Wilder

Thornton Wilder cominciò ad accostarsi al teatro con due raccolte di atti unici, pubblicate rispettivamente nel 1928 e nel 1931. Della seconda faceva parte – e le dava il titolo – Il lungo pranzo di Natale (The Long Christmas Dinner) che, condensando in un’ora novant’anni di banchetti natalizi, raccontava la storia di una famiglia, preannunciando modi e temi delle opere maggiori. In una scena che consisteva soltanto di un lungo tavolo con relative sedie e due porte, l’una inghirlandata di fiori e l’altra parata a lutto, si sviluppava la piccola saga dell’uomo comune con le sue gioie e le sue tristezze.

Il discorso rimase sostanzialmente lo stesso nella sua commedia più famosa, Piccola città (Our Town, 1938), che descriveva le piccole vite di una cittadina di provincia, e soprattutto le nozze e la morte di una ragazza; ma le vicende erano epicizzate dalla presenza in scena di un regista che le presentava e commentava, e passavano fluidamente dal mondo dei vivi a quello dei morti, con risultati di notevole suggestione che rendevano meno ovvio lo scoperto elogio degli ideali piccolo borghesi.

A una teatralità dichiarata si richiamava pure La famiglia Antropus (The Skin of Our Teeth, 1942), che ricostruiva il tribolato cammino dell’umanità dall’età della pietra in poi, evitando i pericoli della retorica predicatoria, grazie all’uso di tecniche mutuate dal teatro di varietà e al continuo intreccio fra passato e presente. Il suo terzo successo, La sensale di matrimoni (The Matchmaker), si ispirava a una commedia di Nestroy: fu un fiasco nella prima versione del 1938 (dal titolo The Merchant of Yonkers), piacque nell’edizione definitiva del 1954 – che non era molto più di una farsa ben scritta e ben costruita – e trionfò dieci anni dopo, tradotto in musical col titolo Hello, Dolly! . Irrilevanti furono invece i drammi successivi, fra i quali Una vita nel sole (A Life in the Sun, 1955) che rielaborava il mito di Alcesti.