Avignone

L’idea di Jean Vilar – a cui è intitolata in città una casa che possiede tutti i copioni, gli scritti, i costumi, i cimeli, le lettere del maestro e che svolge un’intensa attività culturale per tutto l’anno – alla lunga risulta ancora quella vincente: sposare teatro e architettura, cercare nei luoghi all’aperto spazi privilegiati. All’inizio il Festival di Avignone ha come palcoscenico d’elezione la grande Corte d’onore del Palazzo dei Papi, dove ancora oggi si tengono gli spettacoli inaugurali e quelli più importanti preceduti da tre squilli di tromba. Ma nel tempo altri luoghi, come il celeberrimo Cloître des Carmes, sono diventati palcoscenici teatrali. Accanto al festival vero e proprio, che ha saputo trasformare l’intera città in un palcoscenico – basti ricordare le facciate delle case del centro che portano dipinti i ritratti dei maggiori attori che da A. sono passati, simili a personaggi affacciati a delle ipotetiche finestre – se n’è sviluppato un altro, off, il quale – una volta spontaneo, adesso con regole ferree di organizzazione, non ha nulla da invidiare a quello ufficiale. A tal punto che da qualche anno, in Place de l’Horloge, è nato addirittura un festival off-off che ruota attorno a quello che si può considerare il vero cuore pulsante della manifestazione. Come tutte le istituzioni anche questo festival, mentre è ancora direttore Vilar, subisce la contestazione del 1968. Anzi in questo caso la contestazione è duplice: ai giovani che chiedono un cambiamento, fa eco quello che sarà lo spettacolo-evento, lo spettacolo scandalo di quell’edizione, il Paradise now del Living Theatre con il suo messaggio rivoluzionario: il teatro deve lasciare i luoghi codificati e andare per le strade, fra la gente. Dalla morte di Vilar alla direzione del festival si sono succeduti diversi direttori, qualcuno magari migliore di lui dal punto di vista manageriale, ma nessuno con il suo carisma e la sua grandezza. Nel corso degli anni comunque il Festival di Avignone ha continuato a produrre grandi spettacoli, ospitando artisti da tutto il momdo. È qui, per esempio, che va in scena il Mahabharata di Peter Brook alla Cava di Boulbon. È qui che colgono significativi trionfi Béjart, Bausch e Carlson. È qui che Patrice Chéreau, allora direttore di Nanterre, presenta un Amleto destinato a girare mezzo mondo e recita in prima persona in Nella solitudine dei campi di cotone di Bernard Marie Koltès. Progettualità, capacità di pensare in grande, cospicui finanziamenti pubblici ma anche contributi privati, fanno ancora oggi del festival di A. un avvenimento di notevole ricchezza culturale malgrado l’evidente declino tipico di questo genere di manifestazione.