Royal Ballet

Royal Ballet è il nome assunto dal Sadler’s Wells Ballet nel 1956, dopo la concessione del titolo reale alla sua scuola. All’origine di quello che è diventato un complesso di circa novanta elementi (più una `seconda’ compagnia dal 1946, adesso Birmingham Royal Ballet), c’è la piccola scuola fondata da Ninette De Valois nel 1926 con il nome di Academy of Choreographic Art. Il gruppo che ne è nato ha preso dapprima il nome Vic-Wells Ballet (derivato dai due luoghi nei quali si esibiva agli inizi, l’Old Vic Theatre e il Sadler’s Wells), poi quello di Sadler’s Wells Ballet, denominazione che ha mantenuto anche dopo il 1946, quando si è trasferito nella sede più prestigiosa della Royal Opera House, al Covent Garden. Nei primi decenni la compagnia si è concentrata sulle creazioni, organizzando programmi misti di balletti in un atto, seguendo l’esempio di Diaghilev. La coreografia era affidata soprattutto alla De Valois e ad Ashton, diventato coreografo stabile nel 1933. Constant Lambert è stato il direttore musicale fino al 1948. Alicia Markova ha fatto parte della compagnia per qualche anno e Anton Dolin, Lydia Lopokova e Stanislas Idzikovski sono stati ospiti in diverse produzioni. Il primo classico dato in forma integrale è stato Coppelia , seguito da Giselle , Lo schiaccianoci e Il lago dei cigni , tutti montati da Nicolai Sergueyev e volti a sviluppare la tecnica degli artisti.

Nel 1939 si è aggiunta La bella addormentata, che sarebbe diventata dopo la guerra, in vesti più sontuose, l’emblema della compagnia. Margot Fonteyn ha avuto il primo ruolo importante nel Rio Grande di Ashton (1935, musica di Lord Berners) e poi il ruolo centrale nella maggioranza delle produzioni. Fra le più importanti creazioni della De Valois in quegli anni: The Haunted Ballroom (musica di Geoffrey Toye), The Rake’s Progress (musica di Gavin Gordon) e Checkmate (di Arthur Bliss); di Ashton, Les Patineurs , Nocturne (musica di Delius), Apparitions (musica di Liszt), Horoscope (di Lambert) e Dante sonata (ancora di Liszt, danzato a piedi nudi). La bella addormentata ha inaugurato la permanenza al Covent Garden in una produzione più grandiosa, con scene e costumi molto indovinati di Oliver Messel) questo spettacolo ha trionfato anche a New York nel 1949) Symphonic Variations di Ashton (Franck-Fedorovitch), per tre coppie, è stato la prima creazione nella nuova sede. I coreografi ospiti in quegli anni sono stati Lèonide Massine (tre riprese, due creazioni), George Balanchine ( Ballet Imperial ); Roland Petit ( Ballabile ) e, negli anni ’50, John Cranko ha realizzato diversi balletti per le due compagnie; l’ultimo, al Covent Garden, è stato una sfortunata versione del Principe delle pagode . Ashton ha creato nel 1948 il suo primo balletto in tre atti ( Cinderella ) seguito solo da Sylvia e da Ondine.

L’arrivo di Rudolf Nureyev in veste di `ospite stabile’ ha rappresentato una spinta in avanti per i ballerini del Royal Ballet, regalando una seconda giovinezza a Margot Fonteyn. La partnership di questa coppia è diventata materia di leggenda già dopo la prima Giselle , danzata insieme nel 1963. Nureyev ha realizzato per la compagnia l’`Atto delle ombre’ da La bayadère e in seguito altri lavori; ha danzato in Marguerite and Armand con la Fonteyn e, sempre con lei, nel Romeo e Giulietta di MacMillan, nel frattempo trasferitosi dal Sadler’s Wells al Covent Garden. Proprio MacMillan avrebbe in seguito creato numerosi balletti per la compagnia, in uno e in tre atti. Gli anni ’60 e gran parte dei ’70 hanno rappresentato un periodo d’oro per la compagnia, allora forte di prime/i ballerine/i di spicco, con il risultato che tutti i cast potevano contare su un grande interesse da parte del pubblico. Nel 1970, Jerome Robbins ha montato per la compagnia Dances at a Gathering , seguito da Afternoon of a Faun , The Concert e In the Night .

Nel 1963, la De Valois ha ceduto il posto di direttore artistico ad Ashton, il quale ha invitato Bronislava Nijinska a realizzare Les noches e Les biches . Dopo Ashton, MacMillan è stato nominato direttore artistico, seguito da Norman Morrice (proveniente dal Ballet Rambert). Infine, Anthony Dowell, già direttore associato, è diventato direttore artistico nel 1986. Dopo Rhapsody (per Michail Barišnikov e con Lesley Collier nel principale ruolo femminile), Ashton ha creato pochissimo, e MacMillan è diventato il coreografo principale. Anche Glen Tetley ha lavorato con la compagnia. Dopo la morte di Ashton (1988) e MacMillan (1992), la compagnia si è sentita orfana e ha dovuto lottare per mantenere una sua identità.

