Bond

Regista di molti dei suoi lavori, Edward Bond è un brillante autodidatta – alla stregua di Pinter e Stoppard – che considera l’educazione scolastica la prima forma di violenza sociale a cui è necessario ribellarsi. All’inizio della sua carriera, nei primi anni ’60, entra a far parte del Writer’s Group, riunito presso il Royal Court Theatre sotto la direzione del regista William Gaskill, che propone un’esperienza teatrale concreta iniziando i giovani alle tecniche brechtiane e all’improvvisazione. Edward Bond debutta con Il matrimonio del Papa (The Pope’s Wedding, 1962) e si afferma con Salvo (Saved, 1965), impressionando il pubblico con un ritratto impietoso della vita squallida e violenta di un gruppo di operai londinesi che arriva a compiere l’atto mostruoso della lapidazione di un bambino nella sua culla. Assimilata la lezione brechtiana, Edward Bond predilige la divisione del testo in scene e non in atti, si orienta verso un’estrema essenzialità scenografica, e ricorre in modo sistematico alle note introduttive al testo, che costruisce come analisi e non come drammatizzazione della vicenda. Sviluppando una poetica teatrale non naturalistica, Edward Bond parte dal teatro epico per spingersi oltre, usando la storia come ambientazione privilegiata da cui osservare con un certo distacco gli eventi e le problematiche contemporanee.

La necessità di rinnovamento e sperimentazione lo spinge all’impiego di stili diversi: dal realismo scarnificato dei primi lavori alla fantasia surreale, dai toni farseschi, in Quando si fa giorno (Early Morning, 1968, testo censurato), alla parabola brechtiana in La stretta via al profondo Nord (Narrow road to the deep North), e ancora alla rivisitazione shakespeariana in Lear (1971), come pure al mitico della tragedia greca in La donna (The Woman, 1978): testo presentato dall’autore nello spazio dell’Olivier al National Theatre che prendendo spunto dai testi di Sofocle e Euripide offre una rilettura della guerra di Troia da un punto di vista prettamente femminile. Al centro del suo teatro si colloca l’umana specie e la mutevolezza dei suoi valori: dapprima l’interesse è puntato su fenomeni di alienazione e violenza, poi si rivolge alla causa di tali atteggiamenti analizzando il potere nelle sue sfaccettature ( Il mare , The sea, 1973; Il fagotto , The Bundle, 1978; Restaurazione , Restoration, 1981) per approdare alla controversa questione della figura e del ruolo del poeta nella società e i suoi rapporti con la classe egemone ( La stretta via al profondo Nord , 1968; Bingo , 1973 e Il giullare , The fool, 1975). Attento curatore della parte riservata alla regia, B. si concentra sul testo quanto sugli attori, che devono essere, nelle sue parole, «the illustrations of the story as well as the speakers of the text […] and not be swept by emotion» (gli illustratori della storia e i portavoce del testo […] e non lasciarsi trascinare dalle emozioni). La violenza, la crudeltà e in genere le immagini aspre e brutali del suo teatro gli hanno procurato scarsa notorietà e poco favore tra il pubblico, ciònonostante rimane uno dei più celebrati scrittori di sinistra ad essere emerso dal teatro ‘fringe’ con vera originalità e grande forza per farsi spazio nei teatri istituzionali: presso la Royal Shakespeare Company (RSC) nell’85 con la trilogia The war plays sulla guerra e l’olocausto nucleare e al Leicester Haymarket con Jackett II nel ’90.