Scaparro

Figura di regista e operatore teatrale tra le più interessanti e attive in Italia e all’estero, Maurizio Scaparro inizia la sua attività nel campo dello spettacolo come critico teatrale. Poco più che ventenne, infatti, collabora a “l’Avanti!” e, più tardi, a “Maschere, rassegna mensile di vita del teatro” diretto da Giovanni Calendoli. È, poi, direttore responsabile di “Teatro Nuovo”, rivista fondata con Ghigo De Chiara e Lamberto Trezzini (1961). Nel 1963, Scaparro è chiamato a dirigere il Teatro stabile di Bologna, poi, l’anno successivo, esordisce nella regia con Festa grande di aprile, novità di Franco Antonicelli, presentata al Teatro Municipale di Reggio Emilia.

Avverso a ogni forma di spettacolarità eccessiva, Scaparro fa dell’allusione e dell’illusione chiavi di lettura possibili dei propri spettacoli, contrassegnati da una tensione verso una teatralità riccamente utopica, cha abbia sempre al centro il destino dell’uomo. La consacrazione come regista avviene il 26 giugno 1965, al Festival dei due Mondi di Spoleto: Scaparro presenta La venexiana di Anonimo del Cinquecento (ripresa nel 1985 in una nuova edizione), con, una straordinaria Laura Adani e le scene di Roberto Francia (suo abituale collaboratore). Infaticabile ed instancabile, firma oltre sessanta spettacoli, tra i quali si ricordano Sagra del Signore della nave di Pirandello (1967); Chicchignola di E. Petrolini (1969) con Mario Scaccia; Amleto di Shakespeare (1972) con Pino Micol, che sarà protagonista di molti spettacoli di Scaparro; Cirano di Bergerac di Rostand (1977, 1985 e 1995); Don Chisciotte di M. Cervantes nella riduzione di R. Azcona e T. Kezich (1983, Festival di Spoleto, e successivamente in spagnolo nel 1992); Il fu Mattia Pascal (1986); Pulcinella, di Manlio Santanelli da un soggetto inedito di Roberto Rossellini, con Massimo Ranieri (1987); Vita di Galilei di Brecht (1988); Una delle ultime sere di carnovale di Goldoni (1989) e Memorie di Adriano di M. Yourcenar con Giorgio Albertazzi (1989 e 1994); Morte di un commesso viaggiatore di Miller (1997).

Contemporaneamente al suo affermarsi come regista, Scaparro conferma le sue capacità di organizzatore innovativo e acuto, dirigendo compagnie autonome (Teatro Indipendente, dal 1967 al 1969 e Teatro Popolare di Roma, 1975-79), Teatri Stabili (dopo Bologna, Bolzano dal 1969 al 1975; e Roma 1983-1990); e istituzioni pubbliche in Italia e in Europa, come la Biennale, durante la quale crea il celebre Carnevale del teatro (1980-82), il settore spettacolo dell’Expò di Siviglia nel 1992, o l’Ente teatrale italiano, di cui è commissario straordinario nel 1994-95. Nel 1997 assume la direzione del Teatro Eliseo di Roma.

Spoleto,

Nel 1958 Giancarlo Menotti diede vita a ciò che per molto tempo gli stava a cuore ed era stato un suo sogno: l’istituzione di un festival che prese subito il titolo Festival dei Due Mondi di Spoleto. Lo scopo principale del festival, delineato subito nelle sue grandi linee, è stato di far conoscere ed eventualmente di lanciare i talenti teatrali giovani nelle arti dello spettacolo. Ad aprire il festival quell’anno (giugno 1958) fu chiamato Luchino Visconti, che provvide alla regia del Macbeth di Verdi. In seguito Visconti avrebbe provveduto alla regia di altri capolavori della scena lirica, come La Traviata, Salomé e una memorabile Manon Lescaut (1973). Molti registi, all’inizio della loro carriera, diedero prova convincente del loro talento allestendo messinscene abbastanza rivoluzionarie, che destarono enorme scalpore soprattutto per la novità dell’ambientazione, delle scene e dei costumi, come fu quella dell’Italiana in Algeri di Rossini con la regia di Patrice Chéreau. Nello stesso tempo Menotti volle dare un impulso a opere liriche di rara esecuzione. Particolarità e attrattiva di uno spettacolo del festival derivavano principalmente dal modo con il quale esso veniva realizzato: non grandi nomi di direttori d’orchestra, ma destinati a diventarli (Thomas Schippers `in primis’, Christian Badea, Spiros Argiris). Così anche per i cantanti. A Spoleto hanno cantato i più grandi artisti della lirica degli ultimi decenni, senza essere portati sull’onda del divismo o della celebrità.

