Lanterna Magika

Sorto in seguito all’interesse suscitato all’Esposizione universale di Bruxelles dallo spettacolo di Alfréd Radok, Lanterna Magika (1958), il teatro Lanterna Magika divenne col tempo uno dei punti di riferimento della scena sperimentale ceca. Animatori e fondatori furono lo stesso Radok e Josef Svoboda, che si proponevano di approfondire le proprie ricerche nel campo della contaminazione linguistica fra teatro e mezzi di riproduzione visiva. Nel 1959 Radok divenne direttore artistico del teatro, annesso al Teatro nazionale (Národní divadlo) come sezione sperimentale. Tuttavia nel 1960 Radok venne rimosso dall’incarico e la sala venne destinata alla proiezione di film della cinematografia di stato ceca. Solo nel 1966, reintegrato alla direzione, il regista poté realizzare parte del suo programma drammatico, mettendo in scena due spettacoli: Variace , programma composito di Radok e Jircircí Srnec e L’éveil des sources, una cantata di Bohuslav Martinù. Dal 1967 L.M. attraversò una nuova crisi, dovuta in parte a problemi economici, in parte a una stagnazione dell’impulso creativo (Radok lasciò il Paese nel 1968). Nel 1973 il teatro venne nuovamente riammesso alle sovvenzioni statali e trovò nuova vita sotto la direzione di Josef Svoboda ed Evald Schorm, collaboratore fisso per tutti gli anni. Accanto al programma drammatico, Svoboda poté proseguire la sperimentazione con l’uso delle moderne acquisizioni della tecnologia video, e il teatro poté avere una programmazione abbastanza regolare; fra Il circo magico (1977) e La regina delle nevi (1979) di J. Svoboda e E. Schorm, La prova notturna (1981) di Antonín Mása, Odissea (1987) di E. Schorm e Jaroslav Kucera. Dal 1992 il teatro, che conserva la direzione di Svoboda, è nuovamente indipendente. Fra le ultime produzioni da lui curate una versione de Il flauto magico di Mozart (1992), la ripresa di Odissea (1993) e Casanova (1995) di Juraj Jakubisko.

Svoboda

Dopo il liceo scientifico Josef Svoboda frequenta la scuola per falegnami e studia all’Accademia di architettura e arti applicate di Praga. Le sue prime scenografie risalgono al 1943, presso il teatro sperimentale praghese (Nuovo gruppo al museo Smetana), per La morte di Empedocle di Hölderlin. Si rileva in questi progetti l’influenza costruttivista russa, unita ai temi scenografici di Appia e Craig, che poi Svoboda svilupperà portando la sua scenografia a essere protagonista, componente essenziale, presenza polarizzante per la drammaturgia dello spettacolo. Le sue messinscene sono fatte di forme e di volumi architettonici, in contrasto con la visione pittorica della tradizione ottocentesca.

Nel 1946 Svoboda diviene direttore di produzione del Teatro 5 maggio a Praga, che nello stesso anno allestisce La sposa venduta di Smetana (regia di Václav Kaslík). Nel 1948 è nominato direttore tecnico-artistico del Teatro Nazionale di Praga e nel 1973 direttore artistico della Lanterna Magika; dal 1968 insegna all’università di Praga. Nel corso della sua fertile e lunga carriera partecipa a numerose, celebri produzioni teatrali, stringendo interessanti collaborazioni con registi di primo piano: A. Radok, per cui allestisce fra l’altro I racconti di Hoffmann di Offenbach (Praga 1946); K. Jernek, per cui cura l’allestimento della Tosca di Puccini (Praga 1947), V. Kaslík, con cui idea ancora la messinscena di Nabucco (Londra, Covent Garden 1972) e Macbeth di Verdi (Montreal 1983).

Interessanti tutte le sue produzioni wagneriane, tra le quali il Tannhauser (1973, regia di Kaslík) e il Ring con la regia di Götz Friedrich (1974-1976), entrambi al Covent Garden. Particolarmente incisivo, inoltre, il confronto con il teatro musicale del Novecento; ne sono un esempio gli allestimenti per due opere di Janácek, L’affare Makropulos (Hannover 1979, regia di Kaslík) e Jenufa (Ginevra 1980, regia di E. Schorm). Scenografo eminentemente `creativo’, S. si impone come innovatore del teatro lirico e di prosa, collaborando per quest’ultimo soprattutto con il regista Otomar Krejca ( Aspettando Godot di Beckett, Salisburgo 1970; Edipo re, Edipo a Colono, Antigone di Sofocle, Praga 1971): una scena `moderna’, attraverso l’impiego delle tecniche più sofisticate di illuminazione, attraverso giochi di luce e controluce che disegnano plasticità e forme dello spazio del palcoscenico.

Una caratteristica della sua scenografia è il movimento di tipo cinetico architettonico (usa proiettori, sipari di luce, specchi, laser, schermi multipli, audiovisivi): soprattutto nella prosa Svoboda continuò a sviluppare un teatro di tipo cinetico, non statico, avvalendosi dell’esperienza sviluppata alla `Lanterna Magika’. In Italia ha debuttato con Intolleranza 1960 di Luigi Nono (Venezia, La Fenice 1961; regia di Kaslík), continuando poi una fertile attività nell’ambito del teatro musicale (Cardillac di Hindemith; Scala 1964); con la regia di V. Puecher ideò successivamente le scene per Atomtod di G. Manzoni (Piccola Scala 1965). Particolarmente significativo per la concezione dello spazio è l’allestimento di L’albergo dei poveri , l’opera di Flavio Testi da Gor’kij (Piccola Scala 1966; regia di Kaslík): un insieme di materiali poveri crea l’atmosfera da bassifondi, dove tra un groviglio di fili e di lamiere vi è lo spazio per le diapositive.

Con K. Jernek progetta il Wozzeck di Berg alla Scala (1971; contemporaneamente allestisce il Woyzeck di Büchner allo Stabile di Torino, regista Virginio Puecher) e, nello stesso teatro, realizza Il mandarino meraviglioso di Bartók con la coreografia di Roland Petit (1980). Collabora con il Piccolo Teatro per Faust frammenti di Goethe (1989-1991, regia di G. Strehler) e La donna del mare di Ibsen (1991), con la regia di Henning Brockhaus, per il quale lavora a molteplici produzioni: Un ballo in maschera (Wuppertal 1991), La traviata (Macerata 1992, Roma 1993), Rigoletto (Macerata 1993), Macbeth di Verdi (Roma 1995), Biedermann e gli incendiari (Anversa 1991) e Andorra di Max Frisch (Saarbrücken 1996).

La scenografia definita da Svoboda è, come si è detto, una componente essenziale dello spettacolo: a volte può essere dominante, a volte quasi assente, ma non rinuncia mai alla funzione allusiva dell’immaginazione. Svoboda crea, nella costruzione dello spazio scenico, la metafora, la suggestione, trasformandone le forme con l’uso di materiali, tecniche e trucchi; costruisce nello spazio del palcoscenico, con la sua scenografia astratta, immagini visive e mentali da sogno.