Xirgu, Margarita

Margarita Xirgu si affermò tra le migliori attrici comiche, ma fu anche insuperabile tragica della scena catalana.

Margarita Xirgu è stata un’attrice teatrale spagnola naturalizzata uruguaiana. Dotata di straordinaria versatilità, di sensibilità acutissima e di grande spontaneità di espressione, si affermò ben presto tra le migliori attrici comiche, ma fu anche insuperabile tragica della scena catalana.

Margarita Xirgu, una vita per il teatro

Formata una propria compagnia, Margarita Xirgu recitò dapprima al Teatro Principal di Barcellona, dove interpretò Mariana Pineda di García Lorca con scenografia di Salvador Dalí (1927). Da quel momento iniziò una stretta collaborazione sia col poeta granadino, di cui mise in scena tutte le opere più importanti, sia con altri giovani autori anticonformisti.

Il sodalizio con Federico García Lorca

Grazie al suo sodalizio con Federico García Lorca, Margarita Xirgu interpretò numerosi dei suoi lavori teatrali. Il suo repertorio vastissimo e una cultura di largo respiro le consentirono interpretazioni di una vasta gamma di personaggi.

Durante la guerra civile si trasferì in America Latina, continuando a recitare opere di García Lorca. Definitivamente esiliata dal 1939, visse in Argentina, Cile e Uruguay. A Buenos Aires interpretò Lo spauracchio di R. Alberti (1944) e La casa di Bernarda Alba di Lorca (1945).

A Montevideo diresse il Teatro Nazionale, promuovendo un ampio repertorio di autori classici e moderni. Fondò la Scuola municipale d’arte drammatica che formò intere generazioni di attori.

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Ubaldi, Marzia

Dopo aver mosso i primi passi al Piccolo Teatro di Milano, Marzia Ubaldi ha avuto una brillante carriera da doppiatrice e attrice.

Marzia Ubaldi è un’attrice, cantante e doppiatrice italiana. Dopo aver mosso i primi passi nel mondo dello spettacolo al Piccolo Teatro di Milano, ha avuto una brillante carriera da doppiatrice, attrice teatrale e televisiva. Numerosissime le sue interpretazioni teatrali, fra le quali vanno ricordate Il gabbiano, Le tre sorelle, La donna serpente.

Marzia Ubaldi al Piccolo Teatro di Milano

Dopo essersi diplomata dalla Scuola del Piccolo di Milano, Marzia Ubaldi debutta nella compagnia dello Stabile nel 1960 con La congiura di Giorgio Prosperi diretta da Luigi Squarzina, che poi la scrittura allo Stabile di Genova. Inizia così una brillante carriera di attrice teatrale, televisiva, cinematografica e di doppiatrice.

A Spoleto recita in I carabinieri di Joppolo nell’unica regia teatrale di Roberto Rossellini. Dopo una pausa decennale, torna al palcoscenico con Lupi e pecore di Ostrovskij, regia di Sciaccaluga e con L’orologio americano di Arthur Miller. Con Alberto Lionello interpreta la seconda edizione del musical Ciao Rudy. Si dedica quindi a una intensa attività di doppiatrice, mentre a teatro fa compagnia con il marito Gastone Moschin (Delitto all’isola delle capre di Ugo Betti). Fra gli ultimi spettacoli L’impresario delle Smirne di Goldoni con la regia di Missiroli.

La carriera da doppiatrice e in televisione

Negli anni Sessanta ha avuto anche una breve carriera come cantante, incidendo tra l’altro per la Karim; la Ubaldi incise la prima versione di La ballata dell’amore cieco, scritta per lei da Fabrizio De André.

Oltre ad aver dato voce come doppiatrice a molte famose attrici straniere, come Judi Dench, Maggie Smith, Anne Bancroft, Gena Rowlands, Vanessa Redgrave, Jeanne Moreau, ha anche interpretato diverse pellicole cinematografiche, come Il medico delle donne (1962), o Controsesso (1964), di Marco Ferreri.

In televisione ha partecipato a numerosi sceneggiati televisivi e fiction come Giallo sera, Nero Wolfe, La coscienza di Zeno, Incantesimo, Elisa di Rivombrosa, o le sitcom Professione fantasma e 7 vite.

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Gemelle Kessler

Marisa Minelli

Totò

Con la sua recitazione esilarante e la sua comicità a tratti surreale,Totò fu tra gli attori più amati del 900.

Totò, pseudonimo di Antonio De Curtis, è stato un attore, commediografo e sceneggiatore italiano. Tra i più famosi e amati attori italiani del Novecento, con la sua recitazione esilarante e la sua comicità a tratti surreale, ha rappresentato l’incontro tra la grande tradizione della commedia dell’arte, la spontaneità dell’avanspettacolo e l’anima malinconica della città di Napoli.

Totò, lo “scugnizzo” del rione Sanità

Totò, il cui vero nome era Antonio De Curtis, nacque a Napoli nel 1898. Fu cresciuto dalla madre in povertà nel popolare rione Sanità e concluse a fatica gli studi liceali. Si appassionò, invece, agli spettacoli di strada e al teatro dialettale napoletano, e ben presto, grazie al suo innato talento comico, si cimentò in esilaranti imitazioni attingendo al repertorio di artisti già affermati.

Dal 1917 lo troviamo a Roma, al teatro Jovinelli con un repertorio di imitazioni. Già da allora si esibisce in quel personaggio di marionetta disarticolata che diventerà un suo vero e proprio marchio. Tra il 1920 e il 1925 frequenta il palcoscenico dei principali caffè-concerto italiani, sempre con un repertorio di macchiette e parodie. Sembra fosse alla Sala Umberto la prima apparizione di Totò in quella che doveva diventare con gli anni la sua divisa. Bombetta malandata, redingote frusta e nera, pantaloni a righe, ma corti sulle caviglie, a scoprire certe inverosimili calze colorate. Totò aveva inventato delle macchiette che erano a metà tra il comico di avanspettacolo e il clown. Dal repertorio più tradizionale dei clown aveva ricavato infatti quella sua marionetta che pian piano si insinuò, trasformandosi, in molte sue apparizioni.

