottolinea invece i tratti più drammatici e sensibili, l’attore è un originale Sganarello nel Don Giovanni di Molière diretto da Mario Morini (1984). Ma è nel cinema che Abatantuono dà certamente il meglio di sé lavorando con registi come Luigi Comencini, Pupi Avati e Giuseppe Bertolucci.

La fama internazionale viene infine decretata dal sodalizio con Gabriele Salvatores con cui interpreta, tra gli altri, Mediterraneo , premio Oscar come miglior film straniero nel 1992.

Audiberti

Autore estremamente eclettico, in origine giornalista, Jacques Audiberti ha praticato con il medesimo agio prosa e poesia, teatro e romanzo: inoltre, un sostrato culturale diversificato (la cabala, le avanguardie surrealiste e dada), una grande ricchezza verbale dove si fa sentire l’influenza di Rabelais ed Hugo, non fanno che rendere più complesso un approccio sintetico alla sua opera. Tutta l’attività drammaturgica di Jacques Audiberti da Le mal court (1947) a La fête noire (1949), da La femme du boeuf (1949), fino a Dimanche m’attend (1964) potrebbe essere descritta come un’inesausta messa in discussione della realtà: Jacques Audiberti la definisce l’`incarnazione’ e vi identifica la maledizione primigenia, segno di un Cielo vuoto e di una Terra sede di tutti i dolori. Nulla e nessuno potrebbero modificare questa condizione: lo stesso sacrificio di Cristo non è servito (Le cavalier seul, 1955) e la fraseologia politica non dà vita che a rivoluzioni grottesche (La poupée ,1956). Indice di quel `ritorno del tragico’ di cui il teatro francese dell’immediato secondo dopoguerra nelle sue diverse tendenze, dall’esistenzialismo al teatro dell’assurdo, appare essere caratterizzato, l’opera di Jacques Audiberti trasmette tuttavia una mistica della redenzione esemplificata da un simbolismo di gusto quasi medievale; il quale, non potendo passare da altri canali, ormai distrutti dagli `acidi del pensiero’, passa attraverso la scrittura, il potere della parola, segno e immagine di una ricerca di assoluto.

Artaud

Figlio di un piccolo armatore francese e di una donna originaria di Smirne, Antonin Artaud comincia già a cinque anni a manifestare i sintomi della sofferenza mentale che determinerà tutta la sua esistenza. La sindrome meningitica e un successivo pericolo di annegamento sfociano verso i diciannove anni in una crisi depressiva che inaugurerà i suoi ripetuti soggiorni presso case di cura. Studia intanto presso il Collège du Sacré-Cœur di Marsiglia, dove dà vita a una piccola rivista letteraria sulla quale pubblica le prime poesie. Viene riformato nel 1917 per sonnambulismo. Su consiglio dei medici, che non intendono ostacolare il suo interesse per il teatro, si trasferisce a Parigi nel 1920. Nella clinica di Villejuif diventa redattore della rivista “Demain”. In questi primi mesi parigini incontra Lugné-Poe, Firmin Gémier, Charles Dullin e grazie a loro comincia a recitare: interpreta numerosi ruoli nelle produzioni dell’Atelier di Dullin e poi in quelle dei Pitoëff; tra i suoi compagni ci sono Etienne Decroux e Jean-Louis Barrault. Nel 1925 invia alcune poesie a Jacques Rivière, direttore della “Nouvelle Revue Française”, che non le accetta, ma propone in cambio di pubblicare la corrispondenza intercorsa tra i due: è una prima e illuminante testimonianza sul pensiero e sui procedimenti creativi di Artaud Ai disaccordi con Dullin si aggiunge il distacco per ragioni politiche dal movimento surrealista di Breton, al quale ha aderito e per il quale ha pubblicato L’ombelico dei limbi e Il pesa-nervi (1925). Abel Gance lo vuole interprete del Napoléon cinematografico nel ruolo di Marat (1926; ma sarà anche il monaco Massieu nella Passione di Giovanna d’Arco di Dreyer, 1928). Nel 1926, con Robert Aron e Roger Vitrac fonda il Théâtre Alfred Jarry. L’iniziativa è destinata a una vita precaria e fallimentare: quattro produzioni tra il 1927 e il 1929, tra cui Le partage de midi di Claudel, Il sogno di Strindberg e Victor, o i bambini al potere di Vitrac. Critica e pubblico colgono e rifiutano solo gli aspetti più superficiali delle proposte, ma proprio l’insuccesso dell’iniziativa è misura della diversità e della capacità di ridefinizione che il pensiero teatrale di A. comincia da allora a esercitare sulla scena europea.

