Stanislavskij

Figlio di un facoltoso industriale, Konstantin Sergeevic Stanislavskij frequenta fin dall’infanzia teatri e circhi moscoviti; inoltre sia nella tenuta di Ljubimovka, vicino a Mosca, sia nella casa di città, la famiglia possiede due teatrini privati dove Stanislavskij con i fratelli organizza spettacoli amatoriali, soprattutto operette e vaudeville. Nasce così il ‘circolo Alekseev’, molto apprezzato nella buona società moscovita, dove comincia la lunga carriera di Stanislavskij attore e regista dilettante: una carriera lunghissima, più che ventennale, che dura dal 1877 (inaugurazione del teatrino di Ljubimovka) fino al 1898 (apertura del Teatro d’Arte). Frequenta per breve tempo la scuola d’arte drammatica dei teatri imperiali, prende lezioni di canto da F. Komissarzevskij, ma capisce presto che la vera scuola sono le tavole del palcoscenico e partecipa perciò molto attivamente a spettacoli filodrammatici in circoli e associazioni diverse, scegliendosi lo pseudonimo di Stanislavskij.

Nel 1888 con il regista Fedorov, il cantante Komissarzevskij e il pittore F. Sollogub fonda la ‘Società d’arte e di letteratura’, che è insieme club di amatori delle arti, scuola e circolo filodrammatico: Stanislavskij interpreta alcuni ruoli molto importanti (il Barone ne Il cavaliere avaro di Puškin, Sotenville in Georges Dandin di Molière, Ananij Jakovlev in Amaro destino di Pisemskij, Ferdinando in Amore e raggiro di Schiller, Paratov in Senza dote di Ostrovskij e Otello). Fra le attrici scritturate c’è la giovane Lilina, che diventa sua moglie nel 1889 e gli rimarrà accanto tutta la vita, interpretando ruoli di primo piano in molti spettacoli da lui diretti. Oltre che interprete sempre più apprezzato da critica e pubblico, Stanislavskij è anche regista: grande interesse suscita I frutti dell’istruzione di L. Tolstoj (1891), dove viene approfondito con coraggio il tema sociale (ne scrive entusiasta un critico che di lì a poco si unirà a Stanislavskij nell’impresa del Teatro d’Arte, Vladimir Nemirovic-Dancenko), a cui seguono Uriel Acosta di Gutzkow (1895), Otello di Shakespeare (1896), Senza dote di Ostrovskij, L’ebreo polacco di Erckmann (1896), La campana sommersa di Hauptmann (1898).

Nel 1890 è in tournée a Mosca la compagnia tedesca del duca di Meiningen: Stanislavskij è colpito dalla ferrea disciplina ottenuta dal regista nel lavoro con gli attori, dalla perfezione delle scene di massa, dalla ricercatezza di ambienti e costumi, tutti elementi che Stanislavskij cerca di introdurre nel suo lavoro. Una svolta nella vita di Stanislavskij segna l’ormai leggendario incontro con il critico Nemirovic-Dancenko del 21 giugno 1897: in un colloquio durato quindici ore pongono le basi della futura collaborazione e tracciano le linee del loro programma. Viene decisa la fondazione del Teatro d’Arte, con una compagnia formata da elementi della Scuola dove insegna Nemirovic (I. Moskvin, O. Knipper, Vs. Mejerchol’d ecc.) e da attori della Società guidata da  (M. Lilina, M. Andreeva, A. Sanin, A. Artem ecc.). Precise sono le competenze: Nemirovic, scrittore e amico di scrittori, si assume il compito di guidare il nuovo teatro nelle scelte di repertorio; Stanislavskij, più esperto in campo registico, ha la responsabilità del settore artistico.

