Illica

Giovane intemperante, Luigi Illica visse un forte contrasto con il padre; per quattro anni condusse vita di mare, combattendo anche nel 1876 contro i Turchi. Fu un suo cugino a indirizzare il suo estro artistico, avviandolo alle lettere. Nel 1881 fondò a Bologna il quotidiano “Don Chisciotte”, di umori radicali e repubblicani, apprezzato da Carducci. Nel 1882 pubblicò una raccolta di bozzetti e prose dal titolo Intermezzi drammatici : scritti satirici nei confronti di autori, attori e critici legati a schemi considerati superati. Debuttò come autore di teatro con I Narbonnerie La Tour (1883), un successo immediato; in questo ambito l’opera che gli riservò maggior fama fu L’ereditaa del Felis (1891), un lavoro in dialetto milanese che risente di alcuni temi ibseniani. Il suo nome è legato soprattutto all’attività di librettista lirico. Scrisse infatti i testi per Wally di Catalani (1892), Andrea Chénier di Giordano (1896), Iris di Mascagni (1898); per Puccini, oltre alla traccia per Manon Lescaut (1893), i libretti di Bohème (1896), Tosca (1900) e Madama Butterfly (1904), in collaborazione con Giacosa.

Galdieri

Figlio del poeta Rocco, Michele Galdieri ne ereditò la delicata vena crepuscolare; i suoi copioni furono sempre abilmente intessuti di satira e sentimentalismo. Esordì con successo a Napoli nel 1925 (aveva appena 23 anni) con L’Italia senza sole . Due anni dopo, scrisse La rivista che non piacerà (titolo audace) esaltando la qualità dei fratelli Eduardo, Titina e Peppino De Filippo. A lui si sono affidati i più grandi interpreti: Totò e Anna Magnani, Odoardo Spadaro e Lucy D’Albert, Wanda Osiris e Carlo Dapporto, Renato Rascel e Nino Taranto, Aldo Fabrizi e Paola Borboni. Alcuni titoli: Strade (1932), E se ti dice va… tranquillo vai (1937); Mani in tasca, naso al vento (1940); L’Orlando curioso (1942); Volumineide (1943); Che ti se messo in testa? (1944); Imputati, alziamoci! (1945); Bada che ti mangio (1949); Chi è di scena (1954); La gioia (1963) segna il ritorno alla rivista `pura’, con Dapporto maliardo e gran raccontatore di barzellette in passerella nel sottofinale, che conta su Gianni Agus `spalla’ ideale e sulla soubrette Silvana Blasi reduce dalle Folies Bergère: nello spettacolo, a quadri staccati, (in controtendenza alle coeve commedie musicali ormai di gran successo, firmate Garinei & Giovannini), c’è `Agostino’ che rifà il Peppone di Guareschi, c’è Monsieur Verdoux, c’è l’anticlericale Gioachino Belli che scende dal piedistallo per dire bene, in versi, del Papa buono appena scomparso. La carriera di G. si conclude con I trionfi (1964-65), l’ultima grande rivista tradizionale, ancora con Dapporto insuperabile nel suo `Agostino’ (qui investigatore privato) e con Miranda Martino cantante-soubrette. Rivista curiosamente coetanea di un altro tentativo di restaurazione, Febbre azzurra 1965 di Amendola per Macario, con carico, `spalla’, soubrette e stuolo di girls e boys, quando su altre ribalte s’era già affermato il cabaret di Parenti-Fo-Durano o dei Gobbi, oppure commedie ormai poco musicali come Il giorno della tartaruga , di Magni-Franciosa-Garinei-Giovannini con Rascel e Delia Scala unici interpreti, tre ore di dispute coniugali con un impianto esplicitamente boulevardier.