Nel luglio 1931 assiste all’Esposizione coloniale di Parigi (padiglione delle Indie olandesi) allo spettacolo dei danzatori provenienti dall’isola di Bali. È per lui la visione rivelatrice, che «rimette il teatro sul piano di una creazione autonoma e pura, sotto la prospettiva dell’allucinazione e della paura». La reazione entusiastica svela infatti l’idea di «un nuovo linguaggio fisico a base di segni e non più di parole»: un teatro non più psicologico e letterario, qual è quello «degradato» dell’Occidente, ma un’esperienza della metafisica e del sacro che trasforma gli attori in «geroglifici animati» e fa del regista «un maestro delle sacre cerimonie». La recensione che Artaud stende dopo quello spettacolo, assieme ai manifesti del Théâtre Alfred Jarry e ai successivi scritti (nei quali sempre più drastica e consapevole si fa la critica all’Occidente), andrà a comporre uno dei testi teorici decisivi della scena del Novecento: Il teatro e il suo doppio (pubblicato nel 1938). Il doppio del teatro è la vita stessa di cui la `presentazione’, non la `rappresentazione’, può far scoprire «il vero spettacolo». Con questa vita la cultura occidentale ha perso il contatto e solo un teatro inteso come `peste’, che dissolve e purifica, che libera «un fondo di crudeltà latente», può rifondarlo o estinguerlo definitivamente. Al teatro della crudeltà si intitolano i manifesti del 1932-33 che preparano la fondazione di una seconda iniziativa: il nuovo Théâtre de la Cruauté trova spazio nella sala parigina delle Foliès-Wagram. L’inaugurazione del 1935, con I Cenci (che lo stesso A. trae da Shelley e Stendhal), è ancora una volta un insuccesso: diciassette rappresentazioni, dopo le quali lo spettacolo è sospeso. Negli anni successivi Artaud fa perdere le proprie tracce e allenta i contatti con il mondo esterno. Si reca in Messico, quasi senza denaro, e nei villaggi indios compie l’esperienza del peyotl (di cui riferirà poi nel volume Al paese dei Tarahumaras , pubblicato nel 1945).

Lo coinvolgono sempre più intensamente le conoscenze esoteriche, l’astrologia, il linguaggio dei tarocchi. Durante un viaggio in Irlanda (1937) viene arrestato e recluso per vagabondaggio; è subito rimpatriato e internato. In numerose lettere chiede soccorso e denuncia i trattamenti durissimi a cui viene sottoposto. I familiari ottengono che sia trasferito a Rodez, in una zona della Francia non occupata dai tedeschi, nel cui ospedale psichiatrico si pratica l’arte-terapia, ma anche l’elettrochoc (gli costerà la frattura di due vertebre). Le lettere che scrive e i piccoli quaderni di scuola che comincia a riempire sono la testimonianza visionaria di una personalità attraversata dal respiro crudele e liberatorio della follia. Aiutato da uomini di teatro e amici, lascia Rodez (1946) e accetta di tenere una conferenza al Vieux-Colombier (che interrompe nel mutismo). Dalla visita a una mostra di Van Gogh trae inoltre lo spunto per Il suicida della società (1947). Consumato fisicamente da un tumore (che egli lenisce con oppio, laudano e cloro), prepara una trasmissione radiofonica nella quale orchestra parole, urla, rumori sulla base del testo Per finirla con il giudizio di Dio . Prevista per la sera del 2 febbraio 1948, la trasmissione è sospesa d’autorità, scatenando una clamorosa campagna di stampa; verrà diffusa tre settimane più tardi per un pubblico ristretto di invitati. Vi si ascolta l’ultima voce di Artaud Il 4 marzo è trovato morto, seduto ai piedi del letto. La dichiarazione del decesso viene resa al comune di Ivry da un operaio delle caldaie.

