Schlemmer

Nel 1921 Oskar Schlemmer entrò a far parte del corpo insegnante del Bauhaus, dove diresse inizialmente il laboratorio di scultura; dal 1923, dopo il ritiro di Lothar Schreyer, assunse anche la direzione del laboratorio di teatro. Il Balletto triadico , il suo capolavoro, iniziato a Stoccarda nel 1912 in collaborazione con i ballerini Albert Burgen ed Elza Hotzel e il maestro scenografo Carl Shlemmer, era già stato rappresentato almeno in parte, nel 1915. La prima esecuzione del balletto intero avvenne nel 1922, al Landerstheater di Stoccarda: dodici brani coreografici, in diciotto diversi costumi realizzati con imbottiture, con forme rigide in cartapesta dipinta a colori o in toni metallici, indossati da due ballerini e una ballerina. Le tre sezioni del balletto declinavano ciascuna il carattere giocoso-burlesco, il cerimonioso-solenne, la fantasia mistica. Il `maestro-mago’, come lo definì Walter Gropius, affermava nelle sue creazioni, come nell’opera teorica, la propria posizione tra i sostenitori del superamento della messa in scena naturalistica.

Tra il teatro meccanico, astratto, in cui l’uomo-attore è sostituito dalla marionetta o da effetti cinetici, egli sceglieva un teatro che non rinunciava alla componente umana. Ma l’uomo-teatrale di Schlemmer doveva sconfinare dai propri limiti naturalistici, ponendosi in relazione con le leggi tridimensionali dello spazio. E poteva farlo con gli espedienti del travestimento, del costume e della maschera, operando una riduzione dei dati naturali del corpo umano a un’essenzialità geometrica che si concentrava nelle forme del cubo, del cilindro e della sfera, per tendere a un’astrazione che era per Schlemmer riduzione all’essenziale, all’elementare, al primario. E d’altra parte, potenziando le proprie possibilità cinetiche attraverso un’adeguata preparazione atletica, l’uomo-teatrale di Schlemmer eliminava dalla danza, con l’aiuto della geometria, del meccanico e dell’artificiale, ogni residuo psicologico e sentimentale.

Nel rapporto tra uomo e spazio si rivelava la sostanza metafisica dell’estetica di Schlemmer voleva che l’uomo sconfinasse dai propri limiti per ricongiungersi a una più profonda struttura di ordine cosmico. Scopriva figure che rappresentavano idee metafisiche (la forma stellata della mano a dita dilatate o il segno dell’infinito nelle braccia conserte) e vi ritrovava il valore di simboli che rinviavano alla struttura dello spazio, rintracciando per analogia i legami che uniscono il microcosmo dell’uomo al macrocosmo dell’universo. Poiché era posseduto dall’idea di ritrovare nuovi simboli, considerato che, a suo avviso, la cultura contemporanea li aveva perduti e si rivelava incapace di ricrearne. L’energia spirituale della sua ricerca, generava figure e forme che simboleggiavano i tipi eterni dei caratteri umani nelle loro diverse accezioni, serene o malinconiche, giocose o serie.

Le sue ‘figure epiche‘ monumentali erano personificazioni di concetti elevati quali la Forza, il Coraggio, la Verità, la Bellezza, la Legge e la Libertà. Nei suoi scritti, accompagnati da illustrazioni e diagrammi di sua mano, testimoniava quella che Walter Gropius definì una «vasta lungimiranza», e la «chiarezza di idee e il controllo spirituale, volti sempre verso valori generali ed eterni». Durante il periodo di ricerca al Bauhaus, Schlemmer ideò le scenografie, i costumi e le coreografie della Danza metallica (1928-29) e della Danza del vetro (1929). Ricordiamo anche Gabinetto figurale I e II (1922), Meta o la pantomima dei luoghi (1924), Don Giovanni e Faust di Grabbe rappresentato al Teatro Nazionale Tedesco di Weimar nel 1925, Assassinio, speranza delle donne , di Oskar Kokoshka con musica di Hindemith, messo in scena al Landerstheater di Stoccarda nel 1921.

Burri

Alberto Burri iniziò l’attività teatrale con i balletti di Morton Gould Spirituals, rappresentati alla Scala nel 1963 e lavorò al Tristano e Isotta di Wagner per il Regio di Torino nel 1976. Realizzò per la moglie, la coreografa Minsa Craig, le scenografie del balletto November steps , del 1973, dove proiettò su un fondale le immagini filmate dei suoi ‘cretti’, celebri esemplari delle sue opere polimateriche. Ricordiamo il progetto di uno spazio scenico, il Teatro Continuo, per la Triennale di Milano del 1973.

