balletto

Il termine dovrebbe essere usato propriamente solo per lavori basati sulla `danse d’école’, ovvero lo stile codificato della danza classica-accademica, e sui suoi naturali sviluppi, ma per convenzione oggi si estende anche a creazioni di `danza moderna’ o `libera’, nonché a spettacoli di danza jazz o folclorica. È proprio nel Novecento che si avvicina un radicale rinnovamento di questo genere teatrale, che nel Diciannovesimo secolo aveva visto la definzione e il perfezionamento del `ballet d’action’, vera e propria azione danzata con perfetta integrazione di libretto, musica, coreografia e allestimento, e insieme la sua tarda cristallizzazione nelle creazioni di Marius Petipa (1822-1910), nelle quali il fondamentale rapporto tra la complessa ed elaborata coreografia e la partitura musicale (specie nei balletti nati in stretta collaborazione con Cajkovskij, La bella addormentata e Schiaccianoci ) si sviluppava in lunghe parti di purissima danza accademica che prevaricavano sull’omogeneo sviluppo drammaturgico della trama. Tale rinnovamento parte dalla imprescindibile esperienza dei Balletti Russi (1909-1929) di Sergej Diaghilev e soprattutto dalle intuizioni estetiche del primo coreografo di quella formazione, Michail Fokine, che rivendicò l’unità artistica del balletto inteso come spettacolo totale, nel quale scene, costumi e musica dovevano fondersi armoniosamente e coerentemente alla coreografia, che a sua volta doveva risultare espressiva e stilisticamente appropriata al tema e all’argomento della produzione. Per elaborare questa concezione di spettacolo coreografico Diaghilev coinvolse i maggiori pittori contemporanei (Baskt, Picasso, Matisse, Braque, Utrillo, Mirò, de Chirico) e collaborò con musicisti come Stravinskij, de Falla, Debussy, Ravel, affidando le coreografie dei suoi balletti ad autori come Vaslav Nijinskij, Léonid Massine, Bronislava Nijinska e George Balanchine, che in vario modo ripresero e svilupparono la lezione di Fokine, contribuendo – ciascuno in maniera incisiva – all’evoluzione del linguaggio accademico moderno e al ripensamento di questo genere teatrale, per la prima volta con loro pronto anche a sviluppare tematiche contemporanee (vedi Jeux di Nijinskij-Debussy-Baskt, 1913 o a Les biches di Nijinska-Poulenc-Laurencin, 1924); contemporaneamente un’analoga esperienza artistica prese vita a Parigi con i Ballets Suédois di Rolf de Maré (1920-1925), con Jean Börlin come coreografo principale, che, conformandosi all’avanguardismo di Diaghilev, affidò le sue produzioni ad artisti come Léger, Bonnard, Picabia, e musicisti come Milhaud e Honegger. La diaspora seguita alla morte di Diaghilev (1929) ha fatto in modo che l’avventura artistica dei Balletti Russi si irradiasse in tutto il mondo, in alcuni casi addirittura fondando nuove `scuole ballettistiche nazionali’, come è accaduto in Inghilterra e Usa. Se infatti in Francia Serge Lifar ha contribuito a restituire l’antico splendore all’Opéra di Parigi, in Inghilterra le diverse esperienze artistiche delle ex danzatrici diaghileviane Ninette de Valois e Marie Rambert non solo hanno dato vita alle due maggiori compagnie coreutiche nazionali – il Royal Ballet (1993) e il Ballet Rambert (1926) , ma hanno contribuito a sviluppare l’importante e ancora vitalissimo filone del balletto narrativo moderno (definito non a caso dancedrama ), spesso ispirato a celebri romanzi o testi teatrali e fondato sul vocabolario neoclassico, aperto tuttavia alle innovazioni espressive della danza moderna e caratterizzato dalla particolare cura nell’elaborazione della struttura drammaturgica e nella descrizione psicologica dei personaggi. I massimi esponenti, nel corso del Novecento, sono: i coreografi Frederic Ashton, Antony Tudor, Kenneth Mac Millan, John Crank, John Neumeier. Anche negli Usa degli anni ’30, già attraversati dalle correnti coreografiche rivoluzionarie della `modern dance’ di Martha Graham e Doris Humphrey, tutte protese a tradurre in una gestualità scattante e `disarmonica’ le problematiche interiori dell’uomo moderno, il balletto deve la sua prima fioritura ad artisti provenienti dalla compagnia Diaghilev, come lo stesso Fokine, Mikhail Mordkin (fondatore dell’American Ballet Theatre, 1939) e soprattutto George Balanchine. Questo, con la creazione della sua School of American Ballet (1933) e la creazione di varie formazioni artistiche che sfoceranno nel New York City Ballet (1948), pur nell’eclettismo delle sue esperienze – fu attivo anche nel musical teatrale e cinematografico – ha ripreso la tradizione del balletto accademico di Petipa e l’ha ampliata e