Antoni

È nota per le sue performance di spaesamento e di critica all’interno della imagerie cosmetica della pubblicità e della televisione dove la donna è una provocante bambolona-feticcio sessuale servile e stupida. A. non agisce attraverso una violenza parossistica performatica, tutto è dispiegato in gesti minimali, automatismi reiterati, banali e di una nevrosi quotidiana (leccare, mordere): Gnaw (1992) A. morde due cubi di strutto e cioccolato (Chocolate Gnaw e Lard Gnaw) di 270 kg e con i quali, alla fine, modella cuoricini di cioccolato e rossetti per labbra; Lick & Lather (1993), opera costituita di 14 busti-autoritratti (7 di cioccolato e 7 di sapone) a cui l’artista elimina leccandoli gli occhi, le orecchie e la bocca; Eureka (1993) imbragata, viene immersa dai collaboratori in una vasca da bagno colma fino all’orlo di strutto, e quest’ultimo che fuoriesce durante l’immersione è utilizzato per fabbricare un cubo di sapone che le serve per lavarsi; Slumber (1994), al Kunsthaus di Zurigo, A. dorme su un letto ed è collegata a degli elettrodi che registrano la sua attività cerebrale che, tramite uno speciale decodificatore, viene trasmessa a un telaio che tesse una lunghissima `coperta di sogni’ dell’encefalogramma (per esempio, la fase Rem si materializza in un filo colorato); Loving Care (1995) l’artista immerge la testa in un grande contenitore con tintura di capelli e pulisce con essi il pavimento della galleria.

Antonioni

Durante gli studi universitari (laurea in Economia e commercio) compie le sue prime esperienze artistiche fondando, con alcuni amici, un gruppo teatrale. Nel 1939 lascia Ferrara per Roma, dove diventa redattore della rivista “Cinema” e frequenta per alcuni mesi il Centro sperimentale di cinematografia. Nel 1950 realizza il suo primo lungometraggio, Cronaca di un amore ; dopo aver girato I vinti (1952), La signora senza camelie (1953) e Le amiche (1955), nel 1957 esce Il grido che, nonostante il Premio della critica al festival di Locarno, non è un successo. Per A. comincia così una breve parentesi teatrale: insieme a Monica Vitti, Giancarlo Sbragia e Virna Lisi fonda una compagnia con cui mette in scena un suo testo, Scandali segreti (1957), e I’m a Camera di John Van Druten (1957). Sciolta la compagnia, A. ritorna al cinema producendo i suoi lavori migliori, a cominciare dalla celebre `trilogia’ ( L’avventura , 1959; La notte , 1961; L’eclisse , 1962), cui seguiranno Deserto rosso (1964), Blow-up (1966), Zabriskie Point (1970) e Professione reporter (1974). A. recentemente, con l’aiuto dell’amico Wim Wenders, ha realizzato Al di là delle nuvole (1995).

Adami

La notorietà di Giuseppe Adami scoppiò nel 1935 dopo il successo di Felicita Colombo e Nonna Felicita, grazie alla straordinaria interpretazione di Dina Galli. Fu autore prolifico, scrisse oltre quaranta commedie di scarso valore artistico; qualche rifacimento, come La Ninetta del verziere, Arlecchino, La donna serpente; ma fu soprattutto autore di libretti d’opera e di operette. Ricordiamo La rondine; Il tabarro, scritti per Puccini; La via della finestra, per Zandonai. Insieme a Simoni, scrisse Turandot, sempre per Puccini. Alternò l’amore per la commedia teatrale con quello per la commedia musicale; inoltre, nelle vesti di storico, scrisse Giulio Ricordi e i suoi musicisti, Il romanzo della vita di Puccini. Curò e raccolse anche l’Epistolario di Puccini e i Ricordi di Dina Galli. La sua produzione fu talmente vasta che ancora oggi esistono dei testi non rappresentati.