Dal teatro popolare al cinema d’autore

Nel 1926, accanto a Isa Bluette, è per la prima volta in rivista e lavora con Mario Castellani, che sarà la sua spalla di sempre. La sua popolarità è in ascesa, nel 1931 e nel 1932 partecipa a spettacoli di varietà e, finalmente, nel 1933, diventa capocomico e agisce con la sua formazione nell’avanspettacolo.

Il pubblico di Totò è un pubblico popolare che il comico porta all’entusiasmo e al delirio con doppi sensi, lazzi, trascinanti marce sulla scena, con la golosa ferocia infine della sua volgarità. Il pubblico popolare arriva di slancio a capire la genialità di Totò; per il pubblico borghese, invece, non solo ci vuole più tempo, ma serviranno anche illustri mediazioni. I primi ad accorgersi del potenziale di Totò (per poi sfruttarlo in cinema) furono Carlo Ludovico BragagliaCesare Zavattini.

Film Totò: il successo cinematografico con Totò, Peppino… e la malafemmina

Il successo cinematografico arrivò con I due orfanelli (1947) di Mario Mattoli, dieci anni dopo l’esordio in Fermo con le mani! di Gero Zambuto. Presto Totò dimostrò di saper far esplodere la comicità del suo personaggio, sia in film più leggeri – 47 morto che parla (1950) di Carlo Ludovico Bragaglia, Totò a colori (1952) di Steno e Mario Monicelli, Siamo uomini o caporali? (1955), Totò, Peppino… e la malafemmina (1956) e Tototruffa ’62(1961) di Camillo Mastrocinque; sia in opere più complesse, come Napoli milionaria (1950) di Eduardo De Filippo, Guardie e ladri (1951) di Steno e Monicelli, I soliti ignoti (1958) di Monicelli, sino al poetico Uccellacci e uccellini (1966) di Pier Paolo Pasolini.

Totò e Peppino in La Banda degli onesti
Totò e Peppino in La Banda degli onesti

L’avanspettacolo e il teatro di rivista

Ma il suo mondo più vero era il teatro. Lui stesso dichiarava che il pubblico, la sua presenza, gli dava una carica e voleva la sala abbastanza illuminata per vederlo, rispondergli, recitare per lui. Quando tornò a teatro, alla fine del 1940, l’avanspettacolo era già tramontato, sostituito dalla “rivista“. In un’Italia appena entrata in guerra e sotto la ferrea censura del fascismo, Totò debuttò al teatro Quattro Fontane di Roma insieme a Mario Castellani e una mirabile scatenata Anna Magnani in Quando meno te l’aspetti di Michele Galdieri. Totò strinse con Galdieri un sodalizio da cui presero vita Quando meno te l’aspetti, Volumineide, Orlando Curioso, Con un palmo di naso e Che ti sei messo in testa.

Proprio quest’ultima rivista creò problemi al comico napoletano, che dopo le prime rappresentazioni al teatro Valle di Roma, venne dapprima intimorito con una bomba all’entrata dal teatro, poi denunciato dalla polizia, insieme ai fratelli De Filippo. Si segregò in casa fino al 4 giugno, il giorno della liberazione della capitale.

Gli spettacoli del dopoguerra

Il 26 giugno riprese a recitare: tornò al teatro Valle con la Magnani nella nuova rivista Con un palmo di naso, in cui diede libero sfogo alla sua satira impersonando il Duce (sotto i panni di Pinocchio), e Hitler, che dissacrò ulteriormente dopo l’attentato del 20 luglio 1944, rappresentandolo in un atteggiamento ridicolo, con un braccio ingessato e i baffetti che gli facevano il solletico, e mandando l’intera platea in estasi.

Alla stagione 1947-48 risale C’era una volta il mondo: Totò al suo massimo, lo sketch del manichino, la carica dei bersaglieri, lo sketch inimitabile del vagone letto che dagli otto minuti di durata iniziale si dilatò, per la felicità del pubblico, fino a tre quarti d’ora. Nel 1949 Bada che ti mangio alternava a fastosi quadri coreografici lunghe scenette o monologhi di uno straordinario Totò, che stava per lasciare la rivista a favore del cinema. Più di trenta film in sei anni e, infine, un ritorno in palcoscenico, questo davvero l’ultimo, con la straordinaria rivista A prescindere nella quale il grande Totò recuperava il suo passato e rievocava i suoi migliori sketch e personaggi. 

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Alberto Sordi

Luigi Proietti

Vittorio Gassman

Sordi, Alberto

Alberto Sordi fu un perfetto esempio della commedia all’italiana e rappresentante di spicco della romanità.

Alberto Sordi fu uno dei più grandi interpreti della storia del cinema italiano, perfetto esempio della commedia all’italiana e rappresentante di spicco della romanità. Attore estremamente versatile, ha partecipato a circa 160 pellicole. Tra i film più rappresentativi della sua carriera cinematografica ricordiamo Un americano a Roma, I vitelloni, Il marchese del Grillo, La grande guerra, Lo sceicco bianco, Un borghese piccolo piccolo, Il vedovo, Il vigile, Il medico della mutua.

Alberto Sordi biografia: dalla gavetta all’incontro con Fellini

Alberto Sordi nasce il 15 giugno 1920 a Roma. Ultimo figlio di un professore di musica e di una maestra delle scuole elementari, coltiva la sua passione per la recitazione fin dalla tenera età e canta come soprano nel coro di voci bianche della Cappella Sistina. Nel 1936, Sordi incide un disco di fiabe per bambini per la casa discografica Fonit. Il ricavato di questa esperienza lavorativa gli consente di partire per Milano, dove si iscrive all’Accademia dei filodrammatici, da cui fu espulso a causa del suo accento romanesco.
Torna quindi a Roma l’anno successivo, lavorando come comparsa a Cinecittà. Straordinario attore di cinema, emblema dell’italiano medio e mediocre, ricettacolo di vizi e virtù del borghese piccolo piccolo, Alberto Sordi debutta nell’avanspettacolo e varietà, dove incrociò il suo destino con quello di Federico Fellini che lo scelse per i suoi primi film.

Film di Alberto Sordi: il successo degli anni Cinquanta

Dopo Lo sceicco bianco (1952) di Fellini, Alberto Sordi recita in I vitelloni (1953), Un giorno in pretura (1953), Un americano a Roma (1954) e Piccola posta (1955). In questi film assume il ruolo del ragazzo approfittatore, vigliacco, indolente e scansafatiche. E arriva così il grande successo, rendendo il volto di Sordi uno dei più conosciuti dagli spettatori italiani.

