Barrault

Una vera e propria leggenda della scena francese vissuta all’insegna della missione, della vocazione al teatro. Costretto a fare più mestieri per sopravvivere, innamorato del teatro, Jean Louis Barrault elegge Charles Dullin a suo maestro e ha la fortuna di essere accettato da lui, dopo un provino, nel 1931, alla scuola dell’Atelier. Lì, mescolando intelligentemente teoria e pratica, si legherà di grande amicizia con un irregolare della scena come Antonin Artaud e con Etienne Decroux, che cerca di raggiungere l’espressività pura mettendo in primo piano il corpo. È proprio mentre recita in piccole parti all’Atelier e mentre frequenta con Artaud il `covo’ surrealista del Granier des Augustins che, partendo da un romanzo di Faulkner (Mentre morivo) mette in scena e interpreta il suo primo spettacolo Autour d’une mère dove creerà quel cavallo-centauro che affascinerà Artaud e che Jean Louis Barrault riprenderà, anche da vecchio, in molte serate d’onore. Dopo l’sperienza all’Atelier e la rivelazione della propria vocazione raccontata con accenti romanzeschi nella sua autobiografia, firma nel 1937 lo spettacolo Numanzia di Cervantes messo in scena con i proventi del primo dei molti film ai quali partecipa (Beaux jours di Marc Allegret dove conosce quella che sarà prima la sua compagna sulla scena e poi nella vita, Madeleine Renaud). Numanzia gli fa toccare con mano quelli che sono i suoi pregi e i suoi difetti. Superare questi ultimi significa, per Jean Louis Barrault, entrare «nel tempio del grande mestiere», la Comédie Française proprio negli anni in cui a dirigerla c’è Jaques Copeau, già maestro di Dullin.

Durante il periodo in cui lavora alla Comédie, dove recita fra l’altro nel Cid di Corneille (1940) e in Amleto (1942), senza dubbio l’incontro più importante per Jean Louis Barrault è quello con la drammaturgia di Paul Claudel di cui mette in scena Le soulier de satin (1943) testo considerato irrapresentabile, perché, come scriverà, «desideravo amare il Soulier come si ama una donna». Ma all’attore irregolare, curioso di tutto, la scena tradizionale della Comédie va stretta. Eccolo allora gestire in prima persona facendo compagnia con Madeleine Renaud, il Marigny, inaugurato nel 1946 con Amleto, dove propone un repertorio eclettico che mescola i classici come Shakespeare, Marivaux riscoperto nella sua ambiguità (Le sorprese dell’amore, 1950) e tolto agli stereotipi di maniera, Molière e Cechov, alla drammaturgia contemporanea di Camus, Anouilh e Giraudoux. Dal Marigny André Malraux ministro della Cultura lo chiama alla direzione dell’Odéon dove Jean Louis Barrault ha modo di dispiegare non solo le sue doti di attore eccezionale e di regista sensibile, ma anche quelle di organizzatore culturale (è sua l’idea di un Festival des Nations che permetterà agli spettatori francesi di vedere i maggiori spettacoli europei), particolarmente abile nel tessere rapporti con i teatri stranieri più qualificati. E dove apre le porte del teatro alle sperimentazioni dell’avanguardia, del teatro dell’assurdo con I paraventi di Genet che gli scatenerà contro la contestazione delle destre. Ma la cosiddetta `presa dell’Odéon’ da parte della contestazione giovanile al tempo del Maggio ’68 lo spinge ad abbandonare anche questo teatro. Eccolo allora senza fissa dimora prima in una palestra di catch fra Montmartre e Pigalle, dove mette in scena, fra l’altro, un monumentale, straordinario Rabelais , destinato a fare il giro di mezzo mondo e poi al Théâtre de Roind Point dove, perseguendo l’idea di un repertorio eclettico, una tragedia di Voltaire può stare accanto all’oscuro mondo notturno di Gerard de Nerval. Infine, pago di raccogliere di nuovo attorno a sé, come un guru o piuttosto come un maestro, i giovani che vogliono capire da lui il segreto di un teatro che vuole essere «contro questa vita di guerre, di violenze per fare prevalere nella vita e sulla scena, il piacere, la gioia, la tenerezza».