Folies Bergère

Il 2 maggio 1869 Albert Boislève inaugura un locale in un edificio in precedenza dedicato alla vendita di mobili, non distante dal centro di Parigi, in un quadrilatero compreso fra rue Richer, rue Saulnier, rue Bleue e rue de Trevise che viene curiosamente chiamato `les Folies Bergère’, dal nome di una via vicina. È un café-spectacle che ospita alcuni cantanti mentre gli avventori mangiano e bevono. Nel 1871 arriva alla direzione Leon Sari, già segretario di Alexandre Dumas al Delassements Comiques, e in quindici anni porta il locale alla celebrità soprattutto come teatro di varietà presentando vedette dell’epoca (grazie anche all’operato di Rosinski, un collaboratore di Barnum): fra queste il giocoliere Agoust e gli Hanlon Lees. Nel 1881 il teatro cambia attività e si dedica alla musica classica col nome `Le concert de Paris’: tonfo immediato, che provoca anche un fallimento economico. Nel 1885 sono i coniugi Allemand a rilevare il locale affidando la direzione artistica a Edouard Marchand che dà spazio per la prima volta anche al genere che diventerà il vessillo del teatro: la rivista a grande spettacolo. Il 30 novembre del 1886 debutta Place aux jeunes! . Ma le Les Folies Bergère restano per il momento soprattutto un teatro di varietà. Edouard Marchand viaggia in tutto il mondo alla ricerca di artisti particolari: tra questi il gigante Chang, la famiglia di acrobati icariani Kremo, il celebre clown e ammaestratore di animali Dourov. Poi il giocoliere Paul Cinquevalli, i comici Little Tich e Carl Baggessen, le Sisters Barrison e Loie Fuller, che debutta nel 1892 e torna più volte nell’arco di una quindicina d’anni; inoltre le belle Liane de Pougy e Caroline Otéro.

Una delle ultime fiammate di Edouard Marchand è l’ingaggio di Cléo de Mérode, già stella dell’Opéra. Nel 1901 subentrano alla gestione i fratelli Emile e Vincent Isola, ex prestigiatori e reduci dalla direzione di numerosi locali parigini. I fratelli Isola affermano la modalità di produzione della rivista che si chiamerà La Revue des Folies Bergère ‘. Una nuova produzione viene allestita ogni primavera o per le feste natalizie, mentre il resto dell’anno è ancora dedicato al varietà, nel corso del quale vengono anche proiettate delle pellicole appositamente realizzate da George Meliès. Assurge a ruolo di stella il cantante Harry Fragson, che si accompagna da solo al pianoforte. Dal 1905 per due anni dirige il locale Paul Ruez, che lascia però un segno assai labile. Tornano i fratelli Isola e ingaggiano nuovi nomi prestigiosi. Il cartellone del 1910, grazie all’operato del nuovo amministratore Clement Bannel, vede il debuttante Maurice Chevalier e i clown Grock e Antonett, oltre a un trascurato giovane mimo acrobata della troupe inglese di Fred Karno: Charles Spencer Chaplin. Altre stelle del periodo sono Margaretha Gertruida Zelle, in arte Mata Hari, il giocoliere Salerno e i Fratellini. Ma in quegli anni le F.B. devono il loro successo anche al fatto di costituire una sorta di casa di appuntamenti non ufficiale e all’essere divenute un tempio dello déshabillage , lo spogliarello, ospitato per la prima volta nel 1912. La situazione cambia all’inizio degli anni ’20, quando, dopo un breve periodo di crisi in corrispondenza della prima guerra mondiale, la direzione viene assunta dal celebre Paul Derval che la manterrà per oltre mezzo secolo, attraversando indenne persino un’altra guerra mondiale. `Monsieur Folies Bergère’, come viene chiamato, afferma l’estetica dello sfarzo nelle riviste parigine: ne produce trentadue, tutte con un titolo di tredici lettere, comprendente la parola ‘folie’ o ‘folies’ (a parte due Revue d’Amour ): En pleine Folie, Coeurs en Folie, Un soir de Folie, La Folie du jour, Un vent de Folie, La grande Folie, De la Folie pure, Un coup de Folie, L’usine en Folie, Nuits de Folie, Femmes en Folie, La Folie d’Amour, Folies en fleur, ecc.

