Lupi

Capostipite della famiglia Lupi è Luigi (Ferrara 1768 – Torino 1844): garzone di drogheria, si unisce al burattinaio Francesco Jacoponi, suo concittadino, e insieme verso il 1818 si trasferiscono a Torino dove, nel 1823, divengono marionettisti e operano al Teatro di San Martiniano fino al 1883, avendo come maschera Arlecchino. La ricostruzione della genealogia della famiglia è difficile, sia perché la stessa famiglia ha memorie incerte, sia perché tutti i primogeniti si chiamano Luigi e i secondogeniti Enrico. Il secondogenito di Luigi I, Enrico, abbandona la maschera di Arlecchino per adottare quella, piemontese, di Gianduia. È Enrico a lasciare il Teatro di San Martiniano per passare, nel 1884, al Teatro d’Angennes. Inizia il periodo di grande successo della famiglia Lupi, guidata da Luigi III (figlio di Luigi II)e Luigi IV (figlio di Enrico); i loro spettacoli divengono una delle attrazioni teatrali di Torino, con largo eco sulla stampa. Con la seconda guerra mondiale i Lupi perdono la loro sede al Teatro d’Angennes (divenuto nel frattempo Teatro Gianduia) e sono costretti ad un periodo di inattività o attività saltuaria, utilizzando un semi-interrato di via Roma. Una ripresa d’attività abbastanza regolare si ha con la concessione della sede, non felicissima, di via Santa Teresa, nella quale è stata anche allestita una mostra permanente dei materiali storici della compagnia. Fino al 1981 la Compagnia Lupi è stata diretta da Luigi V. A lui sono succeduti il figlio Luigi VII e il nipote Luigi VIII. Il patrimonio di materiali teatrali (marionette, costumi, attrezzeria, scene, copioni) della famiglia Lupi è certamente uno dei più ricchi e importanti d’Europa.

Carlo Colla e Figli

Capostipite della famiglia Colla è Giuseppe, figlio di un carbonaio, nato a Milano nel 1805 e morto a Soresina nel 1861. La prima documentazione certa della sua attività di marionettista è del 1835. Sappiamo che presentava i suoi spettacoli girovaghi in Lombardia, in Emilia e nel Piemonte orientale e che la sua maschera era Gerolamo. Alla sua morte la sua eredità fu divisa tra i suoi tre figli, Antonio, Carlo e Giovanni. Pochissimo sappiamo dell’attività marionettistica di Giovanni, mentre di rilievo è stata quella dei suoi due fratelli. Antonio, infatti, raggiunge assai presto, una posizione di primo piano nel mondo marionettistico, tanto da presentare i suoi spettacoli, dal 1885 al 1892 e poi ancora nel 1896-97, 1900-1901 e 1903 al teatro Gerolamo di Milano, succedendo ad una compagnia in quegli anni di gran nome, Luciano e Rinaldo Zane. Morto Antonio senza discendenza, il suo materiale viene diviso tra il fratello Carlo e il figlio di Giovanni, Giacomo. Carlo (1832 – 1906) svolge un lavoro girovago, muovendosi tra l’Oltrepò pavese, l’Emilia, la Romagna e il Piemonte orientale. La sua maschera è Famiola. Con lui nasce la Compagnia Carlo Colla e figli che, quando Carlo deve ritirarsi per una grave malattia alla gola (nel 1890), passa sotto la direzione del figlio, anche lui Carlo (Carlo II), nato nel 1873 e appena sedicenne.

Con Carlo II la Carlo Colla e figli acquisisce una maggiore importanza e offre i suoi spettacoli, sempre in Piemonte, Lombardia ed Emilia, in città importanti e in sedi di prestigio. Così, nel 1906 arriva al Teatro Gerolamo di Milano, dove rimane due stagioni. Vi ritorna nel 1910 per fermarsi stabilmente, per quasi mezzo secolo, fino al 1957, quando il Gerolamo viene chiuso. Segue un periodo di inattività (e intanto, nel 1962, muore Carlo II) fin quando, per l’iniziativa di Eugenio Monti (figlio di Carla C.) e del figlio di Carlo II, anche lui di nome Carlo (III), la Compagnia riprende l’attività. Eugenio Monti, laureato in lettere, non aveva alcun proposito di rifarsi marionettista secondo la tradizione della sua famiglia, ma fu stimolato dai professor Mario Apollonio dell’Università Cattolica di Milano, uno dei suoi professori, a togliere dalle casse nelle quali giacevano i preziosi materiali della Compagnia per una mostra all’Università stessa. Quella mostra è una rivelazione per i milanesi.