Con l’avvento della commedia all’italiana dà vita a una serie di personaggi che, secondo la critica, sono assimilabili all’italiano medio. Queste figure sono tendenzialmente prepotenti coi deboli e servili coi potenti. Da ricordare anche il suo ruolo in Bravissimo (1955) di Luigi Filippo D’Amico, in Venezia, la luna e tu (1958) di Dino Risi e in Il vedovo (1959) sempre di Dino Risi.

I ruoli drammatici e l’approdo alla regia

Negli anni Sessanta si verifica una svolta: Alberto Sordi si cala in ruoli drammatici, oltre che comici. Vanno ricordate le sue interpretazioni in La grande guerra (1959), Tutti a casa (1960), Una vita difficile (1961), Il boom(1963), Il medico della mutua (1968). Nel 1972 si aggiudica l’Orso d’argento al Festival di Berlino per il suo ruolo in Detenuto in attesa di giudizio (1971) di Nanni Loy.

Alberto Sordi e Monica Vitti in Aiutami amore mio
Alberto Sordi e Monica Vitti in Aiutami amore mio

Nel 1966 Alberto Sordi esordisce come regista con Fumo di Londra e Scusi, lei è favorevole o contrario?. Dirige poi altre sedici pellicole, delle quali in tre è anche co-protagonista insieme a Monica Vitti: Amore mio aiutami (1969), Polvere di stelle (1973) e Io so che tu sai che io so (1982).  Memorabili pure Un italiano in America (1967) e Finché c’è guerra c’è speranza (1974).

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Totò

Luigi Proietti

Vittorio Gassman

Quattrini, Paola

Da énfant prodige a regina delle commedie brillanti, la carriera di Paola Quattrini è costellata di successi.

Da énfant prodige a regina delle commedie brillanti, la carriera di Paola Quattrini è costellata di successi. Ha in particolare recitato nelle commedie della ditta “Garinei e Giovannini”, oltre a un repertorio che include pièce di Sartre, Pasolini e Tennessee Williams.

Paola Quattrini biografia: gli esordi tra grande e piccolo schermo

Paola Quattrini debutta nel mondo dello spettacolo a soli quattro anni nel film Il bacio di una morta di Guido Brignone. Pochi anni dopo affianca Corrado nella trasmissione radiofonica “Cavallo a dondolo” e a dieci anni è a teatro con la trasposizione di Il potere e la gloria di Graham Greene, per la regia di Luigi Squarzina.

A quindici anni frequenta le cantine romane interpretando Tanti fiammiferi spenti di Luciani, che le vale l’appellativo di `ninfetta del teatro di prosa’ dell’epoca.

La regina delle commedie brillanti

Nel 1968 è Jessica in Le mani sporche di Sartre allo Stabile di Torino, recita Pirandello in Diana e la Tuda, ma nelle sue corde c’è soprattutto il repertorio brillante, con titoli come Il gufo e la gattina al fianco di Walter Chiari, Due sull’altalena con Corrado Pani, La papessa Giovanna (1973) di Josè Quaglio con Andrea Giordana, Non è per scherzo che ti ho amato di Fabbri (1977) con Carlo Giuffrè. Lavora quindi con Ernesto Calindri, Stefano Satta Flores, e quasi tutti i grandi del teatro d’intrattenimento.

Con Stefano Santospago è protagonista di A piedi nudi nel parco (1982). Negli anni ’70 la troviamo in molte commedie prodotte dalla Rai direttamente per il piccolo schermo. Nel 1987 è con Dorelli nel musical Se devi dire una bugia dilla grossa. Poi, nel 1988 con Bramieri nel delizioso Una zingara mi ha detto. Nel 1993 torna a un testo impegnativo interpretando Affabulazione di Pasolini con la regia di Ronconi.

Paola Quattrini nelle vesti di doppiatrice e conduttrice

Al cinema è stata diretta da Vittorio Gassman in Di padre in figlio (1982) e con lo stesso Gassman recita in uno dei suoi ultimi film: La bomba (1999). Nel 1993 vince il Nastro d’Argento alla migliore attrice non protagonista per l’interpretazione di Lea in Fratelli e sorelle di Pupi Avati.

Anche doppiatrice, ha dato la voce, tra le altre a Halle Berry e Milla Jovovich. In tv partecipa a sceneggiati di successo e conduce con Johnny Dorelli il varietà “Finalmente venerdì” nel 1989.

Nel 2003 il presidente della Repubblica Italiana Carlo Azeglio Ciampi le conferisce l’onorificenza di Commendatore della Repubblica Italiana, per una vita dedicata al cinema, alla televisione e al teatro.

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Milva

Gemelle Kessler

Marisa Minelli

Milva

Milva è una delle poche cantanti italiane ad aver lavorato sia nel mondo della musica leggera che nell’impegnato teatro di Brecht e Strehler.

Milva, pseudonimo di Ilvia Maria Biolcati, è stata una cantante e attrice teatrale, protagonista della musica italiana negli anni Sessanta e Settanta. I suoi 50 anni di carriera l’hanno portata su alcuni dei palchi più prestigiosi del mondo, dalla Scala al Piccolo Teatro di Milano dallo Châtelet all’Opéra di Parigi, fino alla Carnegie Hall a New York. Ad oggi detiene il record di artista italiana con il maggior numero di album realizzati in assoluto, ben 173, ed è una delle poche cantanti italiane ad aver lavorato sia nel mondo della musica leggera che nell’impegnato teatro di Brecht e Strehler.

Milva canzoni: da Sanremo al Piccolo teatro

Milva, inizia giovanissima a cantare nelle balere del basso ferrarese con il nome d’arte Sabrina, e lì viene notata per la sua grinta e la sua straordinaria voce. Dopo aver trionfato in un concorso di voci nuove della Rai nel 1959, arrivando prima su ben 7600 partecipanti con le canzoni Acque amare di Carla Boni e Dicembre m’ha portato una canzone di Nilla Pizzi, comincia ad incidere per la Cetra, la casa discografica di Stato, partecipando al Festival di Sanremo 1961, nel quale arriva terza con Il mare nel cassetto. Alla competizione sanremese parteciperà poi, nel corso della sua lunga carriera, undici volte.