Le Les Folies Bergère sono fra i pochi locali che tengono viva la tradizione dei grandi spettacoli parigini anche alla fine degli anni ’30, quando altri famosi locali (come il Moulin Rouge) chiudono o si trasformano in cinema. Altri artisti notevoli presentati nella gestione sono la ballerina jazz `dadaista’ Nina Payne, il mitico Jean Gabin, la strana coppia Mistinguett-Fernandel e la diva per eccellenza della rivista: Joséphine Baker. Negli anni ’50 il locale comincia a essere conosciuto in tutto il mondo, anche grazie a una serie di tournée all’estero abilmente gestite da Derval. Quando questi scompare, nel 1966, è la vedova Antonia a mantenere la gestione del locale incaricando della direzione artistica Michel Gyarmathy. Inizia però una certa disaffezione del pubblico; i nomi celebri si diradano. Emergono comunque Zsa Zsa Gabor, Magali Noël e Liliane Montevecchi (già ballerina con Roland Petit). Nel 1974 la direzione passa a Helene Martini, che la gestisce senza particolari scossoni per un ventennio, rassegnata al sorpasso del Lido e del rinnovato Moulin Rouge. A metà degli anni ’90, con l’incarico di regista all’argentino Alfredo Arias, viene prodotta Fous des Folies , tentativo, solo in parte riuscito, di restituire il locale alla sua leggenda.

Fregoli

Nel 1890 Leopoldo Fregoli esordì come trasformista al caffè-concerto Esedra di Roma. La sua abilità consisteva nel saper eseguire fulminee e complete trasformazioni della propria persona dando vita a tipi e macchiette assai diverse tra loro. In realtà, egli fu assai di più di un abilissimo trasformista. Il suo successo, e questo sin dagli inizi della sua carriera, fu legato non semplicemente alla rapidità e alla perfezione delle sue trasformazioni ma alle sue forti doti comiche, di imitatore e di mimo. Sovente lui stesso autore delle sue pantomime, F. non si limitava a mutar d’abito o di maschera, ma cercava di restituire i personaggi che creava nella maniera più completa, in questo aiutato dalle sue eccezionali capacità fisiognomiche e da mezzi vocali estremamente duttili. Tra le sue doti, infatti, c’era anche quella di saper cantare su vari registri, così da tenore come da baritono e soprano. Nella sua vastissima galleria di figure, se rilevanti erano quelle maschili, straordinarie erano quelle femminili (in particolare quelle di sciantose, di `ingenue’ e di ‘cocotte’). Capace di guardare alla società che aveva di fronte e soprattutto al popolo, l’attore, alla pari del suo contemporaneo Petrolini, riusciva a riversare nel suo campionario di tipi inesauribili trovate mimiche e pungenti notazioni ironiche. F. fu popolare non solo in Italia, ma in ogni angolo del mondo; riscosse trionfali successi nelle maggiori capitali europee (Parigi, Londra, Berlino, Pietroburgo) e anche oltreoceano, in particolare a New York e in Sudamerica. Quando, quasi sessantenne, decise di ritirarsi dalle scene, godeva ancora di ampia popolarità e al suo attivo aveva totalizzato qualcosa come diecimila rappresentazioni. La sua ultima esibizione avvenne ai primi di febbraio del 1925 nella città di Niteroi, in Brasile.

varietà

Di nome e di fatto, il varietà era una babele di attrazioni varie prese in prestito ciascuna a piccole dosi dal teatro, dal circo, dall’operetta, dalla lirica, dallo sport, dal cinematografo. Perciò oggi con il termine varietà di solito si intendono generi spettacolari diversi fra loro per caratteristiche estetiche, sociali e di mercato. Genericamente, si parla di varietà riferendosi a tutta la composita tradizione della comicità popolare italiana del Novecento, ma in realtà essa si è sviluppata lungo le direttrici, in sé teatralmente autonome, del caffè-concerto, del varietà, dell’avanspettacolo, della rivista e infine della commedia musicale. L’arco di tempo abbracciato da questi generi va dall’ultimo decennio dell’Ottocento agli anni ’60 del secolo successivo.