Ogni consuetudine, in atto da decenni nei maggiori teatri russi, viene rivoluzionata: priorità della figura del regista nei confronti della compagnia; nessuna distinzione tra ruoli («Oggi Amleto, domani comparsa, ma sempre allo stesso livello artistico»); lunghi periodi di prove (invece delle quattro, cinque tradizionali), prima a tavolino poi in scena, con dettagliata disamina del testo, dell’ambiente culturale dell’autore, del periodo storico ecc.; accurata preparazione di scenografie e costumi studiati per ogni singolo spettacolo, al posto di inerti fondali e costumi di repertorio; abolizione della musica generica in apertura di spettacolo e negli intervalli; collaborazione stretta e continua tra tutti i collaboratori allo spettacolo («L’autore, l’attore, il pittore, il sarto, l’operaio devono servire all’unico fine posto dall’autore alla base della sua opera»). Stanislavskij, per facilitare e insieme rendere più rigoroso il lavoro degli attori, prepara per ogni spettacolo note precise a ogni singola battuta, con i movimenti di chi la pronuncia e di chi la ascolta, e indicazione di intonazione: i suoi copioni di regia, oggi in gran parte pubblicati, testimoniano la straordinaria cura e intelligenza del lavoro preparatorio per ogni spettacolo.

Il Teatro d’Arte si inaugura il 14 ottobre 1898 con Lo zar Fëdor Ioannovic di A. Tolstoj, che suscita meraviglia per la precisione naturalistica, la ricchezza di scene e costumi, l’intensità d’interpretazione dell’intera compagnia. Il primo testo di argomento contemporaneo (e anche il primo in cui Stanislavskij e Nemirovic collaborano alla regia) è Il gabbiano di Cechov: Nemirovic riesce a vincere le resistenze dell’autore (due anni prima era stata un fiasco al teatro Aleksandrinskij di Pietroburgo) e lo spettacolo nella nuova edizione ottiene un trionfo, diventa simbolo della rivoluzione operata dal Teatro d’Arte. Da allora tutti i nuovi lavori di Cechov vanno in scena al Teatro d’Arte con immutato successo: Zio Vanja (1899), Tre sorelle (1901), Il giardino dei ciliegi (1904). Nella sua autobiografia S. divide le regie dei primi anni in diverse linee: la linea storica (La morte di Ivan il Terribile di A. Tolstoj, 1899; lavori di Shakespeare, Hauptmann), la linea della fantasia (La fanciulla di neve di Ostrovskij, 1900; L’uccellino azzurro di Maeterlinck, 1908), la linea del simbolismo e dell’impressionismo ( L’anitra selvatica , 1901 e Spettri , 1905 di Ibsen; Il dramma della vita di Hamsun, 1907; La vita dell’uomo di Andreev, 1907), la linea dell’intuizione e del sentimento (oltre ai lavori di Cechov, Un mese in campagna , 1909 e i vaudeville, 1912, di Turgenev), la linea social-politica (soprattutto i lavori di Gor’kij: Piccoli borghesi e Bassifondi , 1902 e I figli del sole , 1905).

Nel 1905, insoddisfatto del sistema di lavoro fino allora attuato, pronto a tentare nuove vie ma convinto dell’impossibilità di sperimentarle in un teatro con spettacoli giornalieri, prove per tutto il giorno, bilancio rigidamente calcolato, fonda uno Studio (chiamato di via Povarskaja, dal nome della via dove ha sede) e chiama a dirigerlo un suo attore, divenuto regista lontano dal Teatro d’Arte, Vsevolod Mejerchol’d: con lui rivoluziona il sistema di prove, elimina la lettura a tavolino, va direttamente in scena e studia nuove soluzioni insieme agli attori, con improvvisazioni, ricerche sulla gestualità. La morte di Tintagiles di Maeterlinck, spettacolo che dovrebbe inaugurare lo Studio, non soddisfa Stanislavskij che decide di chiudere l’esperimento; ma la spinta verso un rinnovamento sia del metodo di lavoro sia del repertorio rimane.

Comincia in questi anni le prime ricerche sul `sistema’ (vedi sistema stanislavskiano): come far sì che la parte, ripetuta tante volte, non diventi iterazione meccanica di stampi esteriori? Stanislavskij pone le basi di un nuovo lavoro dell’attore su se stesso e sulla parte; lavoro sia interiore, sulla psiche, sia esteriore, sulla gestualità. Intanto l’esperimento fallito dello Studio lascia tracce: Stanislavskij rivolge l’attenzione a un diverso tipo di testi, soprattutto simbolisti (Hamsun, Andreev), allontanandosi dall’eccessivo psicologismo e dal naturalismo delle messinscene cechoviane e gorkiane. Il tentativo di una maggiore `convenzionalità’ culmina nella messinscena dell’ Amleto, in collaborazione con il regista inglese Gordon Craig (1910): collaborazione difficile, perché all’astratta concezione di una scenografia geometrica (impostata su pannelli mobili) e di attori-marionette di Craig si contrappone l’idea stanislavskiana di una scena verosimile, abitata da attori in carne e ossa.