Successo costante, dunque, quello di G., ma assai rilevante si considera l’apporto di Michele Galdieri alla storia della rivista del tempo di guerra. Gli si riconosce il ruolo di «vero creatore della grande tradizione della rivista italiana, a struttura totalmente `aperta’, a quadri staccati, quindi estranea all’influenza dell’operetta e del musical». Michele Galdieri seppe creare, come lo stesso Michele Galdieri ebbe a teorizzare, «con notevole estro e fantasia uno stile poi imitatissimo», che si reggeva su tre elementi costitutivi fondamentali: la coreografia, il sentimento, la satira. Dei tre elementi, quello della satira fu certamente predominante in tempi di censura assai attenta. «Cave canem Galdieri. Non grida, non si avventa. Ti accarezza, ti illude con parole di miele poi quando meno te lo saresti aspettato, ti ha morso con denti aguzzi. Ha spruzzato profumo e vi ha mescolato vetriolo…». Così scrisse Leopoldo Zurlo, il funzionario responsabile della censura teatrale dal 1931 al 1943. Onore al merito di un autore che seppe far ridere con allusioni satiriche sul regime fascista. In Disse una volta un biglietto da mille (1939-41), la formidabile accoppiata Totò-Anna Magnani (la struggente scenetta della “Fioraia del Pincio”) seppe argutamente sfottere il regime. “In pieno 1942 – come ricorda il figlio di Michele Galdieri, Eugenio – egli poté far risuonare in scena per centinaia di sere, a Roma, da un oscuro vestito da `pazzarello’, il grido: `Popolo, po’, è asciuto pazzo `o patrone!”‘. Altro aspetto importante della personalità artistica di Michele Galdieri, quello del talent-scout. Wanda Osiris ricordava: «Era un umorista finissimo, era regista, scriveva i testi, si occupava di tutto. Lavorare nella sua compagnia sarebbe stato un buon lancio per me. Mi misi subito a studiare come lui mi consigliava: impostai la voce con un maestro di canto, e andai a lezione di ballo da Gisa Geert». Nella rivista E se ti dice va, tanquillo vai (1937), la Osiris era la vedette, o come si diceva in gergo, `la primadonna di spolvero’, ossia non attrice né comica, ma personaggio che fa scena. E per l’occasione, la Osiris si dipinse tutta di marrone, in tempi in cui la tintarella integrale era desueta e i raggi Uva ignoti. Tra tutte le scene ideate, Michele Galdieri preferiva, a ragione, quella interpretata da Anna Magnani in “Chi è di scena?” (1954). Un’entrata a effetto: durante un quadro raffinato, tutto vezzi e moine da Commedia dell’Arte risciacquata nell’Arcadia, c’era l’ulro lancinante di una sirena e Nannarella che irrompeva di corsa scapigliata e urlante, una pirandelliana Figliastra dei Sei personaggi che «stanca dell’immobilità impostale dall’autore scese nella vita diventando donna da marciapiede». In 75 copioni, Galdieri seppe tracciare i lineamenti di un genere teatrale, la rivista, che ha divertito le platee più composite in quaranta stagioni irripetibili.

Kochno

Trasferitosi giovanissimo a Parigi (1920) Boris Kochno vi conobbe Diaghilev, di cui diventò amico e segretario. Profondo conoscitore del mondo artistico e in particolare musicale, fu impiegato dal grande impresario (che ne apprezzava anche la sensibilità poetica) soprattutto come librettista; in tale veste diede importanti contributi a lavori come Les fâcheux (1924) , Zéphire et Flore (1925) , Les matelots (1925) , La chatte (1927) , Le bal (1929) e Le fils prodigue (1929), oltre al libretto per l’opera buffa di Stravinskij, Mavra (1923) . La sua importanza tuttavia nella storia del balletto del Novecento va ben al di là di quella di soggettista; le intuizioni e i suggerimenti di K. ebbero a influenzare, ammodernandone la concezione, l’ultima fase dei Ballets Russes. Considerato il delfino di Diaghilev (al quale fu accanto a Venezia, nel 1929, al momento della morte), ebbe il rimpianto di non essere riuscito a portare avanti l’impresa dell’illustre `patron’, incapace di tenere uniti i suoi invidiabili ballerini dopo la sua scomparsa. Negli anni ’30 e in quelli successivi riuscirà comunque a collaborare con il mondo del balletto, firmando nuovi libretti quali Cotillon e Jeux d’enfants (Ballets Russes de Monte-Carlo, 1932) e fornendo la sua collaborazione a Balanchine per i Ballets 1933; successivamente assumerà la direzione artistica dei Ballets des Champs-Elysées, sin dalla loro fondazione. Per tutto il dopoguerra e fino alla morte, K. continuerà a essere una delle più eminenti e apprezzate autorità in materia di balletto. Dalla sua penna sono usciti anche due libri di grande rilevanza storica: Le ballet (1954) e Diaghilev et les Ballets Russes (1970).