Nel 1962 interpreta il suo primo filmLa bellezza d’Ippolita con Gina Lollobrigida. Ma è la carriera di cantante che procede a gonfie vele, incidendo prima in Germania nel ’62 il disco Liebelei e poi in Italia nel ’63 Canzoni da cortile, seguito l’anno dopo da Canzoni da tabarin. Grazie anche alla vicinanza di Maurizio Corgnati, che sposa nel ’61, alterna all’attività nel mondo della canzone commerciale, anche l’impegno in un repertorio di canzoni della tradizione popolare italiana, che nel ’64 culmina nello spettacolo Canti della libertà, che l’anno dopo presenta sempre con Arnoldo Foà al Lirico di Milano, invitata da Paolo Grassi. È lì che la nota Giorgio Strehler.

Il sodalizio Milva – Strehler

Il regista dirigerà Milva in due recital, Poesie e canzoni di Bertolt Brecht e Ma cos’è questa crisi. Ancora Strehler nel ’68 le cucirà addosso il recital Io, Bertolt Brecht, che le darà un successo europeo. Nello stesso anno ha il suo vero e proprio debutto teatrale come attrice, nel Ruzante diretto da Gianfranco De Bosio.

L’anno successivo segue Strehler transfuga dal Piccolo Teatro di Milano, e nel Teatro Azione da lui diretto è tra le interpreti di La cantata del mostro lusitano di Peter Weiss; ma ancora nel ’69 partecipa al festival di Sanremo e alla commedia musicale Angeli in bandiera di Garinei e Giovannini, a dimostrazione della versatilità del suo talento e della sua voce. Nel ’70 si esibisce per la prima volta alla Carnegie Hall di New York.

L’addio alla musica leggera

Il ’73 può essere considerato un anno di svolta: ancora Strehler la sceglie per il ruolo di Jenny delle Spelonche in L’opera da tre soldi. Da questo anno abbandonerà sempre di più il mondo della musica leggera per specializzarsi in un repertorio di grandi autori: nel ’75 canta Io, Bertolt Brecht n.2, nel ’78 è alla Piccola Scala in Diario dell’assassinata di Gino Negri e al Regio di Torino in Orfeo all’inferno di Offenbach, nel ’79 interpreta Io, B.B., n.3 e nell’82 è alla Scala per La vera storia di Luciano Berio. Nell’84 alla Bouffes du Nord, il teatro di Peter Brook, è insieme ad Astor Piazzolla in El tango.

In teatro torna nell’86 a Parigi con Giorgio Strehler per l’edizione francese dell’Opera da tre soldi con uno straordinario successo personale, cui seguirà un’esperienza non così felice con la Lulu di Wedekind diretta da Giancarlo Sepe. Tra le sue interpretazioni più recenti, La storia di Zazà nel ’93 diretta ancora da Sepe, e nel ’95 Tosca, ovvero prima dell’alba di T. Rattigan, spettacolo interrotto tragicamente per la morte del deuteragonista Luigi Pistilli.

Nel ’95 è anche la volta di un nuovo recital di canzoni brechtianeNon sempre splende la luna, che porta in giro per il mondo, per tre anni. Tra le altre attività recenti, la partecipazione al film Celluloide di Lizzani (1995) e al documentario di Werner Herzog sulla vita di Carlo Gesualdo da Venosa. Nel ’97 con la regia di Filippo Crivelli mette in scena una nuova versione del recital El tango de Piazzolla.

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Kessler, Alice ed Ellen

Gli esordi e la carriera di Alice ed Ellen Kessler.

Alice ed Ellen Kessler, note anche come le Gemelle Kessler, sono un duo artistico tedesco, che ha avuto grande notorietà in Italia a partire dagli anni Sessanta. Native di Nerchau, cittadina della Sassonia, con il loro “Da-da-umpa”, “Pollo e champagne” e “La notte è piccola”, hanno conquistato una popolarità straordinaria nei più noti programmi televisivi della RAI.

Gemelle Kessler, gli esordi in RAI e il successo

Da sempre il varietà televisivo ha pescato i suoi protagonisti sui palcoscenici del varietà, dell’avanspettacolo, della commedia musicale. Rari, recenti e non sempre fortunati i tragitti inversi. Diversa la sorte toccata alle gemelle Kessler. Nel gennaio 1961 il decennio televisivo si apre sulle loro gambe leggendarie. Le Kessler sostengono i funzionari RAI addetti al buoncostume, propongono un erotismo “freddo”, che non emoziona e non turba, teutonico e perciò nordico quanto basta. Protagoniste di Giardino d’inverno e poi di Studio Uno, fastoso e prestigioso varietà del sabato sera di Antonello Falqui, le Kessler, con il loro “Da-da-umpa”, “Pollo e champagne” e “La notte è piccola”, conquistano una popolarità straordinaria.

Prendono parte a numerose trasmissioni di prestigio dell’epoca, come La prova del nove e Canzonissima, dando vita a una nutrita discografia costituita da 45 giri. Negli anni Settanta diradano le loro apparizioni televisive, recitando in teatro in commedie musicali di Garinei e Giovannini.

Le gemelle Kessler dal varietà televisivo al teatro

Nella stagione 1967-68 Garinei e Giovannini scritturarono le gemelle Kessler per la loro commedia musicale più astratta e pirandelliana, Viola, violino e viola d’amore. Dove il violino era il marito, la viola era la moglie e la viola d’amore era l’amante. Non si trattava però del solito triangolo: il protagonista, Enrico Maria Salerno (sottratto dalla prosa, come Mastroianni per Ciao, Rudy era stato rubato al cinema) era il marito d’una bella-bionda-tedesca, programmata e freddina, prevedibile e noiosetta. Sogna un’amante dalle stesse fattezze della moglie, ma più calda e passionale. E quando la moglie freddina si adegua, l’insoddisfatto marito torna a sognare la noiosetta-programmata. Nel cast, anche Pippo Franco, segnalato dal coautore del copione, Luigi Magni, che l’aveva visto in un cabaret.

