Zuffi

Dopo aver vissuto fino al 1951 a Parigi dedicandosi alla pittura, Piero Zuffi decide di tornare in Italia grazie al fortuito incontro con Strehler, che gli affida l’allestimento di un Macbeth (Piccolo Teatro, 1951), con abiti corposi e pesanti che trasformano gli stessi attori in elementi scenici. È il primo episodio di una fortunata collaborazione che prosegue con Giulio Cesare (1952), dalle luminose scene ad arcate aperte. Affermatosi con uno stile architettonico, dalle strutture fisse che seguono l’azione con rapidi cambiamenti a vista, allarga la sua attività al teatro d’opera, curando per l’Arena di Verona un’Aida (1958) dal verticalismo strutturale, caratterizzata dalla presenza di un’enorme Sfinge, memoria di un Egitto divorato dalla sabbia e dissepolto; e un Lohengrin di Wagner (1963), dalla suggestiva foresta che si dilata a gradoni, con un intrico di radici e rami intrecciati. Stabilisce un legame particolarmente proficuo con il regista G. Albertazzi: di rilievo il baroccheggiante Antigone Lo Cascio di G. Gatti, 1963, dai pomposi interni ispirati ai palazzi baronali siciliani. Zuffi si dedica anche al cinema (La notte di M. Antonioni, 1961, Orso d’oro a Berlino) e alla regia mettendo in scena Un ballo in maschera (Arena di Verona, 1986) in cui, nel terzo atto, gli splendidi costumi settecenteschi di seta si accendevano di riflessi sotto il brillìo di una luminosissima ambientazione.