L’origine comune è d’importazione francese, sul modello del café-chantant: spettacoli che avevano vita su pedane volanti costruite all’aperto accanto ai tavolini dei caffè più lussuosi delle città. Qui si esibivano, scritturati dai proprietari dei locali, comici, duettisti e cantanti. Quando, sul finire dell’Ottocento la moda del caffè-concerto prese piede definitivamente anche in Italia, nacquero spazi appositi per questo tipo di spettacoli: locali chiusi, veri e propri teatri, nei quali dare rappresentazioni in ogni periodo dell’anno, non solo in estate. Primo locale di questo genere, da noi, fu il Salone Margherita di Napoli inaugurato nel 1890 sotto la Galleria Toledo. Il caffè-concerto era fatto per ricchi in ricchi locali, ma comici, duettisti e cantanti diventarono una moda anche fra i meno abbienti. Ogni parco d’attrazioni (ce n’erano parecchi in molte città accanto alle stazioni e ai mercati) ebbe presto il suo padiglione teatrale dove si esibivano attori comici e cantanti; ballerine e imitatori. Gli attori drammatici, invece, vi rappresentavano a puntate grandi romanzi d’appendice riscritti per la scena, soap operas d’epoca.

Il varietà in senso stretto rappresenta il naturale sviluppo artistico ed economico del caffè-concerto. All’inizio del Novecento, assieme al Salone Margherita a Napoli, le cattedrali riconosciute del genere erano i romani Teatro Jovinelli inaugurato nel 1909 da Raffaele Viviani e la Sala Umberto aperta da Ettore Petrolini nel 1912. In questi luoghi lussuosi e ben frequentati, gli impresari riunirono il meglio di ciò che capitava nei caffè concerto e nei `padiglioni della meraviglie’. C’erano comici, duettisti e cantanti, ovviamente; ma anche ballerine, maghi illusionisti e prestidigitatori, contorsioniste, donne barbute e ballerini acrobatici, forzuti e giocolieri. In più, sul finire degli anni ’10, fra i vari numeri del varietà comparve anche il cinematografo, sotto forma di breve proiezione di una farsa o di un rapido dramma a fosche tinte.

Così arrivarono in Italia alcuni grandi comici stranieri (Harold Lloyd o Charlie Chaplin) e così si sviluppò la prima industria cinematografica autoctona (a Torino si producevano le comiche, a Napoli i drammi). Siamo a metà degli anni ’10 quando la guerra scalfisce le abitudini dell’Italia lontana dal fronte ma fa arricchire improvvisamente temerari impresari teatrali che organizzano spettacoli per i prigionieri, i feriti, gli orfani, i reduci… È da tutto questo che il varietà trae la sua energia maggiore, arrivando a essere unica forma di spettacolo totalmente nazionale e vero emblema dell’unità d’Italia: vi si recitano e cantano testi scritti in tutte le lingue-dialetti italiane (non solo napoletano e veneziano, ma anche milanese, piemontese, siciliano, romanesco…).

Nel varietà nacquero e prosperarono alcuni fra i massimi artisti teatrali della prima metà del Novecento. Prima di tutti Nicola Maldacea, cantante napoletano che inventò la `macchietta’, ossia la canzone comica in versi basata su una struttura narrativa molto articolata e di forte carica satirica. Poi vanno ricordati anche Leopoldo Fregoli (imitatore straordinario, capace di cambiare decine di fattezze e abiti nel corso di una sola serata); Ettore Petrolini (autore di alcune straordinarie parodie); Gustavo De Marco (il celebre uomo-marionetta cui si ispirò Totò); Anna Fougez (grande cantante) e suo marito René Thano (ballerino e raffinato coreografo); Raffaele Viviani (creatore di caratteri comici e drammatici rimasti nella storia di tutto il teatro del Novecento, non solo del varietà); Gilberto Govi (autore di sketch che spesso raggiungevano la dimensione della vera e propria commedia); Angelo Musco (irresistibile maschera tragicomica siciliana), Angelo Cecchelin (unico comico capace di reale ostilità nei confronti del futuro regime fascista).

Oltre alla macchietta, il varietà diede corso a una ricca produzione di canzoni popolari ma anche di monologhi, sketch e parodie. In ogni caso, tutto ruotava intorno a una trovata (per lo più comica) legata all’equivoco di un doppio senso che, se nei casi migliori nascondeva un risvolto spinto, nella maggior parte delle circostanze smetteva di essere doppio palesando sconcezze fin troppo dirette. Il varietà ebbe un successo popolare e mondano assolutamente strepitoso (non paragonabile ad alcun altro genere di spettacolo all’epoca) nei primi tre decenni del Novecento, generando poi, in seguito a una radicale trasformazione del mercato teatrale, l’avanspettacolo e la rivista, generi di altrettanto vasto successo nei due decenni successivi.