Arletty

Emblema della parigina non raffinata, ma spregiudicata, dotata di spirito e fascino, Arletty, operaia e poi indossatrice, debutta sul palcoscenico dei Capucines nel 1920. Specializzata in ruoli brillanti, eccelle nell’operetta, la rivista e la commedia (Fric Frac di Bourdet, 1936), grazie anche alla sua indiscussa bellezza. Tenta il dramma, ottenendo grande successo nel 1949 con Un tram che si chiama desiderio di T. Williams, nella celebre riduzione francese di J. Cocteau. Il cinema immortala il suo volto, simbolo di un’avvenenza sicura e aggressiva; le migliori prove nascono dalla collaborazione con Marcel Carné, che la dirige in Alba tragica (Le jour se lève, 1939), L’amore e il diavolo (Les visiteurs du soir, 1942) e soprattutto in Amanti perduti ( Les enfants du paradis , 1945), dove interpreta la sensuale Garance accanto a Jean-Louis Barrault.

Amodio

Allievo della Scala, Amodio  Amedeo è entrato in seguito nel corpo di ballo del teatro, diventando primo ballerino; passato all’Opera di Roma, vi ha compiuto le prime esperienze di coreografo. Nel 1972 ha creato L’après-midi d’un faune per Spoleto e per la Scala; per quest’ultimo teatro ha inoltre approntato Ricercare a nove (musica di Vivaldi, 1975), Lo schiavo morente (musica di G. Arrigo, 1975) e Oggetto amato (musica di Bussotti, 1976). Dal 1979 al 1995 è stato direttore dell’Aterballetto di Reggio Emilia, per il quale ha realizzato molte produzioni: ricordiamo fra le altre Mazapegul (musica di Corghi), Romeo e Giulietta (Berlioz), A sud di Mozart (Bennato-D’Angiò). È autore di nuove letture di classici di repertorio come Lo schiaccianoci , Il cappello a tre punte di Falla, Coppélia di Delibes, Sogno di una notte di mezza estate di Mendelssohn. Dal 1997 è direttore della compagnia di balletto dell’Opera di Roma. Come attore cinematografico ha preso parte ai film di Liliana Cavani Il portiere di notte e Al di là del bene e del male . Ha cercato di coniugare le sue radici accademiche con suggestioni di danza di ispirazione soprattutto americana.

Anselmi

Figlia d’arte, debuttò fin da bambina, nella compagnia di cui era capocomico il padre Alessandro. Giovanissima, grazie alla maestosa corporatura, si evidenziò come caratterista, capace di recitare a soggetto, come farà quando, nel 1914, verrà scritturata nella Compagnia di Angelo Musco. Prima aveva recitato nella compagnia diretta da Nino Martoglio e in quella di Mimì Aguglia, che seguì anche all’estero. Certamente la sua fortuna artistica la si deve all’incontro con Musco, con il quale interpretò Martoglio, Savarino e successivamente Russo e Giusti, autore di Gatta ci cova che divenne anche un grande successo cinematografico, sempre con Angelo Musco e la regia di Righelli, che la diresse anche nel Feroce Saladino . La sua vena comica scaturiva da un genere nuovo di umorismo dovuto al contrasto tra un personaggio serissimo, in antitesi con i personaggi interpretati da Musco. Ha lavorato fino a tarda età, facendo compagnia con Michele Abbruzzo.

Asti

Di talento versatile, Adriana Asti debutta nel Miles gloriosus di Plauto (1951), per la regia di Fantasio Piccoli, ma diventa presto famosa grazie a Visconti che la vuole in Il crogiolo di A. Miller (1955), nel capolavoro Rocco e i suoi fratelli (1960) e in Altri tempi di H. Pinter (1973). Nella intensa attività di attrice ha interpretato molteplici ruoli, da Goldoni – è nella edizione del 1952 di Arlecchino servitore di due padroni , regia di Giorgio Strehler -, a Pirandello (Questa sera si recita a soggetto, regia di Vittorio Gassman, 1961; Vestire gli ignudi , regia di G. Patroni Griffi, 1966; Come tu mi vuoi , regia di Susan Sontag, 1979). Si ricorda la sua presenza in Noi moriamo sotto la pioggia , di Enzo Biagi, regia di Fantasio Piccoli, con Romolo Valli (1951); Veglia la mia casa, angelo , da T. Wolfe, regia di L. Visconti (1958), Ti ho sposato per allegria , di N. Ginzburg, regia di Luciano Salce (1966), Orlando furioso , regia di Luca Ronconi (1969), Rosa Luxemburg , di L. Squarzina e V. Faggi (1976); Santa Giovanna , di G.B. Shaw, regia di Luca Ronconi (1982), Giorni felici di Beckett, regia di Mario Missiroli (1983), L’inserzione di N. Ginzburg, regia di G. Ferrara (1969 e 1989), La Maria Brasca di A. Testori (1992, premio Eleonora Duse) e Tre uomini per Amalia di Cesare Musatti (1994). Adriana Asti divide la sua vita tra Roma e Parigi, dove lavora frequentemente come attrice, recitando in francese diretta, tra gli altri, da Pier Luigi Pizzi e Alfredo Arias. Nel corso della sua lunga e ricca carriera ha girato oltre quaranta film, diretta, fra gli altri, da B. Bertolucci, De Sica, Pasolini e Bolognini.

