Bol’šoj

Inaugurato nel 1870 come Teatro Petrovskij, poiché si affacciava sulla via Petrovka, il teatro Bol’šoj ospita spettacoli di opera, prosa e balletto. I primi danzatori sono soprattutto servi della gleba appartenenti a grandi famiglie moscovite. I primi maîtres de ballet sono italiani e francesi. Nel 1853 un nuovo incendio distrugge le parti interne del teatro che riapre nel 1856 risistemato dall’architetto di origine italiana C. Cavos. Alla fine del secolo scorso la compagnia di danza attraversa un periodo di decadenza. Ma con l’arrivo da Pietroburgo di Aleksandr A. Gorskij si avvia la rinascita artistica del balletto nel teatro moscovita. Il coreografo allestisce con grande successo nel 1900 una nuova versione del Don Chisciotte . Dal 1902, per ventidue anni, Gorskij realizza a Mosca la sua riforma ballettistica influenzata dal realismo di Stanislavskij e del Teatro d’Arte. Crea o riallestisce La figlia di Gudula, Salambo, Il lago dei cigni, Giselle, Il corsaro, La bayadèr. Le stelle del Bol’šoj di quel periodo sono M.M. Mordkin, V. Caralli, V.D. Tichomirov, E.V. Gel’cer. Gli anni immediatamente successivi alla rivoluzione di Ottobre sono un periodo di ricerca e di innovazione anche nella danza: Giuseppe il bello, di K. Golejzovskij ne è la massima espressione. Lo sperimentalismo tuttavia non coinvolge il principale teatro della città che dà il segnale del ritorno alla tradizione nel 1927, per il decennale della rivoluzione con Il papavero rosso, primo balletto sovietico di impianto classico (l’azione vede marinai russi correre in aiuto del proletariato di Shangai, ma il sonno della protagonista dà luogo all’immancabile `atto bianco’), coreografato da Tichomirov e con la Gel’cer protagonista.

Fra gli anni ’30 e ’50 la Russia vede svilupparsi il nuovo balletto sovietico contemporaneamente alla conservazione dei classici. Puškin e Shakespeare spesso forniscono validi soggetti: La fontana di Bachcisaraj, Romeo e Giulietta, che dopo le prime leningradesi vengono allestiti anche a Mosca che anche nella danza rivendica il ruolo di capitale e richiama le migliori forze. Così Galina Ulanova e Marina Semënova lasciano Leningrado e approdano a Mosca, dove saranno le stelle più applaudite sino agli anni ’60 che vedono sorgere gli astri di Maja Plissetskaja e di Jurij Fadeecev prima, e successivamente di una splendente `pleiade’ di cui fanno parte Ekaterina Maksimova, Vladimir Vasil’ev, Natalia Bessmertnova, Maris Liepa, Nina Timofeeva. Nel 1964 incomincia il lungo regno di Jurij Grigorovic come coreografo principale e direttore del balletto. Grigorovic porta da Leningrado Il fiore di pietra, La leggenda dell’amore, coreografa per Mosca Schiaccianoci (1966), Spartaco (1968), Ivan il Terribile (1975), Il secolo d’oro (1982), La bajadère (1991), Il corsaro (1994). Verso la fine degli anni ’80, diventa evidente il dissidio fra Grigorovic da una parte, Maja Plissetskajan e Vladimir Vasil’ev dall’altra. Accanto a quelli di Grigorovic vanno in scena spettacoli di scarso rilievo artistico se si escludono il Cyrano de Bergerac di Roland Petit (1988) e Il figliol prodigo di George Balanchine (1991), che mettono drammaticamente in evidenza l’incapacità dei danzatori ad affrontare stili classici diversi da quelli del coreografo principale. Nel 1995 Grigorovic viene dimesso dal teatro. Direttore di opera e balletto diventa Vladimir Vasil’ev, che nel 1996 mette in scena due contestate versioni di Il lago dei cigni e Giselle . Ulteriori polemiche nascono intorno alla figura di Vjaceslav Gordeev come direttore e coreografo che nel 1997 viene allontanato. Lo sostituisce per meno di un anno Aleksandr Bogatirev, al quale, con l’apertura della stagione 1998-99 succede Aleksej Fadeecev che per questo incarico abbandona l’attività di ballerino.

