Antoine

Considerato da tutti il padre della regia moderna, Antoine André nasce da una famiglia operaia, e si arrangia presto a fare qualsiasi lavoro, da impiegato presso la società del gas a commesso di libreria. Il magistero di questo regista, praticamente autodidatta – ha iniziato facendo l’attore in compagnie amatoriali – mai a senso unico e destinato a lasciare una traccia indelebile nella storia della scena mondiale, si rivela al Théâtre Libre (1887-1897) con la rappresentazione di quattro atti unici, il 30 marzo 1897 (Mademoiselle Pomme di Duranty, La cocarde di Vidal, Un préfet di Byl, Jacques Damour di Hennique); si rafforza al Théâtre Antoine (1897-1906) dove non si perita di confrontarsi con il teatro di boulevard e culmina all’Odéon dove, come direttore (1906-1914), mette in scena testi classici. È indubbio, tuttavia, che il suo periodo più fecondo sia quello legato al Théâtre Libre in cui getta le basi della rivoluzione naturalistica in palcoscenico. Il giovane ex impiegato del gas che debutta sulla scena del privatissimo Cercle Gaulois per sfuggire alle occhiute maglie della censura, infatti, è il primo non solo ad applicare in teatro quel bisogno di verità oggettiva che Emile Zola teorizzava per il romanzo e per la drammaturgia ne Il naturalismo a teatro, ma anche a teorizzare in un saggio rimasto famoso (Conversazione sulla regia , 1903) la ‘quarta parete’ che trasforma gli spettatori in voyeurs occhieggianti dal buco della serratura quanto avviene sulla scena. Il palcoscenico dunque è un luogo chiuso delimitato da tre pareti costituite dalle quinte e da una quarta parete immaginaria, `convenzionale’, che divide gli spettatori dagli attori costretti a recitare «come se non ci fosse il pubblico».

Antoine André rimane folgorato per la prima volta da questa rivelazione e dalla sua importanza, quando, a Bruxelles, nel 1888, si trova di fronte alla compagnia tedesca dei Meininger (la stessa destinata a lasciare un’impressione incancellabile in Stanislavskij) e al suo modo di recitare, magari girando le spalle agli spettatori e usando il palcoscenico in tutta la sua profondità. Da qui nasce per Antoine non solo l’esigenza di una scenografia che riproduca fedelmente la realtà, ma anche di una recitazione che richieda all’attore una completa immedesimazione nel personaggio da rappresentare. «Gli applausi del pubblico mi hanno risvegliato dalla trance nella quale ero caduto» scriverà nei suoi ricordi. Il nuovo teatro, destinato a fare piazza pulita dei testi di Sardou, di Dumas figlio e in generale della cosiddetta pièce bien fait trova alimento nelle riduzioni teatrali dei grandi romanzi naturalisti, in grandi autori come Ibsen e Strindberg, ma anche in drammaturghi mediocri come Jean Jullien e Ferdinand Icres. Dopo la fine dell’esperienza del Théâtre Libre è all’Odéon che A. lascia una traccia più forte, che nasce dalla sua saggezza di regista eclettico: perché misurandosi con i grandi classici come Molière, Corneille, Racine e, soprattutto, Shakespeare e con testi la cui struttura non può reggere la (quarta parete) e dunque la recitazione naturalistica, non vi resta ancorato. Il suo eclettismo, che va di pari passo con un’intelligente curiosità, è attestato anche dal suo lavoro di critico, oltre che dalla sua attività di regista cinematografico. Le storie del cinema, infatti, ricordano che è stato proprio lui a comprendere per primo l’esigenza di girare in esterni: un cinema realistico, in grado di cogliere anche nella verità dell’ambientazione, il senso della vita.