Tutti i quadri dello spettacolo seguivano un’ideale traccia musicale: ouverture, suite, rondò capriccioso, concerto da camera, toccata e fuga. Ma c’era anche un fantasioso rumoresque. Il copione finì in tribunale, accusato di plagio dal commediografo francese Félicien Marceau, autore di una pièce da poco in scena a Parigi. Ma Garinei e Giovannini dimostrarono facilmente che l’idea della donna `sdoppiata’ era antica quanto il teatro.

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Benigni, Roberto

Roberto Benigni è un attore, regista, scrittore e sceneggiatore italiano.

Roberto Benigni è un attore, regista, scrittore e sceneggiatore italiano. Numerosi i riconoscimenti che l’hanno portato fino alle vette più alte di Hollywood, diventando l’unico interprete maschile italiano a ricevere l’Oscar come Miglior attore protagonista. Sin dai suoi esordi, alterna le sue apparizioni su palcoscenici teatrali, set cinematografici e studi televisivi. Così Roberto Benigni si è imposto nel panorama dello spettacolo italiano come una figura di riferimento senza eguali, in virtù della sua esuberanza e gioiosa irruenza.

Roberto Benigni biografia: gli esordi tra teatro e televisione

Roberto Remigio Benigni nasce a Castiglion Fiorentino, un piccolo paese della Toscana, il 27 ottobre 1952, dai contadini Luigi Benigni e Isolina Papini. Dopo un’esperienza in seminario e il diploma da ragioniere, comprende che la sua vera passione è una sola: lo spettacolo. La decisione di tentare la carriera di attore avviene nel 1972. A vent’anni, con la sola chitarra per bagaglio, lascia la Toscana e si trasferisce a Roma, insieme agli amici fedeli, Donato Sannini, Carlo Monni e Lucia Poli.

Dopo alcune comparsate in televisione (Le sorelle Materassi) e in ruoli secondari, è Giuseppe Bertolucci a “scoprirlo”. Nel 1975, gli cuce addosso all’Alberichino di Roma, il teatro più off dell’epoca, il monologo Cioni Mario di Gaspare fu Giulia. Sotto la luce di una nuda lampadina, le mani in tasca, il giovane raccontava la sua grama vita di paese, il sesso, gli amici, il partito, la madre morta, con una smisurata esuberanza gestuale e soprattutto verbale.

Fu il successo immediato e crescente che, dalla saletta del teatro d’avanguardia, portò in tutta Italia il monologo di  Roberto Benigni. Bertolucci trasformò lo spettacolo in un film, Berlinguer ti voglio bene, divenuto nel tempo un vero e proprio cult. La popolarità più estesa però arrivò con la televisione, grazie a un programma domenicale di Renzo Arbore, L’altra domenica, in cui Roberto Benigni si fingeva critico di cinema.

Film Benigni: l’esordio alla regia, Nicoletta Braschi e Massimo Troisi

Per il suo debutto alla regia bisogna aspettare il 1983, quando dirige e interpreta Tu mi turbi. È durante le riprese di questo film che Roberto Benigni conosce Nicoletta Braschi che diventerà sua moglie nel 1991 e che da quel momento sarà praticamente presente in tutti i film diretti dal marito.

Da quel momento in poi Benigni recita sempre più spesso in film da lui stesso scritti e diretti. Nascono così Non ci resta che piangere, accanto a Massimo Troisi, Il piccolo diavolo, con Walter Matthau, Johnny Stecchino e Il mostro. Tutti film che ottengono un vasto successo tra il pubblico italiano.

Roberto Benigni in Il mostro
Roberto Benigni in Il mostro

Da allora Benigni alterna l’attività cinematografica a quella teatrale. Ed è ancora Giuseppe Bertolucci a filmare con Tuttobenigni un’antologia dal vivo delle esibizioni del comico condotte in varie piazze d’Italia. Un a solo a ruota libera, in cui sferzanti battute si susseguono impietose a colpire personaggi e fatti d’attualità, spaziando dagli aspetti della ritualità cattolica ai vizi e alle ipocrisie della società e del potere politico.

L’Oscar e il successo internazionale con La vita è bella

Nel 1998 firmerà il suo capolavoro, La vita è bella, la storia del cameriere ebreo Guido Orefice che finisce in un campo di concentramento con moglie e figlio e che cerca di mascherare volontariamente la realtà dei fatti al proprio bimbo. È un progetto ambizioso che gli assicurerà il successo internazionale. Grazie a La vita è bella, Roberto Benigni vince l’Oscar come migliore attore, premio che va a ritirare dalle mani di Sophia Loren, camminando sulle poltroncine della sala. Al film, in una notte indimenticabile per il cinema italiano, vanno anche altre due statuette: quella per il miglior film in lingua straniera e quella per la musica di Nicola Piovani.

Roberto Benigni e Nicoletta Braschi in La vita è bella
Roberto Benigni e Nicoletta Braschi in La vita è bella

Pinocchio, il film più costoso del cinema italiano

Nel 2002 porta sullo schermo la storia del burattino Pinocchio di Carlo Collodi, di cui è regista e attore protagonista. La pellicola si rivelerà il film più costoso della storia del cinema italiano (45 milioni di euro). In Italia il film ottenne ottime recensioni da parte della critica aggiudicandosi due David di Donatello,un Nastro d’argento e uno strepitoso successo al botteghino. Nel resto del mondo, e in particolare in Usa, il film fu invece un flop.

Il Dante Alighieri di Roberto Benigni

Benigni si è impegnato anche come lettore, interprete a memoria e commentatore della Divina Commedia di Dante Alighieri, in un tour Tutto Dante, spettacolo che parte da piazza Santa Croce a Firenze nell’estate 2006 per girare molte piazze e teatri italiane per approdare poi su RaiUno in 14 serate di grande successo. Nelle vesti di divulgatore ha, inoltre, recitato il Canto degli Italiani, i principi fondamentali della Costituzione della Repubblica Italiana e i dieci comandamenti biblici ricevendo consensi di pubblico e critica.

