Carraro

Unanimemente considerato l’attore nel quale maggiormente si rispecchiano l’idea e il modo di recitare del Piccolo Teatro, Tino Carraro, figlio di un tipografo, fin da ragazzo recita nelle compagnie amatoriali, facendo molti lavori, fra i quali il venditore di pezzi di ricambio per auto. Intanto si diploma all’Accademia dei Filodrammatici: entra nelle maggiori compagnie di giro dell’epoca, accanto ad attori come Evi Maltagliati e Luigi Cimara (con loro interpreta il personaggio di Vronskij in un’ Anna Karenina, 1941, andata famosa), Laura Adani e Ernesto Calindri. Il dopoguerra lo vede ancora recitare in spettacoli di compagnie primarie con il nome in ditta e, per qualche anno, partecipare anche all’esperienza del Piccolo Teatro di Roma (dal 1951 al ’52) diretto da Orazio Costa, dove interpreta fra l’altro Le colonne della società di Ibsen e Così è (se vi pare) di Pirandello. Dal 1952 al ’62 è primo attore al Piccolo Teatro di Milano, con Giorgio Strehler (che lo ha già diretto nel 1946 nella compagnia Maltagliati-Randone-Carraro e nel 1948 in Romeo e Giulietta a Verona, nella regia a quattro mani con Renato Simoni). Al Piccolo Carraro, che prende il posto lasciato libero da Gianni Santuccio, interpreta in questo decennio spettacoli memorabili, nei quali può realizzare pienamente un modo di essere attore poco divistico, molto legato agli spettacoli d’ensemble (perfetto per il teatro di regia, al quale lo avvicinano le sue grandissime qualità interpretative), ma anche un’idea dell’essere attore come artigianato, disciplina estrema, scavo interiore mai soddisfatto di sé.

In questi anni Carraro interpreta ruoli classici e contemporanei, dall’ Ingranaggio di Sartre (1952) al ruolo di Bruto in un Giulio Cesare di Shakespeare in chiave psicologica (1953), alla Trilogia della villeggiatura di Goldoni (1954); dal primo Giardino dei ciliegi diretto da Strehler, dove accanto a Sarah Ferrati è un magnifico Lopachin, a uno strepitoso Togasso, dalla camminata sghemba a piccoli passi, nel mitico Nost Milan di Bertolazzi (1955), a Coriolano di Shakespeare, in cui interpreta il ruolo del protagonista visto come una sanguinaria macchina di guerra (1957). Sempre diretto da Strehler interpreta quello che sarà, eccezion fatta per alcuni recital, il suo unico Brecht: un insuperabile Mackie Messer in una memorabile Opera da tre soldi (1956) con Milly e Mario Carotenuto; sempre accanto a Sarah Ferrati è un Platonov (1959) malato di male di vivere. Il sodalizio con Strehler si rompe dopo la prova estrema di L’egoista di Bertolazzi (1960), uno dei suoi ruoli più grandi, quando il regista gli preferisce per Vita di Galileo di Brecht (1963) Tino Buazzelli (cedendo come Brecht che, per la prima edizione di questo testo, era stato preso dal fascino dell’attore grasso e lo aveva fatto recitare a Charles Laughton).

Allontanatosi dal Piccolo, Carraro entra alla corte di Luchino Visconti; il ritorno al teatro milanese avviene proprio nel momento in cui Strehler se ne è allontanato, quando, diretto dal giovanissimo Patrice Chéreau, interpreta accanto a Valentina Cortese una memorabile Lulu di Wedekind (1972). Ma è al ritorno di Strehler al Piccolo come direttore unico che restano legate le sue interpretazioni maggiori, da Re Lear (1972) al Prospero nella Tempesta di Shakespeare (1978), dal Peppon, il padre della Nina, nel secondo Nost Milan messo in scena da Strehler (1979) al capolavoro assoluto del Signore vestito di bianco, protagonista del Temporale di Strindberg (1980). Il suo addio al pubblico avviene con I giganti della montagna di Pirandello («qui si interrompono I giganti della montagna , qui finisce il teatro delle maschere nude») nel 1994: per qualche recita, perché la sua salute ormai precaria non gli permette di seguire tutto lo spettacolo, ha il compito di dire l’ultima parte dei Giganti , così come Pirandello la raccontò a suo figlio Stefano sul letto di morte.