Valduga

Il mondo, soprattutto quello contemporaneo, è una smisurata trappola fondata sulla mistificazione, in cui l’unica traccia di verità è data dall’esperienza del dolore e dall’ancoraggio al livello sensuale dell’esistere. Da questa base nasce la poesia di Patrizia Valduga, a cui si può dire connaturata la teatralità, che scaturisce dal drammatico e spesso urlato corpo a corpo tra l’io parlante e le cose. Frequenti sono state le trasposizioni delle sue opere sulla scena. Il debutto è avvenuto con La tentazione per la regia di B. Mazzali e l’interpretazione di A. Attili e A. Di Stasio (Roma, Teatro Trianon, 1986). Ad esso ha fatto seguito l’allestimento de Donna di dolori, «monologo pensato per essere messo in voce» per la regia di L. Ronconi, con F. Nuti (Torino, Teatro Carignano, 1992). L’ultima messinscena tratta da una sua opera è stata quella de Corsia degli incurabili , con G. Varetto nei panni di interprete e regista (Brescia, Teatro Santa Chiara, 1997). Fra le sue traduzioni per il teatro, L’avaro e Il malato immaginario di Molière (il primo per uno spettacolo di G. Strehler, poi diretto da L. Puggelli, il secondo per la regia di J. Lassalle 1995) e Riccardo III di Shakespeare (regia di A. Calenda, 1997).