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Nicola Piovani

Giuliana Lojodice

Pane

Figura essenzale della body art anni Settanta. La prima performance di Gina Pane è Escalade (1971). Qui la Pane inizia il proprio lavoro d’investigazione e sfida sul corpo infierendolo con piccoli tagli e/o frustandolo, creando nell’osservatore uno shock visivo ed emotivo di notevole intensità (la documentazione fotografica e video sono dell’amica Françoise Masson). Pur essendo azioni performatiche in cui il pericolo e il dolore dell’artista sono presenti e talvolta portati al limite, esse non hanno la violenza nichilistica e la gravità di quelle di Burden o di Brus e Nitsch. Non ci sono mutilazioni ma piccole blessures. I rivoli e gli sgocciolamenti di sangue che macchiano la camicia immacolata e bianca della Pane non hanno niente a che vedere con i gorghi orgiastici dell’azionista viennese. In Azione sentimentale (1973) alla Galleria Diaframma di Milano, l’artista si infila sul braccio sinistro le spine di una rosa e incide un disegno sul palmo; in Death Control (1974) il viso è ricoperto di vermi, mentre in Laure (1976) alla Isy Branchot di Bruxelles, ancora il suo avanbraccio sinistro è infilzato con aghi da cucito.

Orlan

Orlan sta attuando su se stessa una metamorfosi fisica e di identità tra le più radicali e controverse nel panorama artistico contemporaneo. Ha acquisito notorietà negli anni ’70 per alcune sue provocatorie performance, come Mesurages , in cui misurava spazi urbani e istituzionali con il proprio corpo trascinato per terra (rue Chateaubriand misura 55 `orlan’); Uno studio documentario: la testa della Medusa , dove una lente d’ingrandimento mostrava la vagina dell’artista con i peli pubici dipinti di blu e i monitor inquadravano i volti degli attoniti spettatori; Le baiser de l’artiste , realizzata per la Fiac (Foire international d’art contemporain): accanto a O. c’era una silhouette di plastica raffigurante un torso femminile nudo, che si trasformava in una macchinetta a gettoni da cinque franchi per la vendita di baci con lingua dell’artista (per questa performance O. venne licenziata dalla Académie des beaux arts di Lione); e Drappeggio barocco , nella quale si vestiva da Madonna e si circondava di simboli religiosi e mitologici. Successivamente ha realizzato lavori quali La reincarnation de Saint-Orlan où image. Nouvelles images (1990), con l’utilizzo del computer e del morphing. O. ibrida il suo volto con parti anatomiche di icone classiche femminili come la fronte di Monna Lisa di Leonardo, gli occhi di Psiche di Gérard, il naso di Diana dalla scuola di Fontainebleau, la bocca di Europa di Gustave Moreau e il mento della Venere di Botticelli. In Cinquème-operation (1993), con la lettura di La robe della psicoanalista lacaniana Eugénie Lemoyne-Luccioni, inizia il suo `work in progress’ di ridefinizione facciale archetipica e di desacralizzazione del corpo con la chirurgia plastica. Con Septième-operation (1993), alla Sandra Gering Gallery di New York, O. estremizza il suo progetto di `art charnel’ contro le convenzioni morali e il concetto stereotipato di `bello’: sui due lati della fronte le vengono impiantate due protesi che la trasformano in una specie di donna-satiro. In queste `mises en scéne’ performatiche l’artista francese è lucida testimone, sotto anestesia locale: legge testi (da Antonin Artaud, Julia Kristeva e Lemoyne-Luccioni), fa disegni con il suo sangue, dirige le riprese video, interagisce con il pubblico in collegamento satellitare in altre gallerie, raccoglie reliquie di carne liquefatta e campioni di sangue drenato; inoltre, espone foto a colori del suo volto garzato e con tumefazioni rosso-violacee post-operatorie. In un prossimo intervento O. è decisa a farsi mettere il naso anatomicamente più lungo possibile in relazione alla sua struttura ossea, così ponendo il problema dell’identità sul piano giuridico e giudiziario ( Exogène ). Infine donerà il suo corpo a un museo per la mummificazione.

Brus

Artista nichilista e radicale dell’Azionismo viennese. Gunter Brus studia a Vienna all’Istituto di arti applicate e soggiorna per un anno e mezzo in Spagna nel 1960. Vede gli espressionisti americani alla Biennale di Venezia ed è impressionato da Kline. Ritornato in Austria dipinge lavori infornali, ma è soprattutto interessato all’immissione del proprio corpo nel processo pittorico. Conosce Otto Muhl. Prende le distanze dal Blutorgelmanifest `Manifesto dell’organo di sangue’ di Muhl, Nìtsch e Frohner. È un periodo di gravi problemi economici. Nel 1964 Brus compie la sua prima Action di Autopìttura: Ana (che viene ripresa dal cineasta sperimentale Kurt Kren). È il primo performer a usare il proprio corpo-medium come superficie pittorica.

Del 1965 è Malerei, Selbstbemalung, Selbstverstummelung (Pittura, autopittura, automutilazione), titolo che compendia il programma artistico di Brus. In Wiener Spazierengang (Passeggiata viennese), Brus, con il corpo completamente dipinto di bianco diviso in due metà da una striscia nera, passeggia per l’Innerstadt, nel cuore storico di Vienna. Nel 1968 partecipa a Kunst und Revolution all’università viennese e ne esce uno scandalo alimentato dalla stampa locale. Brus viene condannato a sei mesi di reclusione per «Vilipendio dei simboli della Nazione e offese al pudore e alla morale». Sfugge alla condanna trasferendosi a Berlino. Del 1970 è Zerreissprobei (Prova di lacerazione) in cui l’artista porta a estreme conseguenze la pratica autolesionistica.