Argyle

Pearl Argyle ha studiato con Marie Rambert, cominciando a danzare col suo piccolo gruppo nel 1926. Si è pure esibita con Les Ballets (1933), con la Camargo Society e col Vic-Wells Ballet. Ha creato numerosi ruoli in balletti di Ashton, tra cui Capriol suite, Façade, Valentine’s Eve e Le baiser de la fée . È stata protagonista in Mermaid e Cinderella di Andrée Howard e in balletti di ee Valois, compresi Bar aux Foliès-Bérgère e The Gods Go A-Begging . È stata interprete di ruoli principali per Balanchine (L’Errante , 1933) e Tudor: Atalanta of the East (1933), The Planets (1934), The Descent Of Hebe (1935). Non particolarmente dotata sotto il profilo tecnico, è ricordata soprattutto per la straordinaria bellezza, la grazia e il fascino personale.

Aterballetto

Dopo il progetto pilota della Compagnia di Balletto dei Teatri dell’Ater, guidato dal 1977 al 1979 da Vittorio Biagi, Aterballetto nasce nel 1979, come prima compagnia stabile di balletto italiana al di fuori degli enti lirici con la direzione artistica di Amedeo Amodio e, dal 1991, fa parte del Centro regionale della danza costituito dal Comune di Reggio Emilia, la Regione Emilia Romagna e dall’ Ater Composta da una ventina di ballerini formati alla danza classica, tutti di livello solistico, negli anni si è imposta in campo nazionale e internazionale per notevole qualità tecnica e brillante versatilità stilistica e per il vasto repertorio coreografico, prevalentemente incentrato sulle varie tendenze della coreografia del Novecento e caratterizzato da riprese storiche, novità e `prime italiane’ di autori come Léonide Massine (Parade), Roland Petit (Le jeune homme et la mort), George Balanchine (Agon, Raymonda pas de dix, Allegro Brillante), Antony Tudor (Lilac Garden), Glen Tetley (Sphynx , Mythical Hunters), Alvin Ailey (The river, Night creatures , Escapades ), William Forsythe (Love songs , Steptext , Four point counter), Kenneth Mac Millan (Verdi quartet), Lucinda Childs (Octet ), cui si affiancano numerose creazioni di Amodio. Dal 1997 diretta da Mauro Bigonzetti si sta caratterizzando come compagnia d’autore.

Achard

Di famiglia contadina, dopo essere stato maestro elementare e per breve tempo giornalista, Marcel Achard debuttò in teatro nel 1922 con Celui qui vivait sa mort. Il successo tuttavia dovette incontrarlo solo l’anno successivo allorché, all’Atelier di Parigi, C. Dullin presentò il suo Voulez-vous jouer avec moi? , in cui lo stesso A. interpretò il ruolo del clown Crakson. Alla fortunata pièce ne seguirono altre, allestite soprattutto da L. Jouvet (Malborough s’en va-t’en guerre , 1924; Domino, 1931; Le Corsaire , 1938). Intrisa di un sentimentalismo sorridente e rarefatto, è Jean de la lune , del 1939, forse la sua commedia più felice. Anche durante e dopo la guerra la sua attività non conoscerà sosta. Tra i titoli: Mademoiselle de Panama (1942), Auprès de ma blonde (1946), Mademoiselle de petite vertu ; Petite Lili (scritta per E. Piaf) e Patate (1957, grande successo commerciale anche in Italia). Considerato uno dei massimi esponenti del teatro de boulevard del Novecento, A. non riuscì tuttavia mai ad aprirsi veramente al nuovo, sia nello stile, sia nei contenuti affrontati (si veda Adam, dove tocca il tema dell’omosessualità). La sua tenue vena, a un tempo ironica e patetica, sostenuta da un’intelligenza più elegante che profonda, fu da lui amministrata sapientemente, anche se col tempo andò progressivamente esaurendosi. Fu anche regista cinematografico, e nel 1959 venne accolto fra i membri dell’Académie Française.