Scala,

Dopo gli splendori ottocenteschi, il Balletto del Teatro alla Scala entrò nel nuovo secolo in una situazione di crisi creativa. Si rimasticano stancamente i moduli del vecchio ballo manzottiano e, quando si tentano novità, sorgono grotteschi titoli come Bacco e Gambrinus dell’epigono Giovanni Pratesi, rappresentato nel 1904 e nel ’12, in quest’ultima ripresa addirittura con la pseudo-danzatrice e autentica avventuriera Mata Hari. La rinuncia alla primogenitura ballettistica è particolarmente dolorosa alla Scala: l’ha evidenziato la gelida accoglienza riservata ai Ballets Russes di Diaghilev nel 1927, così come era avvenuto anni prima con la compagnia di Ida Rubinstein, che presentava il medesimo repertorio coreografato da Fokine. L’illusione di tornare ai vecchi fasti fu alimentata dal ballo Vecchia Milano, ancora su coreografia di Giovanni Pratesi e musica di Franco Vittadini, andato in scena nel 1928 con notevole successo, con altre riprese negli anni successivi.

Ancora nell’ambito del kolossal, nel 1932, Belkis, regina di Saba su musica di Respighi, con coreografia di Massine e scene di Nicola Benois: un’occasione di lancio per una delle maggiori ballerine della Scala dell’epoca, l’allora giovanissima allieva di Cecchetti Attilia Radice. Quest’ultima, unitamente a Cia Fornaroli, è stata la stella più fulgida tra le due guerre nel teatro milanese. La scuola di ballo della Scala fu riaperta nel 1921 dopo un periodo di crisi e fu illustrata, dal 1925 alla morte nel ’28, dal grande Enrico Cecchetti, chiamato da Toscanini a reggere la gloriosa Accademia che era stata di un altro sommo didatta, Carlo Blasis. Alla morte del maestro Cia Fornaroli ne assunse la direzione, mentre si prodigava anche come interprete in alcune importanti creazioni (Petruska di Stravinskij, diretto dallo stesso autore, con Enrico Cecchetti nel ruolo del Ciarlatano).

Una breve stagione di successi a cavallo tra gli anni ’30 e ’40 è quella della giovane ballerina e coreografa Nives Poli, con la sua formula dei `Balletti sinfonici della Scala’, una sorta di anticipazione di altre creazioni di Balanchine e di Massine. Ma è con l’avvento di Aurelio Milloss nel 1942 che si verifica un’autentica svolta e una sostanziale rinascita del ballo scaligero. Nel corso di una serata dedicata a opere contemporanee il coreografo italo-ungherese allestisce la prima esecuzione del Mandarino meraviglioso di Bartók (1942), di cui è protagonista accanto ad Attilia Radice. La guida del ballo scaligero da parte di Milloss porta al rinnovamento completo degli organici, con una salutare immissione di elementi maschili come Ugo Dell’Ara, Giulio Perugini e Mario Pistoni, importati da Roma. Tra le memorabili creazioni di Milloss alla S., La follia d’Orlando su musica di Petrassi (1947).

La riapertura della Scala dopo i tremendi danni bellici coincide anche con un’apertura artistica e culturale verso i grandi complessi stranieri. Giungono il New York City Ballet di Balanchine, il Sadler’s Wells Ballet (poi Royal Ballet) di Londra, l’Opéra di Parigi. Alcune importanti stelle di questi complessi partecipano alle successive stagioni, come Margot Fonteyn e Serge Lifar, ai quali si aggiunge la presenza del grande danzatore spagnolo Antonio. Tra i coreografi ospiti più assidui Roland Petit, Massine, Balanchine e, più recentemente, Rudolf Nureyev. Quest’ultimo ha debuttato come interprete alla Scala accanto alla Fonteyn nel 1965; sarà poi assiduo nel duplice ruolo di esecutore e creatore, soprattutto con riproduzioni di classici come Schiaccianoci e Don Chisciotte .

Fra gli esecutori, soprattutto sul versante femminile, la Scala esprime notevoli personalità. Dopo Olga Amati, Luciana Novaro, Vera Colombo, nel 1955 si rivela la giovanissima Carla Fracci, che per quaranta e più anni sarà la stella assoluta del teatro in innumerevoli produzioni: dapprima nella tipologia romantica, soprattutto con Romeo e Giulietta di Prokof’ev e in numerose edizioni di Giselle, e quindi con molte creazioni spesso espressamente pensate sulla sua misura di interprete, come il recente Chéri di Roland Petit (da Colette). Seguono la tecnicamente forte Liliana Cosi, Anna Razzi, Oriella Dorella; si segnala la singolare personalità di Luciana Savignano, che Maurice Béjart predilige, ma non riesce a strappare alla Scala ove interpreta balletti di Pistoni, di Petit e dello stesso Béjart. Nel settore maschile da segnalare la breve stagione di Paolo Bortoluzzi come coreografo e anche direttore del ballo, con creazioni come Omaggio a Picasso e Cenerentola. Gli si affiancano ottimi danzatori di estrazione scaligera come Roberto Fascilla e Amedeo Amodio, quest’ultimo anche in qualità di coreografo.

La penuria di danzatori maschi, che ha lungamente caratterizzato la Scala, sembra vinta con l’avvento di Maurizio Bellezza, Davide Bombana e Marco Pierin ai quali seguiranno, più recentemente, Massimo Murru e Roberto Bolle. Quasi tutte queste personalità provengono dalla stessa scuola di ballo della S. retta, dal 1974, da Anna Maria Prina. Proveniente dalla scuola, anche se perfezionata a Londra, è la nuova stella ospite della Scala. Alessandra Ferri, che interpreta i maggiori classici a partire dal discusso Lago dei cigni di Zeffirelli nel 1985. Per lei Forsythe ha creato una novità, nell’ambito del suo primo ingresso nel teatro milanese nel 1998.