Acconci

È una delle colonne portanti della performance negli Usa. Vito Acconci vede il corpo come teatro di pulsioni esibizionistiche e istintuali, comportamenti estremi e introspezione su di sé in rapporto alle convenzioni e ai tabù della società e della cultura dominanti: in Fall (1969) Acconci cade in avanti ripetutamente nel tentativo di prendere una fotografia; Following Piéce (1969) è una performance della durata di un mese in cui l’artista americano segue ogni giorno una persona per strada scelta a caso; in Trademark (1970) Acconci si morde tutte le parti del corpo raggiungibili dalla sua bocca; in Soap and Eyes (1970) l’artista si copre gli occhi con acqua e sapone che tenta di pulire sbattendo le proprie palpebre; Conversion (1970) è la performance in cui Acconci focalizza il discorso sull’identità sessuale bruciandosi i peli del petto e nascondendosi il pene tra le cosce continuando a fare gesti quotidiani; in Proximity Piéce (1970) Acconci opera in un museo (luogo ad alto contenuto simbolico in cui i visitatori recitano un ruolo prestabilito sul piano della sola partecipazione visiva) avvicinandosi e toccando alcune persone; in Pier Piece (1970) Acconci aspetta ogni notte su una banchina abbandonata tra West Street e Park Place qualcuno reclutato tramite una inserzione sul giornale a cui confida segreti su se stesso molto intimi; in Seedbed (1972) l’artista si masturba per tutta la durata della mostra (alla Galleria Sonnabend di New York) sopra una piattaforma sopraelevata e nascosto al pubblico che sente soltanto la sua voce amplificata durante l’atto masturbatorio. Acconci ha detto che l’ultima funzione che vede per l’arte è quella di perdere tutte le ipotesi che hanno guadagnato potere e cercare di minarle alla base.

Kaprow

Allan Kaprov è il primo nel 1959, sulla rivista “The Antologist” e successivamente in una sua opera, 18 Happenings in 6 parts , a usare e a far entrare nel linguaggio comune il termine happening. Una mostra personale di dipinti, a New York nel 1952, segna il suo esordio artistico. Inizialmente legato al movimento dell’espressionismo astratto ispirato a J. Pollock, in cui era esaltato soprattutto il valore del gesto automatico, Allan Kaprov costruisce assemblaggi di materiali vari (carta di giornali, legno, luci, pezzi meccanici e fotografie), eseguiti il più in fretta possibile, variamente integrati con il colore. Queste agglomerazioni fuggono la bidimensionalità per tendere verso la tridimensionalità, la consistenza fisica dell’opera, fino a diventare vere e proprie ambientazioni, dove intervengono a stimolare la percezione sensoria suoni, rumori e odori. Dal 1955 al ’58 studia composizione con John Cage, approfondendo le tecniche aleatorie e costruendo nel 1957 opere che già si aprivano all’ environment, l’opera-ambiente in cui lo spettatore entra e dalla quale viene totalmente coinvolto dal punto di vista della percezione.

A codificare l’happening Allan Kaprov arriva integrando sulla scena elementi pittorici e ambientali con fraseggi e parti di testo drammatizzate, che provocano nello spettatore reattività incontrollate. Nella rivista “The Antologist” delinea il progetto di una rappresentazione tipo: in un grande spazio lo spettatore verrà fatto accomodare su sedie orientate in modo casuale; i partecipanti all’azione indosseranno cappotti invernali o saranno nudi, o vestiti normalmente, in questo modo creando accostamenti vertiginosi. Così accade che nei primi happening Allan Kaprov richieda la partecipazione del pubblico: in Courtyard (1962) alcuni spettatori ricevono delle scope e sono invitati a spazzare; in Eat (1964) il pubblico è condotto in una rete di sotterranei dove si scontrano con cibi appesi al soffitto. Le sue esperienze di happening terminano nel 1970; in seguito lavora sul tema della routine quotidiana: nel 1979 in Station Hotel riunisce un piccolo gruppo di persone davanti alla stazione di New York, dà loro istruzioni su azioni da compiere e poi le riconvoca per registrare le esperienze che ne hanno ricavato. Nel suo metodo di lavoro, Allan Kaprov precisa alcuni punti fondamentali quali la `quiddità’ dell’azione, ovvero l’azione priva di qualsiasi significato al di là della semplice immediatezza di verifica; le azioni sono fantasie derivate dalla vita, anche se non eseguite esattamente su quel modello, e che diventano la struttura organizzativa degli eventi; il significato delle azioni, infine, deve essere letto nel suo senso simbolico o allusivo.

Antunez Roca

Fondatore storico del gruppo La Fura dels Baus (1979) e successivamente di `Error genetico’ e di `Los Rinos’ assieme a Sergej Jorda. Nel 1993 Antunez Roca Marcelli realizza Joan l’hombra de carne , una specie di Frankenstein o freak circense ricoperto interamente da pelle di maiale, munito di ricettori elettrici che permettono sotto stimoli acustici di muoverlo. Con Epizoo (da epizootia, malattia diffusa per contagio da parassiti su varie specie di animali) l’artista crea una performance-installazione interattiva in cui il suo corpo, sopra una piattaforma rotante, è un `bondage tecnologico’ fatto di meccanismi metallici e pneumatici, fili e pinze inseriti sui suoi glutei, sulle narici e orecchie. Tale apparato è connesso a un sistema di elettrovalvole e al computer, sulla cui tastiera il pubblico digita gli stimoli azionanti le leve che deformano parti del corpo di Antunez Roca Marcelli; su uno schermo alle sue spalle ci sono le infografie generate dal computer, con dodici differenti rappresentazioni virtuali del suo corpo. Epizoo pone tematiche molteplici e scottanti: la sessualità neutra, anonima e telematica; l’intrusione dell’inorganico come strumento di tortura e piacere sado-masochistico di una nuova mappatura antropologica del corpo umano; nuove forme di controllo bio-politico e amplificazione sensoriale.

Barney

Matthey Barney opera una specie di androginia organica attraverso travestitismi-icone mitologici irriverenti ripresi dalla sua videocamera. Da Jim Otto (celebre giocatore di footbal) a Houdini, da un body builder a un satiro, da ibridi postumani a esseri da leggende gotiche. Il lavoro più importante è Cremaster 4 (cremaster è la denominazione del piccolo muscolo che sostiene il testicolo) è il video, presentato alla Fondation Cartier di Parigi nel 1995, in cui Barney è una specie di dandy dai capelli color arancio metà uomo e metà ariete di Laughton dell’Isola di Man.

Stelarc

Fermamente convinto dell’obsolescenza del corpo nell’era post-industriale, Stelarc attua una tra le più originali esperienze estetiche alternative di ibridazione uomo-macchina, organico-inorganico, biologico-artificiale, interfacciando il proprio corpo con protesi robotizzate e il computer. Tra il 1976 e il 1988 si collocano le ventisette performance The Body Suspensions , di privazione ed esasperazione sensoriale, in cui Stelarc – senza l’assunzione di droghe ma attraverso la meditazione, come nella cerimonia indiana O-Kee-Pa (analogamente all’altro performer Fakir Musafar) – si fa appendere sia con imbragature sia con ganci e uncini conficcati nella pelle in spazi urbani (Copenaghen, New York) e in gallerie d’arte (Tokiwa Gallery e Tamura Gallery di Tokyo, Accademia d’arte di Monaco). Negli anni seguenti S. tiene numerose conferenze, in cui teorizza e applica l’idea di amplificazione elettronica del corpo.