Nemirovic-Dancenko

Fondatore con Stanislavskij del Teatro d’Arte di Mosca, Vladimir Ivanovic Nemirovic-Dancenko inizia come brillante e acuto critico teatrale su quotidiani e riviste (“La sveglia”, “L’artista”, “Il corriere russo”, “Novità del giorno”) e come scrittore di romanzi, racconti e drammi ( L’ultima volontà , 1888; Un nuovo affare , 1890; L’oro , 1895; Il prezzo della vita , 1896; Sogni , 1901: tutti rappresentati con grande successo ai teatri Aleksandrinskij e Malyj, con i migliori attori del tempo). Nel 1896 rifiuta il premio Griboedov per Il prezzo della vita , ritenendo ingiustamente sottovalutato il coevo Il gabbiano di Cechov. Dal 1891 al 1901 insegna alla Scuola musicale-drammatica moscovita, formando una generazione di attori di grande futuro, che di lì a poco chiamerà a far parte del suo teatro. Nel 1898 incontra l’attore e regista Stanislavskij, di cinque anni più giovane di lui: insieme progettano un teatro davvero rivoluzionario, dove ogni routine, ogni convenzione viene rifiutata. Studio attento, rigoroso del testo, lunghi periodi di prove (mesi, rispetto ai pochi giorni delle normali compagnie), estrema, dettagliatissima cura nella preparazione ed esecuzione di scene, costumi, oggetti (rispetto all’uso di materiali già pronti e generici), collaborazione continua con scenografi, costumisti, sarti, trovarobe, per un risultato globale di armonia ed equilibrio del tutto nuovo nel teatro del tempo. Al termine di un lungo, `storico’ colloquio, Nemirovic-Dancenko e Stanislavskij decidono la fondazione del Teatro d’Arte. La compagnia è composta in parte dai colleghi della precedente compagnia di Stanislavskij, in parte dai migliori allievi di Nemirovic-Dancenko: O. Knipper, Vs. Mejerchol’d, I. Il’inskij.

Nonostante le prime regie vengano firmate insieme, la divisione dei ruoli è molto precisa: Nemirovic-Dancenko si assume l’onere delle scelte letterarie, Stanislavskij della preparazione artistica degli attori. Entrambi discutono l’impostazione del testo, lavorano all’approfondimento del discorso dell’autore. È Nemirovic-Dancenko comunque che decide quali autori inserire nel repertorio e che riavvicina Cechov al teatro, ottenendo da lui non solo l’autorizzazione a riprendere Il gabbiano dopo l’insuccesso di due anni prima, ma l’esclusiva di tutti i lavori successivi, da Zio Vanja (1899) al Giardino dei ciliegi (1904); è lui che convince Gor’kij a scrivere per il teatro, che porta al successo i suoi primi lavori ( Piccoli borghesi e Bassifondi , 1902) e mette in scena (sempre con Stanislavskij) I figli del sole (1906), in aperta polemica con il mondo borghese e l’ intelligencija , passivi, incerti, assenti negli anni `caldi’ seguiti alla rivoluzione del 1905. La sua attività di regista si rende lentamente autonoma da Stanislavskij, dimostrando solida maturità con spettacoli come Quando noi morti ci destiamo di Ibsen (1900), Giulio Cesare di Shakespeare (1903), Le colonne della società (1903) e Rosmersholm (1908) di Ibsen, I fratelli Karamazov da Dostoevskij (1910), Il cadavere vivente di Tolstoj (1911), Pane altrui di Turgenev (1912), Nikolaj Stavrogin da I demoni di Dostoevskij (1913), La morte di Pazuchin di Saltykov-Scedrin (1914), Il convitato di pietra di Puškin (1915). Dopo la Rivoluzione d’ottobre, mentre Stanislavskij compie tournée all’estero con grande successo, Nemirovic-Dancenko riorganizza il teatro, dimostrandosi disponibile alla nuova realtà sovietica. Sempre più indipendente da Stanislavskij, di cui non condivide l’esasperata lentezza che le ricerche del `sistema’ impongono alla preparazione degli spettacoli, introduce nel repertorio del teatro, fino allora dominato dai classici, interessanti testi sovietici, come Pugacëvscina di Trenëv (1925), Il blocco di Vs. Ivanov (1929), Ljubov’ Jarovaja di Trenëv (1936). Accanto alla scoperta di nuovi talenti, Nemirovic-Dancenko coltiva i classici che sono certamente più affini alla sua personalità e di cui coglie con sempre maggior ampiezza la complessità: oltre a Gor’kij, di cui mette in scena i più recenti lavori (Egor Bulycëv e altri , 1934; Nemici, 1935), e a Cechov, di cui riprende con grande sensibilità e intelligenza Tre sorelle (1940), si dedica a Tolstoj (riduzione di Resurrezione, 1930 e Anna Karenina, 1937), Ostrovskij (L’uragano, 1934), Griboedov (Che disgrazia l’ingegno!, 1938). Regista di solido impianto realistico, di ampia cultura e di grande professionalità, mantiene costantemente una posizione di autorevole prestigio, tenendosi lontano sia da facili sperimentalismi sia dal grigiore della politica culturale di partito. Ottiene notevole successo anche come regista d’opera.