Convegno

Cronologicamente il Teatro del Convegno fu l’ultima avventura di una serie di iniziative culturali che ebbero nel regista e critico Enzo Ferrieri il perno animatore. Il teatro arrivò infatti dopo la pubblicazione (dal 1920) di un’omonima rivista; dopo la libreria, vero centro propulsore di cultura, situata in via Montenapoleone; dopo la biblioteca e il circolo (nato nel 1922), situato nello storico e centralissimo palazzo Gallarati Scotti. Limitato a duecentocinquanta posti, arredato con gusto liberty dall’architetto spagnolo Emanuele Fontanals, il teatrino trovò sede in un garage abbandonato tra corso Magenta e via Carducci; per più di un aspetto il suo modello era il parigino Vieux-Colombier, fondato da Copeau. Si leggeva nel manifesto di fondazione: «Il nostro teatro vuole essere prima di tutto un teatro di opere (e non solo teatro di attori, o di abiti, o di tende!) e cioè badare prima di tutto al valore dell’opera che si rappresenta». Una vera dichiarazione d’intenti, una linea molto chiara a cui Ferrieri rimarrà sempre fedele nel corso della sua vita artistica.

La sala venne inaugurata la sera del 24 novembre 1924 con la rappresentazione di All’uscita di Pirandello (anche regista) e de Gli innamorati di Goldoni: un curioso abbinamento di testi, che da molti venne interpretato come una sorta di dichiarazione programmatica; di apertura cioè al nuovo, partendo però da un solido ancoraggio alla tradizione drammatica. Cosa che evitava anche un facile scivolamento nello spazio di ricerca e di sperimentazione, nell’avventura stravagante e irrelata di una chiassosa avanguardia. A quello spettacolo seguì Marionette, che passione! di Rosso di San Secondo, lavoro anch’esso ben legato alla tensione problematica, storica ed esistenziale che il Teatro del Convegno si prefiggeva. Quindi, L’uragano di Ostrovskij, autore fino allora sconosciuto in Italia, presentato però fuori da schemi veristici in una scenografia tridimensionale (qualcuno parlò di `dispositivo scheletrico’), in linea con certe tendenze in atto sulla scena europea, russa in particolare, e molto debitrice al lavoro e alle teorie di A. Appia. Del resto, il contatto che il teatrino milanese ebbe con l’artista svizzero fu molto importante per le sue esperienze innovative; e ciò anche se poi le implicazioni radicali della drammaturgia di Appia al Teatro del Convegno finirono per ridursi a uno strumento di rigore e semplificazione, da sottomettere al primum intoccabile, vale a dire il rispetto del testo. Come già aveva fatto Copeau, ma senza forse lo stesso rigore e la lucidità teorica, anche al C. si volle una compagnia stabile e affiatata.

Tra gli attori figurarono nomi interessanti e poi diventati famosi, provenienti da formazioni capocomicali diverse; tra essi Esperia Sperani, Tina Bondi, Corrado Racca, Nino Besozzi e un’altra decina di loro colleghi. Nonostante il favore quasi unanime della critica, il pubblico non rispose con particolare fervore all’iniziativa; già poche settimane dopo l’inaugurazione fu subito chiaro che l’avventura non poteva proseguire, anche se nel cassetto giacevano progetti di spettacoli nuovi: autori quali Bontempelli, C.V. Lodovici, A. De Stefani, e anche quell’ Amleto di Bacchelli che Ferrieri riuscirà a realizzare solo molti anni dopo. Chiusi i battenti, il regista milanese perseverò a far teatro nelle sale di palazzo Gallarati Scotti, «senza abiti e senza tende», organizzando tra il 1925 e il 1933 alcuni spettacoli che rimasero significativi (Esuli di Joyce). Chiuso nel 1940 il primo ciclo del T. del C., il nome e sostanzialmente gli indirizzi artistici ricomparvero nel 1956 in altra sede (palazzo Besana di via degli Omenoni) dove Ferrieri, sempre con giovanile entusiasmo, inaugurò il Nuovo Teatro del Convegno: una sala (di circa quattrocento posti e con un palcoscenico in formato `teatroscope’, cioè largo e piuttosto basso) dove nel giro di cinque stagioni rappresentò diciotto novità italiane, diciassette straniere e cinque lavori classici. Successivamente lo stesso teatro, gestito dall’Angelicum, sarà diretto da Enrico d’Alessandro (1961-63) e, dal 1964 fino alla chiusura nel ’66, da Eligio Possenti.