estremizzata, concentrandosi quasi esclusivamente sull’essenza del vocabolario classico e traducendolo in un linguaggio asciutto, formalmente abbagliante, stimolato da nuovi ritmi e innervato di nuove tensioni. I suoi `ballerini astratti’ – così definiti perché pressoché privi di situazioni narrative e elementi scenografici e tutti incentrati sulla serrata dialettica tra danza e partitura musicale – hanno saputo rievocare, nell’apparente e distaccata perfezione delle sequenze coreografiche, le inquietudini e i contrasti della società contemporanea americana (si pensi ad Agon , musica di Stravinskij, 1958) e sono diventati gli archetipi stilistici ai quali hanno fatto riferimento molti autori americani delle generazioni successive – tra i quali si ricordano Jerome Robbins e in seguito William Forsythe – per procedere nell’ulteriore analisi e sviluppo delle potenzialità dinamiche e formali della `danse d’école’. Dopo un primi periodo di totale antitesi estetica e culturale, le varie correnti della `danza moderna’ – quella dell’`Ausdruckstanz’ tedesca e della `modern dance’ americana – hanno recuperato in maniera costruttiva alcuni cliché compositivi dei `ballets d’action’, riadattandoli alle proprie esigenze poetiche ed espressive, come ci attesta Clytemnestra della stessa Graham (musica Halim El-Dabh, scene Isamu Noguchi 1958); un processo universale di osmosi che è proseguito e si è intensificato negli anni successivi quando altri autori di estrazione moderna e contemporanea hanno elaborato balletti narrativi a serata, contrassegnati però dal loro preciso stile compositivo ( La tempesta di Glen Tetley, Ballet Rambert, 1969; Mr Wordly Wise di Twyla Tharp, Royal Ballet, 1995; Othello di Lar Lubovitch, American Ballet Theatre, 1997). Stessa apertura nei confronti dei contributi espressivi della danza moderna, ma anche folclorica e jazz, hanno avuto coreografi di formazione classica europei e statunitensi, che nella personale elaborazione delle più varie influenze stilistiche hanno definito il balletto moderno, nel quale si afferma soprattutto la visione poetica del coreografo, sia che questo sia impegnato in lavori con tracce narrative, sia che crei composizioni astratte: tra i fautori più significativi di una mediazione tra classico e moderno, nelle loro diverse correnti, sono da annoverare nel tempo le esperienze di Aurelio Milloss, Birgit Cullberg, Hans Van Manen, Rudi Van Dantzig, Roland Petit, Maurice Béjart, Flemming Flindt, nonché Mats Ek e Ji##rcirc##í Kylián. E proprio la definizione del coreografo come autore, con una poetica personale e una definita estetica espresse attraverso il linguaggio del corpo, è l’elemento che caratterizza il balletto dei nostri giorni. Sulla scia della rivoluzione culturale dettata dagli autori americani della `postmodern dance’, che avevano lanciato l’invito di `riappropriarsi’ della propria espressività e di raccontarsi attraverso la danza, i coreografi delle più recenti generazioni, soprattutto in Europa si ritengono artisticamente liberi di adattare ogni vocabolario della danza e del teatro alla loro necessità di `narrazione’ e rompono anche l’ultimo confine, non solo tra i vari generi di danza, ma anche tra i vari generi teatrali. Il b. diventa così l’opera nella quale l’autore-coreografo riversa il suo mondo poetico, la sua visione esistenziale e la sua interpretazione delle relazioni umane, una pagina `autobiografica’, nella quale l’autore può sovvertire anche le regole tradizionali della composizione e modificare le relazioni tra i vari elementi spettacolari. E se in questo senso Forsythe procede partendo dalla decomposizione e dal ripensamento costante del vocabolario della danza, autori provenienti dalle scuole moderne e contemporanee prediligono ancora una volta di più il dato pìu fortemente espressivo, narrante, drammatico: come nel caso del francese Angelin Preljocaj e dello spagnolo Cesc Gelabert. Nella serrata dialettica degli scambi stilistici e artistici che lungo tutto il secolo hanno costantemente rinnovato in Europa e in America il genere del balletto, resta per lungo tempo sclerotizzato negli antichi cliché ottocenteschi, riadattati alle necessità propagandistiche sovietiche, il mondo del b. russo. Il quale ha mantenuto e estenuato negli anni la tradizione del b. drammatico, concepito come nell’Ottocento in lunghe composizioni dove l’aspetto narrativo si sviluppa per lo più in lunghe sequenze pantomimiche e la danza mantiene spesso una pura funzione di divertissement e solo negli ultimi anni, con grande ritardo, si è aperto ad un nuovo e più agile tipo di dancedrama firmato da autori come Boris Fifman.