Albee

L’intera sua opera può essere letta come un attacco ai valori della società americana e una constatazione amareggiata della solitudine e della disperazione dell’uomo contemporaneo. Questi temi, presenti già nei primi drammi – gli atti unici La storia dello zoo (The Zoo Story, 1959), La morte di Bessie Smith (The Death of Bessie Smith, 1961) e Il sogno americano (The American Dream, 1961), accolti come esempi significativi di quel teatro dell’assurdo allora in voga – trovarono la loro espressione più riuscita nel primo testo in più atti, Chi ha paura di Virginia Woolf? (Who’s Afraid of Virginia Woolf?, 1962), in brillante equilibrio fra la durezza del messaggio e le esigenze commerciali di uno spettacolo per Broadway. Nei copioni successivi riprese gli stessi temi, ora edulcorandoli, ora rarefacendoli e ora complicandoli con presenze metafisiche e ambiguità di vario genere che assicurarono spesso un successo di scandalo. Come accadde con Piccola Alice (Tiny Alice, 1964), Un equilibrio delicato (A Delicate Balance, 1966), All Over (1971), Marina (Seascape, 1975), The Lady from Dubuque (1979), Tre donne alte (Three Tall Women, 1991), che piacquero al pubblico e alla critica senza peraltro entusiasmarli e che gli fecero vincere tre Premi Pulitzer. Adattò inoltre alle scene alcuni romanzi, La ballata del caffè triste (1963) di C. McCullers, Malcolm (1966) di J. Purdy e Lolita (1980) di Nabokov.

Anderson

Debuttò in patria e si trasferì ventenne negli Usa, dove si affermò soprattutto come interprete tragica grazie alle sue doti fisiche e vocali e alla sua capacità di trasmettere forti emozioni. Fra i suoi successi: Come tu mi vuoi di Pirandello, Il lutto s’addice ad Elettra di O’Neill, Medea di Euripide, Il gabbiano e Tre sorelle di Cechov, nonché personaggi shakespeariani come Lady Macbeth e la Regina di Amleto . Di quest’ultima opera affrontò anche nel 1970, en travesti , la parte del titolo, con esiti poco convincenti.

Augias

Il primo testo teatrale di Corrado Augias, Direzione memorie , andò in scena nell’ottobre del 1966, con Luigi Proietti tra i protagonisti; lo spettacolo fu accolto da un tale favore che Paolo Grassi lo ospitò subito a Milano nel suo Piccolo Teatro. Seguirono, nel novembre dell’anno successivo, Riflessi di conoscenza e Soluzione finale. Questi testi costituiscono la sua produzione migliore. A. ha continuato ad occuparsi di teatro come critico. Si è riaffacciato sui palcoscenici, dopo un lungo silenzio, scrivendo, per Adriana Martino e per il regista Augusto Zucchi Il fabbricatore di mostri (1983), uno spettacolo che ripropone i temi, le figure e gli ingenui orrori del grand-guignol, a metà tra ironia e analisi critica e L’onesto Jago (premio Idi 1984), una rielaborazione dell’Otello.

Armani

Dal 1975, quando crea la sua linea di moda per uomo e donna, e soprattutto dagli anni Ottanta quando la sua marca si afferma nel mondo, il suo stile è fra i più riconosciuti e apprezzati nel mondo. Per il teatro disegna i costumi per i due protagonisti dell’ Elektra di R. Strauss, messo in scena da Luca Ronconi (con le scenografie di Gae Aulenti) alla Scala nel 1994. Crea inoltre i costumi per Così fan tutte di Mozart, messo in scena da Jonathan Miller alla Royal Opera House di Londra e all’Opera di Roma nel 1995. Nel 1997 il regista Bob Wilson mette in scena uno spettacolo-sfilata che ripercorre la sua carriera ( G. A. Story ) e nel 1998 A. disegna i costumi per La donna del mare , allestita da Bob Wilson.