Ceroli

Progetto scientifico-architettonico e modularità sono i termini che hanno caratterizzato lesculture di Mario Ceroli in legno e le sue scenografie, dal debutto nella prosa ( Riccardo III di Shakespeare diretto da L. Ronconi, Torino 1968) e nella lirica ( Norma di Bellini alla Scala, 1972; regia di M. Bolognini). Ricordiamo, tra l’altro, le sue scenografie per le opere di Verdi – Aida all’Opera di Roma (1978), Il trovatore all’Arena di Verona (1985) e Don Carlos alla Fenice (1992) – e Puccini, con La fanciulla del West (1980) e Tosca (1990) all’Opera di Roma.

Picasso

Nel 1916 Pablo Picasso fu chiamato da Diaghilev a collaborare ai Balletti Russi per un soggetto di Jean Cocteau, Parade , con la musica di Erik Satie, messo in scena al Théatre du Châtelet nel 1917. «L’argomento sembra scritto per me», affermava Picasso alludendo alla scena davanti al baraccone su un boulevard parigino, dove gli artisti di un circo ambulante – un acrobata, un prestigiatore cinese, una ragazza americana – davano un saggio del proprio talento per invitare il pubblico a entrare. Realizzò una scenografia con prospettive fortemente sfalsate e intervenne sul soggetto inserendo dei personaggi, i manager-imbonitori, vestiti con sovrastrutture in stile cubista, dei giganteschi monoliti disumanizzati che inscenavano giochi mimici. Trattò il sipario dipingendo i protagonisti di un circo immaginario alla maniera dei suoi arlecchini ambientati tra i drappeggi di una scena. Due anni dopo ideava le scene e i costumi di Le tricorne, il balletto con le musiche di Manuel de Falla rappresentato al Théâtre de l’Opéra. Una storia di seduzione dalla vena satirica ambientata in un villaggio andaluso nel Settecento. Il noto sipario rappresentava `l’arrastro’, il prelevamento del toro morto che viene trascinato fuori dall’arena visto da una loggia ad arcate con gli spettatori. La sera della prima, Picasso dipinse i volti dei ballerini come maschere africane.

Nel 1920 era impegnato ancora con Diaghilev in Pulcinella , con le musiche ideate su temi di Pergolesi da Stravinskij («un musicista cubista», osservava Picasso). Venne messo in scena al Théâtre de l’Opéra nel 1920. «Ho immaginato una scena nella scena: una strada di Napoli inquadrata nell’arco scenico di un teatro dove si vedono le logge d’avanscena abitate da personaggi del secondo impero», ricordava Picasso Dipinse vari bozzetti, ma non apprezzò il lavoro, così Picasso creò una seconda versione, «una scena arcisemplice», diceva, «tappeto bianco puro, scene grigio scuro, e i gai costumi della commedia dell’arte». I vecchi decori di Pulcinella ritornarono alla ribalta, rimaneggiati, quando Diaghilev gli chiese le scenografie di Cuadro flamenco , rappresentato al Théatre de la Gaité-Lyrique nel 1921. Nel 1922 Picasso lavorava alla scenografia per il libero adattamento di Cocteau dell’ Antigone di Sofocle, con musica di Arthur Honegger, per il Théâtre de l’Atelier di C. Dullin. I costumi erano di Coco Chanel. Il bozzetto consisteva in un pezzo di carta accartocciato che divenne in scena il fondale roccioso di tela juta blu violetto debordante dal palcoscenico. Al centro, in una nicchia sospesa circondata da maschere dipinte da Picasso, declamava il coro.

Seguiva, nel 1924, il balletto Mercure, con la coreografia di Massine e la musica di Satie – una serie di scene collegate dalla presenza di Mercurio – realizzato nel 1924 per La Soirée de Paris, una manifestazione di spettacoli promossa dal conte Etienne de Beaumont. Il celebre sipario rappresentava due soggetti favoriti dall’artista, Arlecchino che suona la chitarra insieme a Pierrot col violino. Picasso ricordava di avere «concepito, per i differenti `quadri’, delle strutture in fil di ferro rigido e delle superfici in cartone che potevano essere animate da movimenti. Nella Notte , per esempio, una ballerina `danzava’ alla donna addormentata e la mia scena di cartone dondolava dolcemente. Volevo suggerire il movimento del caso, delle nuvole che passano». Diede il suo ultimo contributo al teatro di nuovo con Diaghilev per Le train bleu, dal soggetto di Cocteau e musica di Darius Milhaud. Le scenografie erano dello scultore Henri Laurens e i costumi di Coco Chanel. Picasso aveva concesso la riproduzione ingigantita di un suo lavoro per il sipario, Due donne che corrono sulla spiaggia . Nel 1945 il fotografo Pierre Brassai visitò Picasso per chiedergli un bozzetto per il sipario di Rendez-vous , il balletto con musica di Joseph Kosma e coreografie di Roland Petit: fu la versione ingrandita della tela Bugia e maschera .