The Third Hand (1981-1984) è una mano artificiale fissata al suo braccio destro, capace di movimento indipendente e attivata dai segnali Emg dei muscoli addominali e della gamba; essa è dotata di un sistema di feedback tattile per un rudimentale `senso del tatto’. Il braccio sinistro è comandato a distanza da elettrodi, posizionati sui muscoli flessori e sul bicipite. Il corpo dell’artista si muove in una coreografia di luci e suoni molto suggestiva (‘Lasereyes’). Del 1991-1993 è il Virtual Arm Project, con un braccio virtuale trasformato in manipolatore universale generato al computer; tramite dei datagloves muniti di sensori flessori e direzionali è possibile la clonazione di un secondo braccio e altre interessanti funzioni. Nel 1993 Stelarc realizza (assieme al chirurgo inglese Charles Akle) The Stomach Sculptures : un endoscopio a fibre ottiche e una sonda – con una capsula di cinque centimetri per cinque millimetri in titanio, acciaio e oro – vengono inserite nel suo stomaco (ingerenza del meccanico e dell’artificiale all’interno dell’organismo umano).

Fractal Flesh (1995) è una performance telematica e interattiva, con spettatori collegati via Internet che fanno muovere il corpo di Stelarc tramite appositi comandi. Ha scritto: «Il corpo post-umano diventa l’ospite di nanotecnologie che tendono a liberarlo dalla fatica dell’invecchiamento, che lo migliorano nella sua funzionalità. Il corpo post-umano si estende a una entità robotica, si connette con la realtà virtuale e si rapporta a una intelligenza esterna, artificiale; quindi si potenzia… Non è il regno del cyborg, ma il luogo dove intelligenze autonome si moltiplicano».

Jango Edwards

Jango Edwards non è un cabarettista, né un intrattenitore, ma un vero e proprio clown moderno. A dargli l’ispirazione fu Fellini con il suo film I clowns, un omaggio a un mondo destinato a sparire. Dopo aver fondato nel 1971 a Londra la Friends Roadshow London (una compagnia di teatro di strada) e il suo corrispondente americano a Detroit, è ad Amsterdam, nel 1976 che creerà il Festival of Fools. Irriducibile provocatore, trasformista, mimo, cantante, autore di testi teatrali e musicali, regista e organizzatore, i suoi show sono delle vere e proprie esplosioni di energia dove il contatto del pubblico è totale (chi lo conosce non prenoterà mai un biglietto nelle prime file di nessun teatro). Da solo o accompagnato dalla sua band di clown-musicisti, i suoi spettacoli mixano pantomima e clownerie, spaziando da un repertorio classico di gag con naso rosso e labbra bianche a spettacolari incursioni, dalla vitalità esagerata e fracassona, che vanno a colpire gli stereotipi più evidenti della nostra società. A questo proposito ricordiamo: Holey Moley (1991), The best of Jango Solid Gold (1993-94) e Klones (1996-97).

Flanagan

Artista in senso lato, videomaker, poeta, malato di fibrosi cistica (di cui è morto), già attivo alla fine degli anni ’70 con la compagnia Sheree Rose in pratiche sadomasochistiche, rituali sessuali e sofferenza fisica estrema. Il lavoro di Bob Flanagan è intimamente legato alla malattia del suo corpo congiunto al dolore e alla sessualità. Wall of pain (1992) è parte di una installazione-performance intitolata Visiting hours in cui una galleria d’arte è trasformata in una specie di reparto ospedaliero. In questo ambiente sono appese 750 fotografie in bianco nero (scattate da Rose) di Bob Flanagan durante un numero svariato di trattamenti dolorosi nei quali l’artista sembra in estasi e perfino allegro. Il documentarista Dick Kirby è autore di un film su di lui: Private pratices the story of a sex surrogate. Bob Flanagan appare anche in un video musicale dei Nine Inches Nails (Broken) ed è oggetto di studio di numerosi libri tra i quali, il più famoso: Bob Flanagan, super-masochist di Andrea Juno e Vale, della rivista californiana “Re/Search”.

Nitsch

Dopo il diploma all’Istituto grafico sperimentale di Vienna, nel 1957 Hermann Nitsch concepisce l’Orgien Mysterien Theater (Teatro delle Orge e dei Misteri) che sviluppa in una forma d’arte totale (Gesamtkunstverk) in cui si applica una mistica dell’essere verso una totalità esperita con tutti i sensi e una iniziazione abreattiva teatralizzata, collettiva, orgiastica e sacrificale. Nell’ Aktionstheater (Teatro d’Azione) l’artista viennese introduce sostanze organiche come la carne dei corpi di vitelli e pecore sventrati, liquidi corporali come il sangue e l’urina e paramenti liturgici come mitre cardinalizie, pianete, cotte, ostensori e croci. «Le opere d’arte più antiche sono nate, com’è noto, al servizio di un rituale, dapprima magico, poi religioso» (Walter Benjamin). N. fonda un ordine e ne redige le regole ne Il leitmotiv mitico del Teatro delle Orge e dei Misteri (Das Mythische des Orgien Mysterien-Theaters), così elencando i referenti mitologici e religiosi: «L’eccesso fondamentale sadomasochistico/L’uccisione dell’animale-totem e la sua consumazione rituale/Il regicidio rituale/L’evirazione di Attis/ L’uccisione di Adone/L’uccisione di Orfeo/La castrazione rituale/L’accecamento di Edipo/Lo sbranamento di Dioniso/La crocefissione di Gesù Cristo/L’eucarestia». Nel 1971 acquista come luogo cultuale delle sue Azioni il castello di Prinzendorf an der Zaya a sessanta chilometri da Vienna. Qui realizza performance della durata di tre giorni. In Italia è famosa una sua Azione nei dintorni di Napoli.