Nel 1912 riorganizza uno Studio (il Primo Studio del Teatro d’Arte) dove, con un gruppo di giovani attori e l’aiuto di un prezioso collaboratore, L. Sulerzickij, si mette a studiare il `sistema’, ad approfondire le ricerche su voce, movimento, rapporto tra testo e psiche dell’attore. La rivoluzione d’Ottobre cambia totalmente la situazione anzitutto economica di Stanislavskij: non è più il facoltoso figlio di un ricco industriale, deve guadagnarsi da vivere con il suo lavoro di attore e regista. Inoltre accettare la nuova situazione significa cambiare il repertorio, rinnovare gli autori, adeguarsi ai radicali mutamenti nel sistema di vita e di organizzazione del teatro. S. entra in crisi (e con lui il Teatro d’Arte): non riesce a uscire dal circolo chiuso dei classici; La dodicesima notte al Primo Studio (1917) ha successo ma non va certo nella direzione del rinnovamento che ci si aspetta, la messinscena di Caino di Byron (1920) è un mezzo fiasco, quella del Revisore di Gogol’ (1921) viene lodata soprattutto per l’interpretazione del protagonista Michail Cechov (nipote del drammaturgo). Gli organi di stampa dei bolscevichi attaccano il Teatro d’Arte, decrepito monumento del vecchio regime spazzato dalla rivoluzione.

Nel 1922-24 Stanislavskij con una parte della compagnia compie una trionfale tournée in Europa e in America, che riconferma anche in patria la credibilità del Teatro d’Arte; su richiesta di un editore americano scrive La mia vita nell’arte , ampia autobiografia dove parla già ampiamente del `sistema’. Al ritorno, dopo Cuore ardente di Ostrovskij (1926), S. si apre al repertorio sovietico, senza tuttavia esporsi in prima persona (fa firmare le regie a I. Sudakov); e ottiene due successi con I giorni dei Turbin di Bulgakov (1926) e Il treno blindato 14-69 di Vs. Ivanov (1927), a cui seguono Untilovsk di Leonov (1928) e I dissipatori di Kataev (1928). Ma gli spettacoli che gli riescono meglio sono ancora i classici, Il matrimonio di Figaro di Beaumarchais (1927), Anime morte da Gogol’, Attrici di talento e ammiratori di Ostrovskij (1933). Nel 1928, in seguito a un attacco cardiaco durante una replica di Tre sorelle , smette fino alla morte di recitare e si dedica completamente alle ricerche sul `sistema’ e a qualche regia ( Molière di Bulgakov, Tartufo di Molière), la cui lunghissima gestazione gli serve più per controllare gli esperimenti sull’attore che per approdare a un vero spettacolo. La dittatura staliniana lo trasforma in un rigido simbolo del realismo in teatro, forzatamente contrapponendolo a registi d’avanguardia come Mejerchol’d, accusati di formalismo, di deviazione dalle linee di partito. Nel 1937 conclude il primo volume del suo lavoro sull’attore, Il lavoro dell’attore su se stesso (che esce pochi mesi dopo la morte, alla fine del 1938), e ha pronta una gran quantità di materiali per il seguente, Il lavoro dell’attore sul personaggio .

