Castri

L’esperienza teatrale di Massimo Castri comincia a Firenze, negli anni ’60, in gruppi amatoriali di cabaret. Entrato successivamente in contatto con alcuni registi d’avanguardia (C. Quartucci, A. Calenda, R. Guicciardini, G. Cobelli), partecipa all’esperienza della Comunità teatrale Emilia-Romagna, una cooperativa di attori fondata a Modena nel 1968 con lo scopo di ricercare un nuovo modello espressivo. Sono di questi anni la partecipazione agli spettacoli Gli uccelli di Aristofane e Woyzeck di Büchner, entrambi diretti da Cobelli. Nel 1972 firma la sua prima regia con I costruttori d’imperi di B. Vian. Nel ’73 pubblica da Einaudi la sua tesi di laurea (Per un teatro politico. Piscator, Brecht, Artaud ) in cui si riflette l’inquietudine della nuova generazione, impegnata a ripensare il senso e le prospettive del teatro all’interno della realtà sociale. Fin dalle prime regie mostra un particolare rigore metodologico, sia nello studio dei testi sia nelle soluzioni sceniche. Nel 1973 scrive e mette in scena Fate tacere quell’uomo! (ricostruzione della vicenda di Arnaldo da Brescia), È arrivato Pietro Gori anarchico pericoloso e gentile, Il bianco, l’Augusto e il direttore; firma la regia di La tempesta di Shakespeare e di Un uomo è un uomo di Brecht. Intanto si lega con la Loggetta di Brescia, che dal 1975 si chiamerà Centro Teatrale Bresciano. Qui realizza i suoi primi allestimenti pirandelliani (1977-79): Vestire gli ignudi, La vita che ti diedi, Così è (se vi pare) è la trilogia con cui si apre un processo teso a ridare contemporaneità alla drammaturgia pirandelliana e a indagare le componenti del dramma borghese in essa presenti. Pirandello viene assunto come testimonianza di una crisi che investe in egual misura la scena e la società, utile a rappresentare, dietro le apparenze del modello romantico ottocentesco, la mutata condizione dell’uomo.

A partire da questo momento il lavoro di Massimo Castri sembra procedere per cicli. Dopo Pirandello arriva Ibsen, di cui vengono studiati e rappresentati Rosmersholm (1980) e Hedda Gabler (1980-81). Tra analisi del testo e del sottotesto, tra lettura simbolica e psicoanalitica, tra scomposizione e ricomposizione della vicenda e dei personaggi, il regista sottrae il dramma a una lettura univoca e approda a una pluralità di elementi interpretativi a cui affidare la comprensione dell’intera opera drammatica. Con lo stesso intento analitico Massimo Castri affronta la lettura metateatrale della tragedia, allestendo nel 1978 Edipo di Seneca e nel 1983 Le Trachinie di Sofocle. Nel 1990 avvia in Toscana la collaborazione con i giovani dell’Atelier costa ovest per la realizzazione del `progetto Euripide’, offrendo nel medesimo giorno (29 giugno) due spettacoli diversi in luoghi diversi: Elettra a Campiglia Marittima e Oreste a Rosignano Marittimo, entrambi con la propria drammaturgia e la collaborazione registica di Cristina Pezzoli. Nel 1992 mette in scena per VenetoTeatro I rusteghi di Goldoni, cui segue, per il comune di Milano, La disputa di Marivaux. Gli anni tra il 1993 e il ’95 sono dedicati alla tragedia greca (Elettra , Ifigenia in Tauride , Ecuba , Oreste) e nel 1996 C. approda a uno dei suoi capolavori, la messinscena della Trilogia della villeggiatura di Goldoni per il Metastasio di Prato.