Menegatti

Uscito dall’Accademia nazionale d’arte drammatica Beppe Menegatti è aiutoregista di Luchino Visconti nel 1954-56. Lavora poi con Vittorio De Sica, Eduardo De Filippo, Luigi Squarzina e in proprio come regista sia nel campo della prosa che in quello della lirica. Già dai primi anni ’60 si occupa del teatro di danza (Il balletto del festival dei Due Mondi , 1962): interesse che diventa primario grazie al matrimonio con Carla Fracci. Per esaltarne la versatilità interpretativa si dedica all’ideazione di balletti drammatici, trovando spunti sia nella letteratura teatrale (The Macbeths , 1969; Il gabbiano , 1970; Mirandolina , 1983, Il lutto si addice ad Elettra , 1995), sia in quella operistica ( Il vespro siciliano , 1992) sia in biografie di personaggi storici che riadatta in drammaturgie ( Nijinskij memorie di giovinezza , 1989; Alma Mahler G. W. , 1994; Zelda, riservami un valzer , 1998). Ha coadiuvato Carla Fracci nella direzione del corpo di ballo dell’Arena di Verona nel 1996-97 In prosa ha diretto per il Teatro Stabile di Firenze (1963) Nozze di sangue di Lorca, Gioco e Tutti quelli che cadono di Beckett con un gruppo di attori fra i quali P. Borboni, F. Benedetti, L. Alfonsi, B. Galvan V. Gazzolo.

Meano

Laureato in giurisprudenza, Cesare Meano collaborò al “Corriere della Sera” e alla “Fiera letteraria”. Nel 1926 fondò a Torino il Teatro del Nuovo Spirito, dove mise in scena Gogol’. Privilegiò il repertorio del `teatro d’arte’ (Strindberg, Joyce, Zorilla). I suoi lavori sono caratterizzati da una rivisitazione in chiave moderna di fatti storici e antichi miti, influenzati dal teatro del grottesco. Scrisse, tra l’altro, Nascita di Salomè (1937), Avventure con Don Chisciotte (1940, il copione meglio riuscito), Melisenda per me (1941), Ventiquattr’ore felici (1943), Incontri nella notte (1952), Diana non vuole amore (1953) e Bella (1956). Nell’immediato dopoguerra diresse a Roma il Teatrino La Scena, proponendo Danza di morte di Strindberg con Maria Fabbri, Come tu vuoi di Pirandello e Mississipi di Kaiser con P. Borboni. Il suo teatro ebbe grande successo all’estero, soprattutto in Germania, dove alcuni suoi testi, in traduzione tedesca, vennero messi in scena per la prima volta. Per quanto riguarda l’attività cinematografica, va ricordato il film a sfondo sperimentale Frontiere (1934), che M. scrisse e diresse, non trovando però riscontro positivo nel giudizio del pubblico.

Boublil

Boublil Alain (Tunisi nel 1941) e Schönberg Claude-Michel (Vannes), rispettivamente il librettista-paroliere e il musicista di un certo numero di super successi degli anni ’70-80. In realtà Boublin e  sono quanto rimane di due coppie: B. cominciò a scrivere in coppia con Jean-Max Rivière e Schönberg componeva con Raymond Jeannot. Tale quartetto è responsabile nel 1973 di un disco francese di gran successo “La Révolution Française” (ha venduto a tutt’oggi quasi mezzo milione di copie), chiaramente ispirato a Jesus Christ Superstar . Sempre nella stessa formazione, dettero vita a La Révolution Française spettacolo al Palais des Sports di Parigi il 23 ottobre 1973.

Nel 1978, Boublin e Schönberg sono di nuovo riuniti per Les Miserables che sarà pure presentato al Palais des Sports nel novembre del 1980. Qualche anno, e qualche lavoro individuale, più tardi i due autori sono coinvolti nell’edizione inglese di Les Miserables che va in scena l’8 ottobre al Barbican e passa il 4 dicembre al Palace di Londra (dove continua a tutto ottobre di quest’anno); Les Miserables viene presentato a Broadway il 12 marzo 1987 ed è ancora in scena in ottobre del 1998. Altre trentadue edizioni hanno visto la luce in questi anni in quindici lingue diverse per un totale di circa trentamila repliche complessive. Il mostruoso successo di B. e S. si intitola Miss Saigon e va in scena il 26 settembre 1989 e poi a New York l’11 aprile 1991: in entrambe le città le repliche continuano ancora nell’ottobre 1998. Martin Guerre, la loro ultima fatica, non è stato un successo: presentato a Londra nel luglio 1996, ha chiuso nel febbraio 1998 dopo essere stato sostenuto in tutti i modi dalla produzione.