Un grande spazio Giancarlo Menotti volle subito dedicare al balletto, ben conscio del posto che quest’arte è andata occupando nel teatro. Sin dal 1958 Menotti ha voluto fare appello a un grande coreografo, Jerome Robbins; e fu subito con i Ballets Usa, una sorpresa per il pubblico, un qualcosa che non si era ancora visto: il balletto jazz elevato a espressione d’arte, le realtà del nostro tempo trasfigurate dal tocco di un maestro. Robbins per tanti anni è stato la guida di serate memorabili nel segno del buon gusto, dell’invenzione liberata a se stessa; dapprima, dopo i balletti al Teatro Nuovo (Afternoon of a faun, The Concert, New York Export: Opus jazz, Moves, Events) Robbins si limitava (nel Teatrino delle Sette) ai `petits riens’, piccoli saggi di coreografie scherzose, intelligenti. Al pubblico internazionale di Spoleto piacque molto l’idioma di Robbins, che sapientemente mescolava tutti i generi di danza: accademico, modern, jazz, danza di sala.

Addirittura una grande parata era allestita nel 1973: Celebration: l’arte del pas de deux, gala di celebri ballerini internazionali. Tornava Robbins in più d’una occasione ed erano ospiti del festival le più grandi star, le compagnie più prestigiose. Due formule particolarmente legate a Spoleto ribadivano l’importanza e l’interesse assunti dalla danza al festival: i Concerti di Danza con giovani solisti al Teatrino delle Sette, poi delle Sei; e le Maratone di Danza, nazionali per le due prime edizioni del 1977 e ’78, con le partecipazioni straordinarie di Carla Fracci e Paolo Bortoluzzi per la prima e di Elisabetta Terabust con Patrice Bart per la seconda. Dal 1980 ogni due anni la Maratona diventava internazionale, e la direzione passava dall’ideatore Alberto Testa allo stesso e a Vittoria Ottolenghi, spettacoli di grande richiamo popolare. Nella prosa Guido Davico Bonino riusciva a riunire gruppi di teatro drammatico con molte novità e regie particolarmente innovatrici, non esclusa di volta in volta la partecipazione di alcuni attori illustri.

Il settore lirica era il più curato, con opere di repertorio ma anche con altre di rara esecuzione, come il teatro di Richard Strauss, Janácek, Alban Berg, Stravinskij e anche novità di Berio, Nono, Rota, Petrassi, Menotti. Autentiche perle della manifestazione i Concerti di Mezzogiorno: ogni giorno alle 12 una specie di `Concerto aperitivo’ al Teatro Caio Melisso, occasione di conoscere eccellenti solisti e alcuni complessi, molti dei quali rivelati proprio da S. e lanciati nel mondo. Basterebbe ricordare la violoncellista Jacqueline Du Pré, troppo presto strappata alla vita e già diventata un mito. Del resto, s’è detto, scopo del Festival dei Due Mondi è sempre stato quello di mettere in luce gli artisti che hanno cercato e cercano una collocazione nel mondo dell’arte.

Quella libertà da tendenze estetiche e ideologiche, politiche o religiose, che ha favorito l’accostamento di autori e artisti diversi nella musica, la ritroviamo anche nella prosa, da Ronconi e Grotowski a Wilson. Abbiamo assistito così ai Fogli d’album con testi di Flaiano, Gaipa, Wilcock fra gli altri, diretti da S. Sequi; ai Carabinieri di B. Joppolo messi in scena da R. Rossellini, con le scene e i costumi di R. Guttuso; all’O’Neill postumo di Una luna per i bastardi ; a D’amore si muore di Patroni Griffi, regia di G. De Lullo, che ha curato anche uno splendido Malato immaginario di Molière (con R. Valli); alla coppia Morelli-Stoppa in Caro bugiardo di Kilty, dal carteggio tra G.B. Shaw e la Campbell; alle Diavolerie di Fersen, che ha portato anche l’angoscioso Leviathan ; al giovanissimo Chéreau con La finta serva di Marivaux e al vibrante e rivoluzionario Orlando furioso di Ronconi.