Bontempelli

Il lavoro per il teatro, vissuto da uomo di palcoscenico e non solo secondo prospettiva letteraria, si affiancò per lungo tempo all’attività narrativa. I lavori più felici e spiazzanti di Massimo Bontempelli risalgono al periodo prenovecentista: La guardia alla luna (1920), Siepe a Nord-Ovest (1923) e, soprattutto, Nostra Dea e Minnie, la candida. Opere che, se da un lato godettero di ottimi riscontri nell’ entourage letterario, dall’altro vennero di fatto cancellate dai repertori delle compagnie teatrali fino ai nostri giorni. Nostra Dea che è stata riproposta da Missiroli nel 1992, venne scritta tra il 1º e il 16 gennaio 1925 e fu rappresentata nello stesso anno a Roma al Teatro degli Undici (dove rimase in cartellone per tre anni), con la regia di Pirandello e l’interpretazione di Marta Abba, che si rivelò proprio grazie a questo ruolo. Minnie, la candida venne realizzata tra il 1925 e il 1927 ed allestita, senza apprezzamento del pubblico, al Teatro di Torino nel 1928 dalla Compagnia di Ernesto Sabbatini. Nate nel clima del grottesco e del futurismo, non immuni dalle suggestioni di Pirandello, le pièce spiccano per il carattere avanguardistico, sorretto dal gusto del pastiche stilistico e dall’uso di elementi meccanici, in accordo con le trovate marinettiane. Entrambe individuano il male dell’uomo nell’incomunicabilità ed operano la conseguente, «dissoluzione e distruzione del personaggio nell’ambiente che lo circonda» (L. Baldacci). Minnie, la candida, in particolare, porta in scena l’anima pura, un idiota dostoevskiano al femminile, che, avvelenata da un motto di spirito, crede di essere circondata da uomini artificiali, spingendosi fino al suicidio nella convinzione di essere lei stessa il frutto abnorme della manipolazione. Dramma quanto mai attuale, anche per via dell’effetto straniante della `agrammaticalità’ della protagonista e della freddezza metallica degli scenari urbani, Minnie, la candida mette a nudo l’ansia e l’incapacità di vivere dell’uomo contemporaneo. Le opere successive di B. – si ricordino perlomeno Bassano padre geloso (1934, compagnia Ruggeri-Borboni) e Venezia salva (1947, Regia di O. Costa al festival di Venezia) – non producono esiti artistici di rilievo, risultando decisamente poco necessarie ed ispirate.