Assylmuratova

Diplomatasi presso l’Istituto Coreografico di Leningrado entra nel 1978, nel Teatro Kirov di Leningrado. Nel 1984 vince il Grand Prix e la medaglia d’oro al concorus International de Danse de Paris. È la prima interprete di Asijat ( Asijat , 1984, di O. Vinogradov) e di Maria Maddalena ( Proba , 1988 balletti di A. Fodorov). Fra gli altri si ricordano: Tema e Variazioni , Raimonda , La bella addormentata , Il lago dei cigni , Don Chisciotte , Bayadera , Spartaco , Corsaro , La fontana di Bachcisaraj , Romeo e Giulietta , Un mese in campagna . Dal 1989 è ospite stabile di compagnie europee e fra queste il Royal Ballet dove interpreta il ruolo di Manon. Ha interpretato il film Il Kirov dietro le quinte ed è protagonista dei video di Bayadera con il Royal Ballet e di Corsaro con il Kirov. Dall’ottobre del 1995 è danseuse principale nel Ballet National de Marseille Roland Petit dove danza Ma Pavlova , Charlot danse avec nous , Coppélia , Chèri , e Il lago dei cigni nella nuova versione di Petit ( Le lac des cygne et ses malefices ). Ballerina lirico drammatica, unisce in sé i migliori tratti della scuola pietroburghese: purezza e armonia della danza, rigore e bellezza delle linee, leggerezza, spiritualità.

Anderson

Cominciò a farsi notare con Quanto costa la gloria? (What Price Glory?, 1924), scritto in collaborazione con L. Stallings, una commedia d’ambiente militare con un cauto messaggio pacifista e un linguaggio per l’epoca relativamente audace. Si specializzò poi in drammi su famosi personaggi storici, come Elisabetta I (Elizabeth the Queen, 1930), Maria Stuart (Mary of Scotland, 1933), Washington (Valley Forge, 1934), Rodolfo d’Asburgo (The Masque of Kings, 1937), Giovanna di Lorena (Joan of Lorraine, 1946), Anna Bolena (Anne of the Thousand Days, 1948) e Socrate (Barefoot in Athens, 1951). Ma le sue opere più significative, almeno come testimonianza del clima intellettuale e morale di un’epoca, furono quelle d’ambiente contemporaneo, soprattutto Sotto i ponti di New York (Winterset, 1935), considerato il suo capolavoro, che partiva dal caso di Sacco e Vanzetti (già argomento di Gli dei del fulmine , The Gods of the Lightning, 1927) per una riflessione sui temi della vendetta e della giustizia; e Key Largo (1939) che, attraverso il personaggio di un reduce disilluso della guerra di Spagna, perorava la necessità dell’impegno politico. Parecchi di questi testi erano in versi e avevano scoperte ambizioni tragiche, non molto sostenute né dal linguaggio né dalle strutture drammaturgiche. Scrisse anche saggi teorici (raccolti in The Essence of Tragedy , 1929) e i libretti per due musical di Kurt Weill ( Knickerbocker Holiday , 1938; Lost in the Stars , 1949).

Alonso

Dopo gli studi a Cuba e a New York, Alberto Alonso  danza con i Ballets Russes de Colonel de Basil (1935-48), con la compagnia di Alicia Alonso (1948-49) e col Ballet nacional de Cuba (dal 1966). Come coreografo ha ottenuto riconoscimenti internazionali, ideando numerosi balletti, fra cui Espacio y movimiento (1966, musica di Stravinskij) con la compagnia del Ballet nacional de Cuba (premio come migliore coreografia a Varna nel 1968) e Carmen (1967, musica di Bizet-Šcedrin), per il Bol’šoj di Mosca. Come il fratello, Fernando studia a Cuba e negli Usa, debuttando con il Mordkin Ballet di New York ed esibendosi in seguito come solista con il Ballet Caravan (1939-40) e il Ballet Theatre (1941). Tornato a Cuba, lavora come primo ballerino e coreografo per il Pro-Arte Ballet. Dal 1948 al 1975 è stato direttore del Ballet nacional de Cuba.