Andrews

Poche cose o persone sono più inglesi dell’inglese Julie Andrews; eppure la parte importante della sua carriera si è svolta tra Broadway e Hollywood, e il rapporto tra la Andrews e l’America è quello di un grande amore a prima vista. I primi anni di vita sono abbastanza tranquilli, a parte l’ombra della guerra che puntualmente, in tutto il suo orrore, sopraggiunge. I genitori naturali di Julie divorziano ed entra in scena un patrigno, odiato al principio, molto amato più tardi, che è responsabile dell’introduzione al mondo del music-hall. La ragazzina sa cantare, bene, avrà un’estensione miracolosa e una voce di cristallo destinata a durare intatta negli anni. Certo, da piccola rischia di diventare un fenomeno da baraccone (appunto per via della sua incredibile voce), ma lo studio, la passione e soprattutto una assoluta disciplina la salvano. Peraltro l’immagine di ragazzina prodigio, travestita da ragazzina prodigio, le resta attaccata per tutta l’adolescenza e, all’inizio degli anni ’50, la quindicenne Julie comincia a essere imbarazzata dai calzini, le gonne cortissime e l’acconciatura da studentessa.

Molti sostengono che la carriera della Andrews sia costellata da fantastici colpi di fortuna, ma è certo vero che ci sono state occasioni particolarmente importanti che le si sono presentate. Per esempio, quando i produttori del successo, nel West-End, The Boy Friend – invece di spedire negli Usa il cast originale – decidono di anticipare la stagione americana e quindi di mettere insieme un nuovo cast, la Andrews è la prescelta per il ruolo di Polly, la protagonista. E così, il 30 settembre 1954, alla vigilia dei suoi diciannove anni, la A. diventa una star. Sarà un altro colpo di fortuna quando, l’anno seguente, Richard Rodgers le consiglia di scegliere tra un suo musical minore e una novità di Lerner e Loewe, quel My Fair Lady che sarà qualcosa di più che una consacrazione per l’attrice, la quale lo interpreterà indefessamente per due anni a Broadway e quasi un anno e mezzo a Londra, in un crescendo di entusiasmo di pubblico e critica. Sempre di Lerner e Loewe, Camelot , in coppia con Richard Burton, dal 3 dicembre 1960 la tiene occupata per ottocentotrentasette repliche, durante le quali Walt Disney in persona la va a vedere in vista di un suo ambizioso progetto, un film misto di attori e disegni animati, che sarà Mary Poppins. La prima di Mary Poppins (estate 1964) tanto per cambiare è un trionfo, e consola la Andrews di non essere stata prescelta per la versione cinematografica di My Fair Lady (sarà Audrey Hepburn, incantevole ma doppiata per il canto). Sempre nel 1964 la Andrews interpreta un film in bianco e nero, The Americanization of Emily (da noi, ahinoi, Tempo di guerra, tempo d’amore ), provando di essere un’eccellente attrice anche senza il supporto del canto. Ma è l’anno seguente, con The Sound of Music (da noi, ahinoi, Tutti insieme appassionatamente – e non contenti, gli infami importatori lo doppiano in italiano anche per il canto!), che la Andrews ottiene il definitivo trionfo. Da lì in poi la sua carriera cinematografica alterna film musicali e non; tra i primi vanno assolutamente ricordati l’incantevole Millie (1967) e Star! (1968), biografia cinematografica di Gertrude Lawrence e unico insuccesso della nostra attrice. Nel 1993 torna a Broadway per un impegno di due mesi con Putting It Together , una rivista musicale basata su canzoni di Stephen Sondheim. Finalmente, il 25 ottobre 1995, Julie torna in un vero musical a Broadway, Victor Victoria , che ripete sul palcoscenico il grande, meritatissimo successo del film omonimo (1982). Abbastanza rare le sue apparizioni in concerto: una sola volta a Las Vegas, per una settimana (agosto 1976), poi una memorabile, al London Palladium, e reiterate apparizioni a due con Carol Burnett.