Noguchi

Determinante per la carriera di Isamu Noguchi fu un viaggio a Parigi negli anni Trenta dove conobbe Giacometti e Brancusi. Influenzato dal Surrealismo e anche dalla pittura primitiva messicana, N. ricercò un’ `astrazione senza limiti’, che lo portò a sperimentare il rapporto tra spazio e materia, e per un certo periodo a interessarsi all’architettura dei giardini. In seguito a un incontro con la coreografa Martha Graham, per la quale realizzò le scenografie di Frontier nel 1935, cominciò una lunga collaborazione che lo portò a lavorare, fra gli altri, per Dark Meadow (1946), rappresentato al Rosenthal Playmouth Theatre di Londra, Cave of Heart (1946), al Maggio musicale Fiorentino, Diversion of Angels (1974) al Nuffield Theatre di Southampton, Argent Song (1954) al Teatro Comunale di Firenze, Voyage (1953) presso l’Alvin Theatre di New York, Seraphic Dialogue (1955) all’ANTA Theatre di New York, Clytemnestra (1958) all’Adelphy Theatre di New York, Phaedra (1962) al Broadway Theatre, Circe (1963) al Prince of Wales di Londra, Cortege of Eagles (1967), El penitente (1969) al London Contemporary Dance Theatre, Orphée (1974) al Théâtre de l’Opéra di Parigi, Phaedra’s Dream (1983) a Palazzo Pitti di Firenze.

Barlach

Considerato fra i maggiori esponenti dell’arte espressionista, Ernst Barlach fu perseguitato dal nazismo come `artista degenerato’. Pur avendo dato alle arti figurative le sue prove migliori, approdò al teatro con alcuni drammi di tonalità espressionista e simbolista e nel 1924 vinse il premio Kleist. Tra questi: Il giorno morto (Der tote Tag, 1912, rappresentato nel 1919), in cui una madre uccide di nascosto il cavallo fatato che doveva condurre il figlio nel vasto mondo, e uccide così anche il figlio per non separarsi da lui; Il povero cugino (Der arme Vetter, 1918, rappresentato nel 1919), Die echten Sedemunds (1920, rappresentato nel 1921) e Der Findling (1922) sono rappresentazioni di vita popolare della Bassa Sassonia, che si sviluppano in linee di allucinata leggenda; Il diluvio (Die Sundflut, 1924) oppone il pio e docile Noè al fiero e ribelle Calan; Der blaue Boll (1926) mostra l’esperienza religiosa del ricco e ben pasciuto proprietario Boll. Con Die gute Zeit (1929), B. chiuse la sua attività di autore drammatico. Der Graf von Ratzenburg fu pubblicato postumo da Fridrich Schult (1949).

Fontana

Dopo una fase dedicata principalmente all’astrattismo e a una certa geometrizzazione di matrice costruttivista, Lucio Fontana nell’immediato dopoguerra teorizzò lo spazialismo, con ben sette manifesti tra il 1947 e il ’53. La sua ricerca, incentrata principalmente sulla rappresentazione dello spazio, lo portò a realizzare tagli e buchi sulle tele, liberandolo da ogni definizione materica e da ogni vincolo di senso rinascimentale o naturalistico. Nel 1964, in seguito a un’opera intitolata Teatrini, Fontana sviluppò l’idea per una messa in scena del proprio stile, che lo spingerà a realizzare le scenografie per La scatola magica , in collaborazione con Pietro Consagra, Fabio Mauri e Giulio Turcato, e soprattutto le scene e i costumi del Ritratto di Don Chisciotte , balletto di Petrassi con la coreografia di A. Milloss (Scala 1967).

Paolini

Collegato alla corrente dell’Arte Povera, movimento emerso in Italia a fine anni ’60 e caratterizzato da opere costituite prevalentemente da materiali poveri e di rifiuto, Giulio Paolini cominciò a interrogarsi sul concetto di doppio e di copia sin dai primi anni ’70, per poi approdare a un discorso sul barocco e l’arte del Quattrocento. Da sempre interessato alla messa in scena e alla rappresentazione, ebbe una fruttuosa collaborazione con il regista Carlo Quartucci, con il quale realizzò Manfred di Robert Schumann (Auditorium di Torino, 1970), Don Chisciotte , adattato da Roberto Lerici e trasmesso dalla Rai il 10 aprile 1970, Opera (Genova, 1980), dove P. fu anche autore, e per il quale realizzò le scene e i costumi insieme a Jannis Kounellis, Platea (1981), Scene di conversazione (Parigi 1982) e Primo amore di Samuel Beckett (Teatro Ateneo di Roma, 1986). Da ricordare inoltre Il trasloco di Vittorio Gassmann (Torino 1973), La mandragola di Machiavelli (Vercelli 1983) in collaborazione con Mario Missiroli, e Il combattimento di Tancredi e Clorinda (1984), basato su alcuni canti della Gerusalemme liberata di Tasso. Interessante citare infine, per il vasto numero di membri della comunità artistica coinvolti, Pentesilea (Teatro Olimpico di Roma, 1986), basato su un’idea di Rudi Fuchs, con i costumi di Luciano Fabro e con scene dell’artista, di Enzo Cucchi, Mario Merz, David Salle, Markus Lupertz e Lawrence Weiner.