Nemirovic-Dancenko

Fondatore con Stanislavskij del Teatro d’Arte di Mosca, Vladimir Ivanovic Nemirovic-Dancenko inizia come brillante e acuto critico teatrale su quotidiani e riviste (“La sveglia”, “L’artista”, “Il corriere russo”, “Novità del giorno”) e come scrittore di romanzi, racconti e drammi ( L’ultima volontà , 1888; Un nuovo affare , 1890; L’oro , 1895; Il prezzo della vita , 1896; Sogni , 1901: tutti rappresentati con grande successo ai teatri Aleksandrinskij e Malyj, con i migliori attori del tempo). Nel 1896 rifiuta il premio Griboedov per Il prezzo della vita , ritenendo ingiustamente sottovalutato il coevo Il gabbiano di Cechov. Dal 1891 al 1901 insegna alla Scuola musicale-drammatica moscovita, formando una generazione di attori di grande futuro, che di lì a poco chiamerà a far parte del suo teatro. Nel 1898 incontra l’attore e regista Stanislavskij, di cinque anni più giovane di lui: insieme progettano un teatro davvero rivoluzionario, dove ogni routine, ogni convenzione viene rifiutata. Studio attento, rigoroso del testo, lunghi periodi di prove (mesi, rispetto ai pochi giorni delle normali compagnie), estrema, dettagliatissima cura nella preparazione ed esecuzione di scene, costumi, oggetti (rispetto all’uso di materiali già pronti e generici), collaborazione continua con scenografi, costumisti, sarti, trovarobe, per un risultato globale di armonia ed equilibrio del tutto nuovo nel teatro del tempo. Al termine di un lungo, `storico’ colloquio, Nemirovic-Dancenko e Stanislavskij decidono la fondazione del Teatro d’Arte. La compagnia è composta in parte dai colleghi della precedente compagnia di Stanislavskij, in parte dai migliori allievi di Nemirovic-Dancenko: O. Knipper, Vs. Mejerchol’d, I. Il’inskij.

Nonostante le prime regie vengano firmate insieme, la divisione dei ruoli è molto precisa: Nemirovic-Dancenko si assume l’onere delle scelte letterarie, Stanislavskij della preparazione artistica degli attori. Entrambi discutono l’impostazione del testo, lavorano all’approfondimento del discorso dell’autore. È Nemirovic-Dancenko comunque che decide quali autori inserire nel repertorio e che riavvicina Cechov al teatro, ottenendo da lui non solo l’autorizzazione a riprendere Il gabbiano dopo l’insuccesso di due anni prima, ma l’esclusiva di tutti i lavori successivi, da Zio Vanja (1899) al Giardino dei ciliegi (1904); è lui che convince Gor’kij a scrivere per il teatro, che porta al successo i suoi primi lavori ( Piccoli borghesi e Bassifondi , 1902) e mette in scena (sempre con Stanislavskij) I figli del sole (1906), in aperta polemica con il mondo borghese e l’ intelligencija , passivi, incerti, assenti negli anni `caldi’ seguiti alla rivoluzione del 1905. La sua attività di regista si rende lentamente autonoma da Stanislavskij, dimostrando solida maturità con spettacoli come Quando noi morti ci destiamo di Ibsen (1900), Giulio Cesare di Shakespeare (1903), Le colonne della società (1903) e Rosmersholm (1908) di Ibsen, I fratelli Karamazov da Dostoevskij (1910), Il cadavere vivente di Tolstoj (1911), Pane altrui di Turgenev (1912), Nikolaj Stavrogin da I demoni di Dostoevskij (1913), La morte di Pazuchin di Saltykov-Scedrin (1914), Il convitato di pietra di Puškin (1915). Dopo la Rivoluzione d’ottobre, mentre Stanislavskij compie tournée all’estero con grande successo, Nemirovic-Dancenko riorganizza il teatro, dimostrandosi disponibile alla nuova realtà sovietica. Sempre più indipendente da Stanislavskij, di cui non condivide l’esasperata lentezza che le ricerche del `sistema’ impongono alla preparazione degli spettacoli, introduce nel repertorio del teatro, fino allora dominato dai classici, interessanti testi sovietici, come Pugacëvscina di Trenëv (1925), Il blocco di Vs. Ivanov (1929), Ljubov’ Jarovaja di Trenëv (1936). Accanto alla scoperta di nuovi talenti, Nemirovic-Dancenko coltiva i classici che sono certamente più affini alla sua personalità e di cui coglie con sempre maggior ampiezza la complessità: oltre a Gor’kij, di cui mette in scena i più recenti lavori (Egor Bulycëv e altri , 1934; Nemici, 1935), e a Cechov, di cui riprende con grande sensibilità e intelligenza Tre sorelle (1940), si dedica a Tolstoj (riduzione di Resurrezione, 1930 e Anna Karenina, 1937), Ostrovskij (L’uragano, 1934), Griboedov (Che disgrazia l’ingegno!, 1938). Regista di solido impianto realistico, di ampia cultura e di grande professionalità, mantiene costantemente una posizione di autorevole prestigio, tenendosi lontano sia da facili sperimentalismi sia dal grigiore della politica culturale di partito. Ottiene notevole successo anche come regista d’opera.