antropologia, teatro e

e la riflessione teatrale, nella comune necessità di ripensare le categorie dello spettacolo e di comprendervi forme performative diverse di attività pubblico-spettacolari quali i giochi, il rito, lo sport. Di una sensibilità a. si può parlare per tutta la grande tensione riformatrice primonovecentesca dei maestri (Artaud, Stanislavskij, Copeau) e delle avanguardie che, attraverso il teatro, cercano una rifondazione simbolica ed etica della comunità, dell’uomo e del suo linguaggio; ma è nel secondo Novecento, con alcuni maestri della scena (Grotowski, Schechner, Barba, il Living Theatre, il Bread and Puppet, Brook) che è possibile parlare di teatro antropologico – per le componenti rituali, mitiche, simboliche del linguaggio, della teoria e della prassi scenica – e di antropologia teatrale, in quanto disciplina teorica delle modalità espressive e rappresentative transculturali (Barba). Negli Usa la teoria della performance, elaborata da Schechner tra la metà degli anni ’60 e la fine degli anni ’70 ( Ritual, Play and Performance , 1970; numero monografico della “Tulane Drama Review”, 1973; From Ritual to Theatre and Back , 1974), con riferimenti a Huizinga, Berne, Goffman, costituisce il cuore di una serie di studi sulla dimensione rituale degli atti rappresentativi, che si arricchisce negli anni ’80 degli studi di Turner ( From Ritual to Theatre , 1984) sull’arte e il rito come aree di `liminalità’ e di rinnovamento creativo delle strutture sociali e culturali. In Italia Eugenio Barba, attraverso la rilettura di Grotowski, il confronto con le culture rappresentative dell’Oriente e con la tradizione popolare occidentale, studia attraverso il training le condizioni espressive del performer; il suo pensiero ( La corsa dei contrari. Antropologia teatrale , 1981; Manifesto del Terzo Teatro , 1985; La canoa di carta. Trattato di antropologia teatrale , 1993) e la sua attività pedagogica, documentata da Ruffini e Taviani, segnano profondamente l’arte dell’attore nel teatro italiano di ricerca.