Allio

Allio  René comincia a imporsi verso il 1950, nel quadro della giovane produzione francese (Les condamnés di M. Deguy, Parigi, Théâtre des Noctambules 1950; Victimes du devoir di Ionesco, allestito al Quartiere Latino, 1953), affermandosi al Théâtre de la Cité di Villeurbanne come collaboratore di Roger Planchon (Henri IV – Le prince – Falstaff da Shakespeare, 1957; L’anima buona di Sezuan di Brecht, 1958; Bérénice di Racine, 1966). La concezione architettonica dello spazio, il ricorso alle proiezioni a quadri fissi e sequenze filmate, l’impiego di proiettori a vista e girevoli, il gusto del materiale grezzo per attrezzeria e costumi sono gli elementi che definiscono i tratti dominanti del suo stile (descritto in tre saggi, Le travail au Théâtre de la Cité, saisons 1955-1959, Le travail au Théâtre de la Cité, saison 1959-1960 e Le théâtre comme instrument, 1963), che ha una delle maggiori esemplificazioni nel Tartufo di Molière (1962), in cui enormi quadri monocromi in bianco e nero incombono come tetre visioni sugli attori. Proficui anche i rapporti con il coreografo Roland Petit (Notre-Dame de Paris , Parigi, Opéra 1962; L’Arlésienne , Marsiglia 1974 e Firenze 1986; Les intermittences du coeur , Montecarlo 1974; Les quatre saisons , Venezia 1984) e – sebbene si tratti di collaborazioni occasionali – con alcuni registi italiani, come Luigi Squarzina (Don Giovanni di Mozart, Scala 1966) e Raffaele Maiello (Marat/Sade di Weiss, Piccolo Teatro 1967). Personalità artistica poliedrica (ha partecipato alla riforma e alla progettazione di vari teatri: Aubervilliers, Hammamet), si è dedicato anche alla regia (Attila di Verdi, Nancy 1982) e già dagli anni ’60, con Una vecchia signora indegna (La vieille dame indigne , 1965) all’attività cinematografica (il suo ultimo lavoro è la pellicola Transit , 1991).