Sotto la spinta di quella mostra e della ripresa d’attenzione della città, Eugenio Monti rimette insieme i Colla per ridar vita alla Compagnia che, nel 1968, debutta alla Piccola Scala con la ripresa di Il Ballo Excelsior. È questo il primo e grande successo della rinata Compagnia Colla. Segue una serie di spettacoli di grande qualità, in sedi italiane e straniere tra le più importanti, con produzioni che soprattutto rivisitano, al tempo stesso in modo critico e filologico, i vecchi copioni tradizionali della Compagnia, ma anche affrontano, senza rinnegare il filo della tradizione, nuovi testi. La Compagnia Colla acquisisce così una posizione di primissimo piano nel quadro internazionale del teatro di marionette. Intanto anche Giacomo, figlio di Giovanni, ha continuato l’attività marionettistica e così suo figlio Gianni che, con la figlia Cosetta, si stabiliscono a Milano, con un proprio teatro. Gianni e Cosetta Colla si sono impegnati, con molto coraggio e continue difficoltà, nel rinnovamento del repertorio marionettistico, adottando testi di qualità letteraria e teatrale. Citiamo La famosa invasione degli orsi in Sicilia di D. Buzzati e le maschere per La favola del figlio cambiato di Pirandello per la regia di O. Costa al Piccolo teatro di Milano, 1957. Per diversi dei loro spettacoli hanno chiamato a collaborare pittori e scultori contemporanei di rilievo (fra gli altri Luigi Veronesi).

Gambarutti,

Il capostipite  della famiglia Gambarutti, Pietro (1874 ca. – 1920 ca.) si avvia al mestiere sposando, nel 1899, Cesira Burzio, appartenente a una famiglia di marionettisti. I tre figli maschi proseguono il mestiere del padre, sia come marionettisti (Giovanni Ernesto, 1901; Ugo, 1913) sia come burattinai (Giuseppe, 1909). È Gianfranco (`Franco’), figlio di Giovanni Ernesto, che prosegue con più impegno la tradizione della famiglia, operando trasformazioni del repertorio anche radicali, in senso moderno, con la realizzazione di fiabe di Andersen e dei Grimm. È tra i primi a lavorare in televisione, ancora nel periodo sperimentale, in collaborazione con i fratelli Cagnoli. Per un periodo, negli anni ’70, opera con Gianni e Cosetta Colla e nel 1981 forma una nuova compagnia con il figlio Massimo, `Le marionette di Franco Gambarutti’.

pupi,

L’opera dei pupi è il teatro tradizionale delle marionette dell’Italia meridionale. Ne esistono tre diverse tradizioni: quella `parlemitana’, nella Sicilia occidentale, quella `catanese’, nella Sicilia orientale e in Calabria, quella `napoletana’, in Campania e in Puglia. Una forma molto simile a quella napoletana ha prosperato a Roma fino fine dell’Ottocento. Gli storici fanno risalire l’origine della marionette cavalleresche a Napoli. Nel 1646 al seguito del vicerè spagnolo, durante le feste dell’insediamento, sembra che ci fossero dei `titeros’ castigliani. Fu Gaetano Greco che importò i pupi da Napoli a Palermo. Gaspare Canino, nella cui famiglia l’arte dei pupi si trasmette dalla prima metà dell’Ottocento, ci ha tramandato date precise relativamente alla nascita dei pupi in Sicilia.Gaetano Greco avrebbe aperto il suo teatrino nel 1826, Libero Canino nel 1828. I protagonisti del teatro dei pupi sono guerrieri dotati di armature in metallo smontabili e di spade sfoderabili; i loro movimenti, passi e tecnica di scherma sono legati ad una rigorosa tradizione.

I soggetti caratteristici dell’opera dei pupi sono lunghe vicende rappresentate a puntate, che risalgono alla letteratura medioevale francese: le `Chansons de Geste’ che narrano le avventure di Carlo Magno e dei suoi paladini. A metà dell’Ottocento Giusto Lodico, un maestro elementare siciliano, riunì le trame di un gran numero di poemi in un unico romanzo: La storia dei paladini di Francia . I gestori dei teatri sono detti in Sicilia `opranti’, `teatrinari’ o `pupari’ (ma a rigore puparo è piuttosto chi costruisce i pupi) e a Napoli `pupanti’. Diverse sono le differenze fra le varie tradizioni di pupari. I pupi palermitani misurano da ottanta a cento centimentri, pesano da otto o dieci chili e hanno il ginocchio articolato; oltre al ferro principale, che si aggancia al busto passando attraverso la testa, ne hanno uno per il movimento del braccio destro, cui è assicurato un filo che, passando attraverso la mano chiusa a pugno, permette di sguainare la spada e di rinfoderarla.

Gli animatori manovrano i pupi dai lati del palcoscenico. I pupi catanesiinvece sono alti da dieci a centotrenta centimetri e pesano trentacinque chili, hanno il ginocchio rigido e oltre al ferro principale, ne hanno uno per il movimento del braccio destro, la cui mano chiusa a pugno tiene sempre la spada. Vengono animati dall’alto di un `ponte’ di manovra posto dietro il fondale. I pupi napoletani, alti circa un metro, differiscono da quelli siciliani perché non hanno ferro alla mano destra, che è aperta, ma un filo; la spada si fissa alla palma della mano, le gambe hanno il ginocchio snodato come i pupi palermitani e vengono azionati da un ponte di manovra, come i pupi catanesi.